3. Come nuovo.

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L'interno della casa era molto meno umile di quanto l'esterno volesse fare intendere: ma Gregory era talmente concentrato nello sforzo di avanzare velocemente che a malapena se ne è accorto. Un piede dietro l'altro, le braccia spalancate e lo sguardo fisso di fronte a sé; la stanza dentro cui poteva vedere il padre di Mycroft armeggiare si avvicinava sempre più, ma mai abbastanza da poter essere raggiunta. Ad un tratto, il signor Holmes si è voltato, e assumendo un'espressione preoccupata s'è affrettato a venirgli incontro; mentre la testa di Greg ha iniziato a girare vorticosamente, e il terreno sotto i suoi piedi è scomparso.
Mycroft, di fianco a lui, lo ha sentito cedere da un momento all'altro, ma è riuscito miracolosamente ad attirarlo a sé in modo da non farlo cadere; si è fermato e ha atteso che il padre lo raggiungesse; poi insieme lo hanno portato fino al divano in pelle chiara, e ce l'hanno adagiato sopra. Dopo aver guardato per qualche attimo il viso pallidissimo ma tranquillo dell'amico svenuto, Mycroft ha alzato gli occhi verso il padre, e come sempre in quelle occasioni si è voltato per uscire, seppur di malavoglia.
«Myke... Che ne dici di darmi una mano, eh?»
Il ragazzo si è voltato - in primis, per l'indignazione che sentiva di fronte all'ostinazione di qualunque persona conoscesse a chiamarlo con soprannomi e nomignoli verso i quali non intendeva mai assolutamente nascondere il suo astio; ma anche, e forse soprattutto, per la novità della proposta.
«Davvero, papà?»
Il signor Holmes ha annuito con gravità. Era vero, non aveva mai permesso a nessuno (a parte sua moglie, in rare occasioni) di aiutarlo quando sistemava qualcuno o qualcosa; ma ormai Mycroft era un uomo, era anche dannoso oltreché inutile cercare di sostenere il contrario, e non pensava che fosse corretto negargli questo tipo di conoscenze. Infatti era persuaso che sarebbe bastato uno sforzo minimo per fargli imparare tutto ciò che lui sapeva in materia di medicina: certo gli svariati corsi che aveva fatto gli avevano permesso di imparare anche diversi trucchi e molte piccolezze, ma il cervello "vivace" del suo figliolo era molto più attivo di qualunque altro e proprio in virtù di questo, lui credeva che nulla gli sarebbe mai potuto rimanere oscuro.
«Non sono mai stato così serio. Innanzitutto avvicinati» ha iniziato a dirgli, forse un po' insicuro su come dividere effettivamente i compiti. «Se non l'hai già fatto lava a fondo le mani, e poi dovresti iniziare a togliergli la maglia, senza spezzargli quelle poche ossa che ha ancora intatte». Gli ha rivolto un sorriso e un occhiolino, e poi ha aggiunto che lui nel frattempo avrebbe finito di prendere gli attrezzi e i flaconi che mancavano. «Bisogna agire in fretta: Gregory non mi sembra affatto messo bene». Il ragazzo ha annuito con serietà.
Voltato di nuovo verso il corpo inerme dell'amico, al pensiero di doverlo spogliare è leggermente arrossito; ma questo era il suo compito e non avrebbe lasciato solo quel poveraccio che si era ridotto in uno stato del genere proprio per lui. L'ha messo quasi a sedere dolcemente, accompagnandolo per la testa e le spalle; gli ha rimosso la felpa senza fatica, e sotto di essa una maglietta per molta parte sporca di un cupo rosso già permetteva di immaginare il suo corpo tonico. Mycroft però non ci ha prestato troppa attenzione: c'era troppo sangue, molto, molto più di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Improvvisamente allarmato si è impegnato a levargli la t-shirt di dosso senza rovinarla; e per fortuna in quel momento è rientrato suo padre, che con il suo urlo poco frenato ha coperto il suo singhiozzo. Il petto muscoloso e il torace di Greg erano viola di lividi e rossi di sangue; non c'era una zona di pelle del suo colore chiaro, naturale che fosse più estesa di cinque centimetri quadrati. E la situazione era simile sia davanti che dietro.
«Hill» ha mormorato con astio Mycroft, ribollendo di rabbia. Il padre gli ha appoggiato una mano sulla spalla, e l'ha aiutato a riadagiare il corpo dello studente poliziotto sul divano.
«Riaccompagna la porta, Mycroft: tuo fratello e tua mamma hanno lo stomaco più
debole del nostro» ha sussurrato, mentre già impregnava un panno di disinfettante. Si era aspettato una situazione del genere, quindi riguardo alla possibilità di riuscita dell'operazione era completamente tranquillo; era la reazione di suo figlio ad averlo preoccupato, quindi iniziava a chiedersi se aveva fatto bene a renderlo partecipe.
«Papà, cosa posso fare nel frattempo?»
L'uomo ha spostato lo sguardo negli occhi del suo primogenito. Era fenomenale. Non si sarebbe mai aspettato di poter dare al mondo un'anima così, mai... Era quasi convinto che tutto il merito fosse della moglie, ma rimaneva comunque un grande motivo di orgoglio, per lui. In quell'ormai tutt'altro-che-piccoletto risiedeva un po' del suo patrimonio genetico; e il suo cognome era passato a identificare anche lui, quel non più piccolo prodigio. Anche Sherlock non era da meno, ma a undici anni gli sembrava ancora presto per trarre conclusioni...
«Tieni, puoi disinfettarlo tu. Proverò a capire se si è rotto delle ossa (e nel caso, quante ne ha disintegrate) solo quando avrai finito».
«Ne deduco che dovrei sbrigarmi...»
«Perfetto. Bravissimo».

°•°•°

«Gregory? Gregory, se mi senti rispondimi...»
«Mmh... S-sì, sì, sento».
«Gregory!»
Il ragazzo ha spalancato gli occhi.
«Greg» ha mormorato, mentre si guardava in giro. Si è portato una mano alla testa, e nel farlo se l'è scoperta completamente fasciata. «Mycroft! Che ci fai qui?» Si è bloccato un attimo. «Aspetta, riformulo. Che ci facciamo qui? E soprattutto... Dove siamo?» ha concluso, con una smorfia per una fitta di dolore.
«Sei nella stanza degli ospiti di casa mia... Ti abbiamo dato un primo soccorso che dovrebbe bastare. Insomma, sei come nuovo»
«Oh. Capisco... Beh, grazie!» Nel pronunciare queste parole, finalmente si è deciso a guardare il volto del suo amico, e oltreché totalmente esausto, l'ha trovato preoccupato. Gli ha sorriso timidamente, ma la smorfia che ha ricevuto in risposta non era particolarmente convincente.
«Tutto bene, amico mio?»
«Sì, Gregory, va tutto bene». Mycroft si è alzato dalla sedia su cui si era seduto ad aspettare che si svegliasse. «Solo che sei svenuto, ti abbiamo "operato" e... Beh, ormai è sera. Chissà cosa penseranno i tuoi familiari, saranno preoccupati».
Gregory non è riuscito a contenersi, ed ha riso.
«Su con la vita!» Ha esclamato, pentendosi subito dopo di aver alzato così la voce per l'attacco di dolorosissima tosse che è seguito. Quando è finito anche questo, si è asciugato gli occhi dalle lacrime e ha guardato il viso dell'altro cercando di mostrarsi sereno. «Sto bene, sto bene. Comunque, non devi preoccuparti dei miei».
La verità era dura, era tremendamente dura e odiava le espressioni delle persone quando la venivano a sapere. Nessun amico o conoscente più o meno stretto al quale avesse potuto nasconderla l'aveva mai anche solo accennata, e non aveva la minima intenzione di rivelarla a questa persona che conosceva a malapena. Forse gliene avrebbe parlato in futuro, se si fosse rivelato necessario, ma certamente non in quel momento. «Infatti, sono in vacanza all'estero, e... Nemmeno ho i soldi per chiamarli. Quindi... Davvero, non è un problema che io non sia tornato a casa come al solito». Sperava di aver avuto un tono convincente nel raccontare la solita frottola; e dall'espressione del ragazzo, pareva proprio di sì.
«Capisco. Uhm, e allora ho fatto bene a portarti qui: hai rischiato grosso. Saresti potuto svenire-»
Mycroft si è bloccato. Sarebbe potuto svenire in ogni momento, in effetti: in bici, in mezzo alla strada, nel cortile di casa sua - se ne aveva uno - o addirittura dentro, e in questo caso chi se ne sarebbe accorto? Chi l'avrebbe aiutato? Addirittura gli è venuto da chiedersi se sarebbe sopravvissuto. Ma ovviamente si è riservato dall'esprimere questi pensieri.
«Già; nemmeno io mi sarei aspettato di ridurmi in questo stato» ha borbottato Lestrade, passandosi una mano sul torace e scoprendo che era tutto incerottato anche là.
A quel punto è giunta una voce da fuori dalla porta, la voce lontana della madre che annunciava che la cena era pronta.
«Hai fame?»
Greg ha guardato il suo amico con uno sguardo di sfida.
«Muoio di fame».
«Allora ci avevo visto giusto!» Ha concluso lui, aiutando l'altro ad alzarsi. Certo, aveva fatto preparare un piatto in più soprattutto nella speranza che anche Gregory avesse potuto partecipare alla cena; e proprio per questo era felice.
Una volta ogni tanto, una sua speranza si realizzava.

Orfano e ateo || Mystrade ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora