19. Null'altro da dirci.

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Pur non potendo ricordare nulla di quella serata, Greg (anche solo per questa "amnesia") sapeva alla perfezione di essersi ubriacato. Era cosciente della cosa già la mattina successiva - la testa gli girava - e non l'ha mai dimenticata, realizzandola ancora una volta alla mirabile distanza di ben oltre vent'anni mentre era in ufficio, durante una delle tante sue pause caffè.

Dopo quella sera, infatti, Mycroft non era più stato lo stesso.
Innanzitutto, poteva ben immaginare perché avesse deciso di tornare a casa per la notte - sicuramente lui non era completamente alticcio, al contrario suo, e per questo molto probabilmente la mattina seguente Gregory l'avrebbe svegliato, dato che il post-sbornia su di lui iniziava a farsi sentire alle 6 della mattina.
E in secondo luogo, se della discoteca non riusciva a ricordare il minimo particolare, di quella notte a casa sua, qualcosa gli era rimasto.
Il buio completo, e in esso movimenti, fruscii, baci e ancora baci. Lui e Hill. Lui e Jo. Per la seconda volta, solo loro due sotto uno sforzo che qualche momento prima dell'alba era diventato un sonno necessario, prolungato fino a quel pomeriggio tardi... E che aveva avuto ripercussioni sul loro rapporto in modo incisivo. 
La prima volta ha un qualcosa di magico, che la rende incredibile. La prima volta fa sognare.
La seconda è sostanzialmente diversa. È la conferma, è sicurezza: se la prima è spesso attrazione, la seconda è per forza amore - o per lo meno, così era stato per loro, che comunque nei giorni a venire avevano tacitamente scelto di non fare intendere cosa ci fosse davvero tra loro a nessuno. Infatti si trattava di una notizia "pesante"; e... Chissà quanto tale relazione sarebbe durata.
L'ispettore ha sospirato.
Se era vero che quel periodo con Hill era stato uno dei più belli della sua vita, era altrettanto reale che da allora e fino a qualche tempo prima - quando Sherlock Holmes in persona si era presentato a lui, chiedendogli aiuto - aveva dovuto affrontare una perdita... Quella perdita che aveva temuto così tanto.
Mycroft non si era più fatto vivo per almeno una settimana, dopo il suo compleanno. Giovedì Lestrade, per questo, aveva intenzione di chiedere a Joseph di andare a trovarlo; ma quello era così su di giri da avergli completamente tolto il coraggio di farlo.
La sera, tornato a casa tutto solo, a un tratto si era sentito così male con sé stesso da aver sentito l'urgenza di andar da lui, e dopo essersi cambiato (quanto poteva bastare a rendersi presentabile) si era avviato per davvero; solo che giunto davanti al portone di casa sua non se l'era sentita di disturbarlo, e così era tornato sui suoi passi. 
Per giorni ancora aveva dovuto attendere, sempre più preoccupato da cosa diamine lui potesse avere; e finalmente (quanto inaspettatamente), un pomeriggio il suo campanello era suonato.
«Sì, chi è?»
Una voce familiare, anche se ovattata e distorta dal citofono, gli aveva risposto fredda: «Sono Mycroft, e avrei piacere che tu scendessi per ascoltare quanto penso sia giusto che tu sappia».
Senza neppure rispondere, Greg si era letteralmente lanciato giù per la rampa di scale che lo divideva dal portone presso il quale il ragazzo lo aspettava, in piedi. Arrivato al pianerottolo aveva schiacciato il pulsante per fare scattare la serratura, e notando che l'amico non accennava a volerlo aprire - rimanendo invece là ritto, con lo sguardo fisso verso il muro che aveva di fronte - si era bloccato. I capelli un poco più lunghi del solito pettinati indietro, la mise elegante ma non esagerata e soprattutto il profilo perfetto del suo viso lo rendevano un vero e proprio spettacolo di classe; e lui non aveva saputo trattenersi dal guardarlo qualche attimo, immobile, nel silenzio. Al contrario suo, lui aveva addosso gli abiti da "lavoro", ed era qualcosa di molto vicino all'impresentabile.
Muovendo un passo nella direzione dell'amico aveva attirato la sua attenzione, facendo sì che quello muovesse il capo per rivolgergli almeno uno sguardo; e il contatto visivo con quegli occhi di ghiaccio gli aveva provocato un brivido.
Una volta finalmente raggiunta la porta, curandosi di farlo piano l'aveva spalancata.
«Hey, Myc!»
Qualche secondo di silenzio.
«Mycroft, grazie». Gregory era rimasto a bocca aperta. «Non ti toglierò molto tempo. Voglio solo avvisarti che sono in procinto di partire».
Tentando di dissimulare tutta l'ansia che aveva addosso, il giovane aveva sorriso.
«Che-che bello... E, se mi è lecito saperlo, dove vai?»
«India». La risposta sbrigativa, data con indifferenza, l'aveva colpito come un pugno dritto sullo stomaco. «Stage» aveva aggiunto Mycroft, abbassando il capo, avendo notato il prolungato silenzio dell'altro - che non si era interrotto neppure con quell'intervento. Aveva ragionato molto in quei giorni, per cui era estremamente sicuro di quanto andava dicendo; ma nonostante questo, e le infinite prefigurazioni che si era fatto, la tristezza che ha pervaso ogni fibra del corpo dell'amico lo aveva scosso decisamente più del necessario.
«Certo. Certo, capisco». Il tono di voce che era uscito a Greg era così basso da non sembrare quasi nemmeno più il suo.
«Ma tornerò» aveva mormorato allora, cercando di trovare un po' di rabbia da qualche parte ma, ovviamente, senza riuscire minimamente a trovarla. In effetti non era mai stato arrabbiato, in fondo. Si sentiva solo infinitamente... Deluso da sé stesso. E forse, un pochino, da Gregory.
Quest'ultimo, da parte sua, faceva una fatica immensa ad anche solo immaginare cosa avesse potuto disturbarlo così tanto da non farsi più vedere. Non potendo ricollegarlo con sicurezza a qualcosa che poteva essere accaduto durante la serata di quel sabato, era stato per lui automatico associarlo alla partenza imminente; ma si rendeva conto che lui con quel viaggio o non aveva nulla a che fare (poco probabile), oppure tutto.
«E quando... Quando tornerai?»
«Non ne ho idea. Indicativamente, potrei dirti due mesi».
Lestrade non aveva detto nulla. Perché non gliene aveva mai accennato? Un viaggio di due mesi in India non si programma in una settimana...
«Beh, credo che non abbiamo null'altro da dirci. Arrivederci, Gregory». Mycroft si era voltato ed aveva mosso un passo verso il cancelletto, ultimamente sempre spalancato; ma il giovane lo aveva fermato, sfiorandogli timidamente una spalla. Aveva in mente tante cose da dire, ma il coraggio...
«Ah. E salutami Joseph» aveva aggiunto l'altro, fermandosi senza girarsi a guardare nuovamente l'amico in viso. Aveva la vista appannata dalle lacrime, di nuovo; e nessuna intenzione né modo di cambiare il suo programma. Non aveva esitato, quindi, un millisecondo di più ad andarsene, lasciando un confuso e depresso Greg tutto da solo, con un piede a bloccare la porta a vetri e la spalla opposta appoggiata allo stipite mentre lo fissava allontanarsi.

Orfano e ateo || Mystrade ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora