21. Una ferita ancora spalancata.

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Il ministro ha rivolto uno sguardo stanco al paesaggio fuori dal finestrino. Era in viaggio da diverse ore - principalmente perché il luogo presso il quale si stava recando non poteva essere raggiunto con altri mezzi che l'automobile - e la schiena cominciava a dargli noia. Le sospensioni incerte del fuoristrada, infatti, attutivano a fatica le numerose buche presenti in quella strada dimenticata, e questo si faceva sentire in modo rilevante sulla sua spina dorsale disabituata; in più il sonno che da giorni lo perseguitava gli faceva chiudere gli occhi, anche dopo che sobbalzi su sobbalzi lo avevano scosso facendogli battere ripetutamente la testa contro il vetro, rendendo l'intero viaggio nulla di diverso da un alternarsi unico di fastidi.
Per l'ennesima volta, si è raddrizzato sul sedile. Era troppo alto per poter usare il poggiatesta, ma almeno le sue gambe ci stavano quasi completamente, in virtù del fatto che l'autista era poco più che un omiciattolo. Comunque, nonostante i suoi sforzi assidui e ininterrotti da quando il viaggio era incominciato, non era ancora riuscito a trovare una posizione comoda. Riusciva a ricordare solo un'altra occasione in cui aveva fatto un viaggio miserabile ai livelli di questo; era stato uno dei veramente pochi in cui aveva dovuto effettuare una scelta, che ovviamente (dato il soggiorno lungo non-era-previsto-quanto che si stava accingendo ad affrontare) era ricaduta su un albergo di un livello adeguato, piuttosto che su un viaggio confortevole; e col senno di poi non avrebbe potuto scegliere meglio, innanzitutto perché in prima classe avrebbe viaggiato quasi per sempre, ma più che altro per il fatto che quella "vacanza" era durata qualche mese. Qualche lungo mese, l'aveva sempre definita lui; anche se sicuramente, a coloro per i quali aveva lavorato, quell'esperienza - come qualsiasi cosa positiva - doveva essere apparsa troppo breve.
L'India era un paese stupendo, almeno agli occhi del ragazzino che era allora; ma col tempo Mycroft avrebbe capito che nulla mai gli sarebbe risultato più gradevole di Londra e dell'Inghilterra, la sua patria. Questa linea di pensiero sarebbe poi stata, infatti, una sua caratteristica permanente; ma allora (dato che era la prima volta che si allontanava dal suo nido) non era così evidente. Anzi, il pensiero di una terra nuova e sconosciuta, e di una lingua, una cultura e delle abitudini diverse dalla sua routine lo allietava talmente da risultare in grado di restituirgli addirittura una parvenza di serenità.
Non era stato un viaggio felice, comunque.
Come stava facendo in quel momento, non seduto di sbieco sui sedili posteriori di quella vecchia Toyota grigiastra ma composto, in terza classe, su un volo di (in partenza) sola andata trenta o qualcosa del genere anni prima, ha cercato rifugio e distrazione nelle nuvole al di fuori del mezzo ugualmente rumoroso e traballante.
Finito il rettilineo, il fuoristrada si è fermato, e insieme ad esso gli occhi del passeggero si sono bloccati sulla sagoma scura e snella di un lampione spento piantato a illuminazione dell'incrocio. Certo, spento sulla strada perché sebbene fosse una giornata nuvolosa la luce solare non mancava; eppure acceso e quasi abbagliante nel suo stesso sguardo, che ancora una volta non era rivolto alla realtà, ma al riflesso tenue dei ricordi che la offuscava.
L'aura rotonda di luce dorata emanata da un lampione che era appena fuori dalla sala d'aspetto dell'aeroporto aveva, infatti, catturato la sua attenzione mentre era fuori a concedersi quelle sigarette che, infine, non aveva resistito a iniziare a usare. L'apparecchio faceva risplendere i sassi a terra, umidi dell'ultima pioggia, dall'alto di dove arrivava a trovarsi la sua lampadina.
Esso saliva così in alto e resisteva alle intemperie, alle controversie, persino ai dispetti che giovani e adulti gli facevano pitturandolo o attaccandoci volantini e stickers, mantenendosi dignitosamente ed orgogliosamente ritto a svolgere il suo compito; e sicuramente, per questi motivi qualcosa in comune con esso gli è sembrato di averlo. Più lampante, comunque, tra loro era la differenza; e consisteva tra le altre cose nel fatto che mentre quello arrivava così lontano solo per illuminarsi i piedi, lui, Mycroft, non avrebbe vissuto soltanto in funzione di se stesso. Effettivamente già la decisione difficile che aveva preso e che, in quel momento, stava portando avanti, aveva un motivo ben preciso per essere stata fatta; l'aveva maturata nelle notti insonni che aveva dovuto affrontare dopo la serata di quel suo maledetto compleanno, perseguitato dall'immagine delle labbra di Hill e di Lestrade che si congiungevano frantumando in un solo tocco tutte le sue speranze più segrete.

Lui non sa chi sono. Lui, anche se effettivamente provasse qualcosa per me, non starebbe amando il sottoscritto; ma quanto vede incarnato nella mia persona, e forse non ci distingue altro che sé stesso. Non durerebbe tra noi.
Allontanandomi da lui lo sto salvando; sì, solo così è possibile farlo. E non mi tirerò indietro.

Come fossero scolpiti nella pietra, quei pensieri gli risultavano inobliabili sin dalla prima volta che li aveva formulati; e proprio come in quel momento si è sentito male, avvertendo distintamente bruciare una ferita ancora spalancata nel suo cuore.

Quando era tornato dall'India aveva provato a frequentare, come se nulla fosse, la compagnia di Hill praticamente ridotta a una libera aggregazione di vecchi amici, e fino alla laurea era rimasto in contatto con loro; ma l'aveva fatto in modo sostanzialmente differente rispetto a prima, sempre più freddo e sempre più lontano da tutti fino a fare qualcosa che lo rendeva simile a un piccolo iceberg - isolarsi nello studio e nel lavoro, tranciando ogni rapporto e comportandosi come se tra lui e il resto del mondo ci fosse un abisso.

Non ne era mai uscito.

Orfano e ateo || Mystrade ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora