5. Un sogno...

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Quando ha alzato la testa dallo schienale del divano, con il collo dolorante per l'orribile posizione in cui si era lasciato andare, Greg si è sentito diverso. Ha alzato un braccio per passarsi una mano tra i capelli, e finalmente quel sonno che gli aveva reso difficile anche il più semplice movimento ha smesso di tormentarlo. Sorpreso dall'improvviso cambiamento, ha deciso di alzarsi; ma si sentiva... Diverso. Stava bene, ne era certo. Stava fin troppo bene; ed è stato proprio questo a gettarlo in una strana insicurezza.
Era quella da cui era appena uscito, la situazione stra-ordinaria o era quella in cui era stato gettato, quella in cui si trovava, ad essere quella sbagliata?
Incerto su come giungere a capo del suo problema, Greg ha deciso di fare la cosa più semplice - andare a lavarsi la faccia. Da un lato temeva di tornare a come si sentiva prima, ma dall'altro sentiva crescersi dentro un senso di orrenda insicurezza che stava per sfociare, lo sentiva, in ansia; quindi ha iniziato ad andare in bagno senza sapere assolutamente cosa aspettarsi, cercando di non pensare a nulla, solo di sbrigarsi. Infatti, non sentendo più il suo stesso corpo come quello che lo aveva accompagnato per una vita, non se la sentiva di escludere nulla; ma prima di iniziare a fantasticare senza motivi, si è concentrato sulle sue gambe lunghe nascoste da un paio di jeans che non ricordava di avere indossato. No, non gli erano completamente sconosciuti, anzi apparivano più familiari di qualsiasi altro paio di pantaloni avesse mai indossato - essendo i suoi preferiti -; ma il punto era che... Non gli sembrava affatto di averli indossati prima di stendersi sul divano. Non ricordava cosa doveva avere avuto addosso al posto di quelli, tuttavia.
Si è concentrato nello sforzo di convincersi che invece era così, tenendo lo sguardo basso e un andamento veloce, diretto alla porta di vetro del bagno; e appena l'ha raggiunta, ha alzato la testa per aprirla, e... Si è bloccato per quanto ha visto nel pallido riflesso.
Ha ingoiato a vuoto, e l'ha spalancata violentemente. Poi è corso fino allo specchio sopra il lavabo; e giunto là di fronte, tenendo lo sguardo fisso alla sua immagine riflessa, ha iniziato a ridere nervosamente, sempre più forte, finendo per fare fatica a respirare, in preda a una crisi isterica che l'ha fatto cadere a terra in pochi attimi.
«Aha, come! Cosa! Aha, aiuto!! Aha, aha! Aha, cosa!! Aha, aha, mamma!»
Dopo solo qualche momento la sua gola era in fiamme, gli occhi gli lacrimavano, la pancia gli faceva male e la botta che aveva preso sulla testa nel cadere pulsava facendogli vedere le stelle per il dolore. Il poliziotto è rimasto in quello stato isterico per una buona mezz'ora, e poi le forze gli sono mancate ed è più svenuto che caduto di nuovo in un sonno destinato a non durare più di un'ora. Al termine di questo breve lasso di tempo, si è alzato e, ormai perfettamente conscio della sua situazione, si è trascinato fino al tavolo della cucina. Là si è seduto, tenendosi la testa dolorante tra le mani, ancora incredulo di quello che aveva appena subito.
Tremava ed aveva ogni estremità del corpo gelata per lo spavento oltreché per la temperatura del pavimento dal quale non aveva potuto spostarsi per mezzo pomeriggio.

«Un sogno...»
L'uomo dai capelli brizzolati e gli occhi grandi e scuri ha appoggiato le spalle sullo schienale della sedia di legno, e ha preso un respiro profondo. Ha allungato le gambe, appoggiato gli avambracci sul tavolo di fronte a sé, ed ha cercato di riprendersi dallo spavento.
Aveva sognato, aveva solo fatto un sogno. Il suo inconscio lo aveva perso indietro, ai tempi dell'accademia e gli aveva fatto rivivere proprio quei momenti. I momenti in cui aveva conosciuto... La persona che più di tutte aveva influenzato la sua vita. Ancor più dei suoi genitori, di suo fratello, di chiunque in senso letterale.
Il motivo per cui quel nome, quel cognome erano tornati alla sua mente dopo tanto tempo - seppure non l'avessero mai completamente abbandonata - era uno e semplicissimo.
Si è alzato ed ha provato a camminare avanti e indietro per la stanza, in un tentativo estremo di scaricare la tensione; e dato che sembrava funzionare egregiamente, ha continuato a farlo mentre si guardava in giro, e mentre guardava la sua stessa anima attraverso quei ricordi che non avevano mai smesso di fargli male.

Il giorno precedente era al lavoro, come sempre; era una giornata comune, stressante come tutte, noiosa al livello di ogni altra. Poi Sally Donovan era entrata dalla porta del suo ufficio, con il suo solito modo di fare; e con leggerezza ha annunciato la fine.
La fine della sua tranquillità. La fine della sua stessa vita, per come se l'era ricostruita. La sua fine; la fine dell'Ispettore Gregory Lestrade.

«Un tale di nome Sherlock Holmes vuole parlare con lei, signore».
Era certo di essere sbiancato, al solo sentire quella parola. Holmes.
Senza trovare la forza di aprir bocca, ha annuito: in un battito di ciglia tutti quei ricordi che aveva addormentato a fatica si erano risvegliati, e prepotentemente avevano iniziato a vorticare nel poco spazio che riservava ai pensieri diversi dal lavoro mentre era in ufficio.
Quando l'alto, snello ragazzo riccio dallo sguardo diffidente e dalle maniere sicure aveva fatto capolino all'uscio, l'ispettore aveva rivisto un pezzo della sua giovinezza tornare con forza nella sua vita.
Era proprio quel bambino che aveva visto crescere? Era diventato il genio che prometteva (almeno ai suoi occhi) di diventare? Se avesse dovuto fare affidamento solo a quanto poteva vedere, avrebbe detto di sì. Ne aveva tutto l'aspetto e ne aveva i modi.
Ma sapeva per certo che, se si era presentato a lui, non avrebbe avuto alcun motivo di doversi fermare al suo aspetto.
«Lestrade!»
La sua voce era bassa - bassissima - molto più bassa di quanto non avrebbe mai pensato che sarebbe potuta diventare. Si era alzato di scatto e gli aveva allungato la mano.
«Sherlock... È un ve-vero piacere rivederti». Accidenti alla balbuzie.
Il ragazzo aveva sorriso; era molto bello, ma la cosa straordinaria era che gli sembrava ancora perfettamente familiare. Come se non fossero passati tutti quegli anni dall'ultima volta che si erano visti.

«Sono davvero lieto del fatto che ti ricordi ancora di me» aveva detto, avvicinandosi e stringendogli la mano, prima di accomodarsi su una sedia compostamente. Il poliziotto si era accomodato a sua volta, e non aveva smesso di squadrarlo per un secondo, con un sorriso congelato sul viso.
«Che... Che ci fai qui?» Aveva chiesto, infine, dopo un bel po' di tempo in cui nessuno dei due aveva fiatato.
«Sono cambiate così tante cose, amico mio, dall'ultima volta che ci siamo sentiti. Io...» Il giovane si era fermato, quasi indeciso su cosa dire per primo. «Io sono qui perché ho diversi problemi. Mi ha mandato Mycroft» aveva aggiunto a bassa voce, prima di mordersi l'interno di una guancia.
Lestrade aveva sentito caldo, d'improvviso. Caldo dentro, e caldo fuori di sé.
«Cosa accidenti è successo?»
Sherlock aveva preso un respiro, e giocherellando con un pezzo di carta sul tavolo gli aveva raccontato dei problemi di droga che lo affliggevano, e di come il fratello avesse tentato ogni via per farlo smettere. Questa era una delle ultime possibilità, ma per quanto riguardava il diretto interessato, «Una collaborazione con il tuo reparto e con te è una delle poche cose che credo potrebbero interessarmi».
Gregory si era inumidito le labbra.
«Ti chiedo solo di poter pensarci un giorno» aveva mormorato, senza trovare il coraggio di guardarlo in volto. Aveva creduto fino a qualche momento prima che quella ferita si fosse richiusa; ma a quanto pareva, si sbagliava - si sbagliava di grosso.
«Fa' con comodo, G... Lestrade. Non voglio essere un problema anche per te. Ma d'altra parte, non desidero rivolgermi a nessun altro ispettore... Non mi sembra giusto, questo è tutto. Ci sentiamo presto, spero»
«Sì, ci sentiamo presto» aveva risposto, insicuro, lui, pur sapendo che sarebbe stato proprio così. Non aveva alcuna intenzione di lasciare quel poveretto al suo destino; non l'avrebbe fatto con nessuno, e tantomeno lo avrebbe fatto con un Holmes.

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