Il profumo intenso della salsedine marina, il rumore delle onde che si infrangevano sulla spiaggia e la morbida sabbia sotto i piedi. Yuki aveva sempre detto che la sua vita era come l'oceano, o in giapponese Umi; era vasta, intrepida come la stessa massa d'acqua. I suoi pensieri, i suoi dubbi, le sue preoccupazioni le aveva sempre donate al mare. Quando era bambina suo padre andava spesso a pescare portandola spesso con lui, era su quella spiaggia che si era sempre allenata a ballare, cercando di fare il minimo rumore, per non distrarre il padre da quello che stava facendo. Davanti a quel mare era cresciuta, davanti a quel mare aveva coltivato una passione, ma quella passione l'aveva portata a stancarsi e a fare altro nella vita. Le era rimasto impresso però quel mare, quel luogo l'aveva sempre trasportata e quando si era sentita sola e triste il mare l'aveva fatta sentire a casa. In Corea non era mai riuscita ad andare al mare, o almeno quando seguiva i suoi artisti in Tour non si era mai fermata realmente a festeggiare o guardare l'alba dalla spiaggia. La sua vita era sempre stata troppo frenetica e i suoi tempi erano sempre stati troppo stretti. Lavoro, lavoro, lavoro; la sua vita l'aveva dedicata a quello sin da quando era una ragazzina. Non aveva mai detto, però, di aver sprecato la sua vita. Ogni secondo per lei era sempre stato importante, era sempre stato interessante; l'aveva sempre tenuta impegnata e non si era mai annoiata.
Le mancava il mare, il freddo ed intrepido oceano. Le mancavano gli scogli dove suo padre di sedeva per pescare, mentre lei ballava sulla spiaggia silenziosa. Voleva tornare a quando era una bambina e suo padre la portava con sé, voleva guardare le onde infrangersi su quella scogliera e non voleva crescere. "Ti dovevo chiamare Umi, non Yuki" le aveva ripetuto spesso suo padre, quando ormai era sicuro di non riuscire più a prendere nessun pesce. "La neve è leggera, arriva silenziosa; tu sei come l'oceano, arrivi prorompente e sei uno spirito libero" diceva in seguito facendola sorridere. Suo padre aveva ragione, aveva sempre saputo che il suo carattere e la sua determinazione non l'avrebbero mai tenuta a Tokyo. Sapeva anche che aveva spezzato il cuore dei suoi genitori quando era partita. Era una notte di Gennaio, la neve cadeva lenta in una danza di fiocchi bianchi come il latte. La sua valigia rossa come il sangue in una mano, mentre con l'altra chiudeva senza fare rumore la porta di casa. Era arrivata come la neve e se ne sarebbe andata come essa, lasciando un grande vuoto nei cuori di chi l'aveva e l'ama ancora. Tokyo era troppo piccola per lei, ma allo stesso troppo grande e chiassosa; non poteva rimanere. Camminò a lungo sulle strade innevate della capitale, mentre guardava la neve attecchire al suolo. Le sue lacrime le bagnavano le guance fredde e rosate, convincendosi che quello che stava facendo era la scelta migliore. Sparire, cambiare vita, cambiare la sua routine. La solitudine l'avrebbe sempre accompagnata durante il suo viaggio, ma a lei sarebbe andato bene così. La sua valigia e se stessa.Strinse con forza il coltello cercando di trattenere le lacrime, i ricordi ancora la tormentavano, nella sua mente sempre la stessa scia di immagini, nulla era cambiato. Si alzava la mattina con gli stessi pensieri e ricordi di quando era solo una ragazzina e ancora piangeva davanti ad essi. Non riusciva a stare nemmeno cinque minuti senza pensare a quella notte. La neve che cadeva, il freddo e il rumore dei suoi piedi a ogni passo sulla neve gelata; quello era il ricordo più doloroso, ma più cercava di andare avanti e dimenticare; più questo penetrava nella sua mente costringendola a ricordare il dolore e il vuoto che aveva lasciato.
Lasciò cadere a terra il coltello, mentre i clienti si voltavano a guardare che cosa stesse succedendo. Si nascose nella cucina, portandosi una mano al cuore, mentre stringeva i denti per non dare sfogo al suo dolore. Chiuse gli occhi e prese un bel respiro profondo, cercando di non farsi sopraffare da quelle inutili emozioni. Guardò i dolci ancora appoggiati sul bancone in acciaio della cucina; i colori così intensi del rosa e del rosso delle fragole crearono in lei un senso di armonia. Si avvicinò al vassoio e li guardò come se fossero la più bella delle opere d'arte. Non si fermò molto ad osservarli, aveva paura che se lo avesse fatto i ricordi avrebbero preso nuovamente il sopravvento su di lei. Prese con attenzione il vassoio, tornando davanti alla vetrina dei dolci, per sistemarli al suo interno. I clienti non la guardavano più, erano tornati a mangiare facendo finta di nulla, come se non fosse successo niente. A loro cosa poteva importare, sarebbero tornati comunque solo perché i dolci erano buoni e per scattare fotografie a quello che mangiavano, per poi mostrarle ai loro amici. A loro non interessava che cosa fosse accaduto realmente, si voltavano, la guardavano e poi facevano nuovamente finta di nulla per non rovinarsi la giornata. La loro indifferenza era quasi spaventosa ed inquietante, ma Yuki preferiva che fosse così, voleva che la gente le prestasse la minor attenzione possibile. Terminò di sistemare la vetrina, pronta a preparare nuovi dolci, quando qualcuno entrò dalla porta principale del negozio attirando la sua attenzione. Un ragazzo alto, con il viso nascosto da una mascherina bianca come la neve ed un cappellino con la visiera nero come l'oscurità, entrò all'interno del negozio senza nemmeno alzare lo sguardo per salutarla. Indossava una maglietta dello stesso colore della mascherina che usava per coprirsi il volto e sopra di essa un trench beige. Teneva lo sguardo fisso sulle mattonelle del locale, mentre le passava di fronte per andare a sedersi in uno dei tavoli più isolati del locale. Solo lei aveva notato quella presenza così misteriosa, nessun all'interno del locale si era voltato per mostrargli la minima attenzione. Continuavano a parlare, come se non fosse successo nulla di così eclatante. I suoi occhi erano concentrati su quel ragazzo, sulla sua presenza così intensa da catturare la sua attenzione. Si pulì le mani piene di farina nel grembiule, prendendo successivamente il blocchetto delle ordinazioni, che solitamente non era solita utilizzare. Si avvicinò al tavolo dove vi era seduto il ragazzo e prima di domandargli cosa volesse ordinare, si fermò per qualche secondo ad osservarlo. Aveva le mani molto curate e i tratti del suo viso sembravano ben delineati. Oltre alla forma dei suoi occhi non riusciva a notare nessun altro dettaglio del suo viso. Era molto coperto e non sembrava nemmeno intenzionato a mostrarlo; appoggiò il suo telefono sul tavolo e a quel gesto Yuki scosse la testa, come se si fosse appena stata destata da un sogno. -Cosa desidera ordinare?- gli domandò la ragazza con il suo solito sorriso sulle labbra, come se quello fosse il marchio di fabbrica del suo negozio e del suo successo. -Umi- rispose semplicemente lui con un tono di voce caldo e suadente, come se nel dire quella parola ci avesse messo molto impegno.
Al solo pronunciare di quella parola, la ragazza ebbe un sussulto; -mi hanno parlato molto bene di quella bevanda, dicono che porti direttamente nell'oceano- continuò il ragazzo e lei annuì con un cenno del capo, scrivendo con mani tremanti sul blocchetto quello che il ragazzo aveva ordinato.
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Beauty Cake
FanfictionYuki è una ex make-up artist e una ex ballerina. Il suo lavoro era quello di seguire gli idol in giro per il mondo per poterli truccare e ballare per loro, ma un giorno decise di abbandonare tutto e di aprire un caffè shop nel centro di Seoul, riusc...