7. Ma non lo voglio.

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Certo è palese che un colloquio non possa bastare a rendere memorabile una giornata. Il poliziotto ha chiuso gli occhi, per poter meglio riportare quanto non poteva fermarsi dal richiamare alla memoria, e ha stretto le mani attorno al piccolo diario.

«La stanza è la 22, nel corridoio 1 del settore B...» [ditemi che non l'ho fatto davvero.]
«Grazie». Il ragazzo, dall'aspetto non troppo simpatico ma dai modi così cortesi, ha accennato una corsa verso la stanza presso la quale la receptionist dai capelli ricci l'aveva appena indirizzato; e quest'ultima l'ha guardato sorridendo mentre lui s'affrettava, sorpresa dalla dualità del comportamento di quel ragazzo non poi troppo più piccolo di lei. Fino a pochi attimi prima, quell'individuo alto, dagli occhi scuri come i capelli corti, zoppicava e aveva un viso tutto contratto nella sofferenza e nello sforzo; ora sì, non riusciva a muoversi in modo completamente normale, eppure non pareva quasi più ricordarsi di qualsiasi cosa si fosse fatto. Appena ha girato l'angolo, comunque, la dipendente ha sospirato ed è dovuta tornare a immergersi completamente nel lavoro.
«Corridoio 1, eccolo là!»
Nonostante l'ospedale fosse su un unico piano, era tutt'altro che piccolo. Gregory non ci era mai stato, e al solo guardare una piantina gli girava la testa: più che chiarirgli le idee, quelle indicazioni lo avevano confuso, tanto che si era ritrovato in pochi attimi nel settore D. Solo attraversandone altri due, quindi, era riuscito a raggiungere quello che lo interessava; eppure anche dopo aver trovato il corridoio che stava cercando, la strada non era destinata a durare poco.
16, 18, 20... Ed ecco la stanza 22!
Gregory si è fermato un secondo davanti alla porta chiusa, appoggiandosi alla parete per riprendere fiato qualche attimo. Non aveva dubbio alcuno riguardo al fatto di aver fatto bene ad essere andato a trovare Hill; doveva, e basta. Non c'era nulla di male in questo, ma tutto di bene.
Ha spinto la maniglia a fondo, ed ha spalancato la porta. Le pareti riflettevano la luce gialla delle lampade, ma il legno scuro dei mobili e delle sedie la assorbiva in gran misura. Le persiane della grande finestra erano accostate ma non completamente chiuse, e il fascio di luce che lasciavano entrare tracciava una linea di netta separazione tra dove stava lui e dov'era sistemato il letto del terribile Joseph. Il pavimento di pietra chiara era lucido di cera, e contrastava con la porta di noce che il giovane visitatore ha riaccompagnato nell'entrare. Oltre a lui e al paziente, in quel momento profondamente addormentato, non c'era anima viva.
Finalmente il ragazzo ha deciso di togliersi l'auricolare, e ha appoggiato il walkman e la giacca su una sedia; dopodiché ha attraversato il raggio di sole, e si è avvicinato a Hill. I suoi capelli biondi, dal taglio pressoché improponibile, erano completamente nascosti da una ricca fasciatura candida. Il colorito del suo volto, già pallido solitamente, rasentava quello della carta; le coperte chiare lo coprivano fin sotto il mento senza lasciare intuire null'altro delle sue condizioni, e così Lestrade non ha potuto fare molto più che rimanere immobile, a guardarlo. Aveva mille idee in testa, cento cose da dire, ma quello stava dormendo e quindi non c'era motivo di aprir bocca.
Si è alzato ed è andato alla finestra; ha aperto le persiane, nella speranza che la luce potesse svegliare Joseph, e non sapendo cosa altro fare, è rimasto davanti al vetro a guardare la sua città da quella prospettiva nuova.
«Lestrade?»
Sebbene quella parola fosse stata a malapena biascicata, con un volume così basso che il frusciare delle lenzuola lo aveva mezzo coperto, il visitatore non ha dubitato nemmeno un secondo che la vitalità usuale in quel ragazzo non se ne fosse andata nemmeno un po'. Prima di voltarsi, Gregory ha esitato: doveva sorridere? Mantenere un'aria seria? O dispiaciuta?
Optando per la prima opzione, si è avvicinato al lettino di Hill tenendo lo sguardo basso. Giunto là, gli ha appoggiato una mano sulla spalla, per fermarlo dallo sforzo che stava per fare per mettersi a sedere; e ha puntato gli occhi nei suoi. Era la prima volta che lo vedeva senza il solito seguito di persone, senza la cresta ai capelli e lo sguardo cattivo: quel giovane e il "Terribile" Joseph di sempre sembravano davvero due persone diverse.
«Grazie di essere venuto. Non me lo sarei mai aspettato».
«Oh, n-non...» Per cercare di dissimulare l'emozione che quella situazione gli stava mettendo addosso, il ragazzo ha fermato il suo intervento facendo una risatina, prima di riprendere a parlare facendo ampi gesti con le braccia: «Da un galantuomo del calibro del sottoscritto avresti dovuto, invece». Hanno riso entrambi ma con fatica, a causa delle costole incrinate.
«Beh, alla fine te la sei cavata fin troppo bene. Insomma, in ospedale ci sono finito io...»
Sorridendo, Gregory si è seduto.
«Non credere che mi sia andata davvero tanto meglio: ho cerotti ovunque, anche se almeno metà me li sono tolti ieri»
«Ci mancherebbe - cioè, se tu non avessi voluto farti almeno un paio di cicatrici, non saresti intervenuto. Comunque, non credevo che fossi così bravo. Che sport fai?»
«Pugilato». Ancora una volta, i due sono scoppiati a ridere, nonostante quella fosse la verità. «E tu?»
«Ho solo qualche attrezzo a casa». Ha esitato un attimo. «Non vorrei dire una frase che suona così, ma odio le regole, e qualsiasi sport è fatto solo di quelle. Non lo puoi mica toccare l'avversario, e oddio, guarda che fallo  hai fatto! Non superare quella linea! Non usare le mani! Ma sapete che vi dico? Io queste mani le voglio usare per insegnarvi le mie, di regole!»
Greg ha riso di gusto.
«Sei fantastico, Hill. Nonostante non approvi ogni cosa che fate, e lo sai bene, credo che tu meriti il posto che detieni nel gruppo»
«Detenevo, intendi»
L'ha guardato, confuso. Con un gesto, Joseph gli ha chiesto di aiutarlo ad alzarsi; e finalmente seduto, ha guardato negli occhi colui che era stato capace di batterlo.
«Perché "detenevi"? Cosa intendi?»
«Ti ricordi che ci faccio qui? Me le hai date di santa ragione, man. E io le ho date a te. Però hai vinto, e per questo hai di fatto prevalso. Il che significa che da oggi, sei tu il capo». Ecco cosa significavano gli applausi di quella mattina, le parole di Arthur, ecco perché Hill stesso era stato sorpreso della sua visita! Il fatto era che non credeva che "l'ultimo arrivato" avrebbe trovato il coraggio di reclamare quanto aveva appena guadagnato; e in effetti, Joseph ci aveva proprio visto giusto. «Ovviamente ti cedo il posto: te lo sei meritato, e sono io il primo a riconoscerlo», ha concluso.
Lestrade ha sorriso - quelle parole gli avevano scaldato il cuore - e scuotendo il capo, ha messo una mano sul materasso, vicino alla coscia di Joseph.
«Ma non lo voglio» ha mormorato, tenendo gli occhi puntati in quelli del ragazzo, che fino ad allora erano stati fissi verso la porta, ma che istantaneamente si sono diretti a ricambiare il suo sguardo con gravità. «Anche ammettendo che io abbia davvero la stoffa per prendere il tuo posto, non ho intenzione alcuna di farlo. Dovrei cambiare troppe cose. E poi anche Arthur perderebbe i suoi privilegi, quindi mi odierebbe... O qualcosa del genere, insomma».
Il silenzio che è sceso tra i due non si è spezzato nemmeno quando la mano di Hill si è appoggiata, leggera, su quella dell'altro.

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