9. Parlare.

241 28 13
                                    

«Mycroft».
«Fratellino caro. Che gran piacere rivederti». L'accoglienza gelida che il maggiore degli Holmes ha riservato al suo protetto non ha affatto sorpreso né scoraggiato quest'ultimo, anzi l'ha spronato a finire quanto aveva iniziato recandosi nel lussuoso quartiere in cui Mycroft era riuscito ad andare ad abitare non molto tempo prima (lasciandolo solo, a casa, con i loro genitori).
«Posso entrare o sono di troppo?»
Sbuffando, l'uomo di governo ha lasciato un po' di spazio al fratello perché potesse entrare.
«Che vuoi?» Ha chiesto, scocciato perché non aspettandosi quella visita, stava vedendo sfumare i suoi propositi per quella sera.
«Parlare». Lo sguardo di sfida che ha accompagnato queste parole ha fatto sorridere maliziosamente entrambi.
«E parlare di cosa?»
«Ma di cosa? Uhm. Siediti... Guarda, mi siederò anch'io. Cos'è quello, Muller Thurgau? Ma è il mio vino preferito!»
Appoggiando la fronte su una mano, Mycroft gli ha fatto il gesto di servirsi.
«Silenzioso stasera, eh? Beh, meglio per me». Il ragazzo riccioluto ha sorseggiato con gusto il contenuto del suo bicchiere, e poi si è sistemato meglio sulla sedia. «Bene, quello di cui voglio parlarti... Eddai, non fingiamo: sai benissimo di cosa si tratta». Era ovvio che lo sapesse, anzi il contrario non era semplicemente improbabile: era certamente impossibile.
«Gregory impara in fretta, ma altrettanto in fretta dimentica. Anche se in trent'anni, non so chi potrebbe non sforzarsi di dimenticare». Ha sospirato. «Ho sempre cercato di insegnargli a dissimulare un po' le sue emozioni, ma non ci è mai riuscito molto bene. E devo ammettere che non ho nemmeno preso in considerazione che avesse potuto provare a impararlo in mia assenza».
«Non girarci intorno» ha detto a bassa voce il più piccolo, versandosi un altro bicchiere.
«Intorno a?»
«Voglio sapere. E basta. Voglio sapere tutto». Il consulente investigativo ha inarcato la schiena per avvicinarsi di più al viso serio di suo fratello. «Voglio assolutamente sapere cosa significa la faccia che ha fatto Lestrade nel sentire pronunciare il tuo nome, cosa si nasconde dietro questa reazione e non desidero dover indagare da me».
Mycroft ha incrociato le gambe, buttato la testa all'indietro e assunto un'espressione stanca, prima di rispondere con l'ennesima domanda alle inutili pretese di quel debito di un consanguineo che gli era capitato di dover sopportare.
«E da dove sarei tenuto a iniziare a raccontare una storia così lunga e noiosa?»
«Ma da dove, se non dall'inizio?»
Non ne aveva voglia. Ma sapeva molto bene che prima o poi, quel momento sarebbe arrivato e per questo, aveva già preparato tutto il discorso.
Tutti così lenti... Così prevedibili...
«Dunque, tanto per iniziare, quando io e Gregory ci siamo conosciuti tu avevi undici anni. Non credo che tu possa ricordarti di lui, però»
«Ricordo che verso quell'età, quando avevi diciotto, diciannove anni, eri spesso fuori con un gruppo... Non ricordo di una persona sola, non ricordo nemmeno i volti di tutta quella gente che vidi forse due volte in totale in tutta la mia esistenza». Questo era strano, ma non era certo la cosa più strana che quel ragazzo avesse mai fatto o causato.
«Bhe, non è così importante - non per ora. Quello che non posso evitare di dirti è che fino a diciott'anni sono sempre stato senza amici, senza compagnia; frequentavo club di lettura, circoli a riguardo di musica classica, e per un paio d'anni ho provato a imparare a suonare il pianoforte. Noia, che noia che provavo! Ma non mi sembrava possibile fare altro; quindi mi accontentavo».
Sherlock ha arricciato il naso. Suo fratello annoiato dalla musica classica e dal pianoforte? Ma davvero il Mycroft di adesso e quello di una volta condividevano lo stesso patrimonio genetico?
«Era la primavera dell'ottantatré quando ho conosciuto Gregory». Quella frase suonava abbastanza male, ma non era nulla di diverso che la realtà. «Non credo che le circostanze siano molto importanti. Lui frequentava l'accademia di polizia che ha sede di fianco a dove sia io che tu abbiamo preso la laurea, e così un giorno è accaduto che i nostri destini si sono incrociati, su un marciapiede. Sono entrato nel suo gruppo metà volente e metà nolente, ma alla fine ho gradito quel periodo e quelle persone. Non si pensava a troppe cose, in compagnia. Ci si sentiva bene, si ascoltavano le stesse cose, si indossavano gli stessi vestiti, si parlava in maniera simile; l'unica cosa che variava un po' erano i capelli». Ricordava molto bene il taglio che aveva il capobanda i primi tempi, prima di rasarsi a zero come la moda dettava; ma ancor più non riusciva a dimenticare i capelli morbidi di Lestrade, spesso lucidi di brillantina, o più frequentemente soltanto phonati in aria.
«Avevi il ciuffo!» Ha esclamato d'improvviso Sherlock, rompendo la quiete che si era formata in qualche attimo di silenzio. Hanno sorriso entrambi; la loro madre amava quel taglio, mentre il signor Holmes lo trovava ridicolo, quindi avevano scherzato su quella piega curiosa tanto a lungo da non aver smesso nemmeno quando il diretto interessato se l'era tolta.
«Non solo: avevo il ciuffo, la canottiera, certe catene al collo, e mille anelli alle dita...»
Sherlock lo ascoltava con la bocca spalancata - era incredulo. Perché non se lo ricordava così?
«Ovviamente cercavo di non mostrarmi così ai nostri genitori, che probabilmente hanno del tutto ignorato quella mia fase. Ma se inizialmente mi sono lasciato influenzare da quel gruppo di sbandati-»
«È con loro che hai iniziato a fumare?»
Interromperlo così poteva significare solo una cosa: che voleva sentire di più su quel periodo. Matematico.
«Già. Ma io consumavo solo tabacco, sia chiaro». La frecciatina ha fatto diventare la punta delle orecchie del fratello rosse di vergogna; ma nessuno dei due ha voluto farci caso.
«E dimmi un po'; di chi è il merito del tuo... Primo cambiamento di stile?»
L'uomo ha sentito un brivido scendergli lungo la spina dorsale. Come aveva insegnato a fare al fratello ai tempi, ha chiuso gli occhi ed è sprofondato nel suo praticamente sconfinato palais mental; e quando ha "ritrovato" un'immagine di Lestrade ai tempi dell'accademia, ha sentito qualcosa al petto. Una fitta, un calore, un bisogno di piangere.
Scuotendo la testa è tornato nel mondo, nella sua sala bordeaux, sulla poltrona di fronte a Sherlock.
«La banda si riuniva di preferenza il giovedì, e quindi un mercoledì io e Gregory ci siamo incontrati e siamo andati a... Trasformarci insieme» . Al ragazzo è parsa strana anche l'idea di quel così ordinario detective ispettore acconciato da pseudo-punk, ma non ha espresso la sua idea per non bloccare il racconto che il fratello aveva impiegato così tanto ad iniziare. «Ho sprecato quasi metà dei miei risparmi per diventare un membro degno del posto che pareva spettarmi, da amico del quasi-capo; ma ancora una volta, penso proprio che ne sia valsa la pena, piuttosto che sprecarli in cassette di musica classica e lezioni su lezioni di piano». Pure ignorando il significato dell'appellativo che era stato usato per indicare l'ispettore, il consulente ha scelto di lasciare continuare ancora il racconto, destinato più ad essere raccontato a sé stesso, da parte di Mycroft, che a lui.
«Quel giorno...

Orfano e ateo || Mystrade ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora