Le stelle brillavano forte sulla testa di Otoha: sulla terra, le lanterne rosse le rispecchiavano, portando l'eco della loro luce celeste tra i mortali. Accarezzò con lo sguardo ognuna delle persone vestite a festa, i consiglieri, i cortigiani, i soldati. Guardò con invidia le loro mogli sotto le maschere di polvere di riso, su cui si aprivano sorrisi neri.
Otoha non avrebbe mai tinto i suoi denti di nero. Era una pratica riservata alle donne sposate, che richiedeva una costante assunzione di kanemizu, il liquido che mischiava la dolcezza del tè, l'amaro dell'aceto, e la rigidezza del ferro. Rumiko le aveva detto che la mistura andava bevuta una volta al giorno, per molti giorni, prima che fosse efficace. Nel suo caso, sarebbe stato uno spreco anche solo provare. Lei sarebbe rimasta accanto a suo marito per un giorno soltanto.
Si lisciò il kimono sulle ginocchia, rigidamente ripiegate sul cuscino. Intorno al padiglione d'onore, innalzato per l'occasione accanto alfiume, la corte intera iniziava ad accendere le sue piccole lanternedi carta. I sacerdoti salmodiavano e bruciavano incenso, ma l'occhio buono di Otoha cercava un monaco in particolare tra la folla: quello dalla chioma incolta, accompagnato dalla ragazza dall'anima d'acciaio.
Dovesi trovavano?
Sono al sicuro, Ai-sama? Li ho protetti come desideravi?
Spero di averlo fatto. Odierei lasciarmi alle spalle un debito come questo.
Ma importerà ancora, tra poco? Dopo tutto, potrei non raggiungere affatto lo stesso luogo in cui sei tu. Se sei della materia dei sogni, allora le trame dei nostri destini potrebbero non incontrarsi mai più.
Suo padre, Akagawa Ryōta, le rivolse uno sguardo. Le prese la mano. Il volto austero era ombra ed era fiamma, in quella luce sovrannaturale.
«Contieni il tremore» sussurrò. «Il fiore del nostro clan non può vacillare al primo soffio del vento.»
Otoha deglutì, e strinse più forte le mani intorno al ventaglio. No, questo fiore che il fuoco aveva per metà divorato doveva restare in piedi, anche di fronte al terremoto, anche davanti all'onda della distruzione.
Quando Date Saburo li raggiunse, con il suo corteo di guerrieri e dignitari, lei trattenne il fiato.
Era, se possibile, ancora più bello dell'ultima volta che l'aveva incontrato.
I suoi vent'anni avevano la ruvidezza che la guerra lasciava alle volte addosso agli uomini giovani e ambiziosi; un alone di barba sfacciata premeva già dietro alle guance, pur fresche di rasatura. Indossava una veste di un porpora acceso, e sulla obi erano ricamate in filo d'oro le tre linee parallele dell'esagramma numero uno, simbolo di forza, sovrastato dalla figura di un drago rampante.
Incontrò il suo sguardo. Lo sostenne. Le mancò il battito, quando lui sorrise.
Ti avrei amato, in un'altra vita; e tu avresti amato me. Ne sono certa: l'ho visto nelle schegge dei miei sogni.
Contro la maschera di porcellana, la cicatrice pulsava feroce.
L'uomo si inginocchiò, toccando con la fronte la stuoia di vimini. Tutto il suo seguito fece altrettanto.
«Date-sama» disse Ryōta «Vi prego, alzatevi. Siete un ospite gradito nella nostra casa.»
«Un ospite grato» rispose l'uomo «che non sa come esprimervi la sua riconoscenza.»
«Mostrateci il viso, per cominciare. Tra alleati, non ci sono tributi di gratitudine da versare.»
Mentre Saburo si sollevava, Otoha osservò la sua figura solida, plasmata dall'uso delle armi. Indugiò sulle due spade alla cintura: avrebbe voluto vederlo combattere. Forse, lasciarsi addestrare da lui. Gli avrebbe dato almeno un po' di filo da torcere, in un allenamento? Oppure, l'avrebbe disarmata con una facilità estrema? E in quella lotta che uomini e donne ingaggiavano nel segreto delle loro alcove, chi di loro due avrebbe avuto il controllo?
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Fiore di Fuoco (#3 I Samurai della Spada Bianca)
FantasíaVOLUME TRE Seguendo la sfida crudele di una kitsune, l'ex samurai Eito e i suoi discepoli trovano sul loro cammino Otoha del clan Akagawa. In un'altra vita, la ragazza sarebbe stata Minami, figlia di Eito, famosa nel vicinato per la sua bellezza fo...