17 - India

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Passiamo tutto il tragitto - rigorosamente a piedi - dalla mostra al ristorante scelto da Jonathan a litigare.

In realtà, sembra che sia solo io a litigare. Dico una cosa e Jonathan dissente tranquillamente o conferma le sue idee, poi commenta qualcosa di cui dovrebbe interessarmi, all'infuori di noi, senza efficacia.

È come prendere la rincorsa e andare a sbattere contro un masso enorme. Irremovibile. Indistruttibile. Immacolato.

- Questo è il ristorante indiano migliore che io conosca. La gente si ferma spesso al Desi Deli, e va benissimo, ma qui c'è un'atmosfera tutta diversa e chi lavora ti fa sentire ospite in casa sua. Sembra di entrare in un altro mondo. Prova. - mi sorride Jonathan.

Gli ho appena detto che è un disgraziato perché fa sempre come vuole lui, ma lo ritrovo a sorridermi.

Poggia una mano sulla mia schiena e mi esorta ad entrare in un ristorante mai visto. Eppure, vivo a Londra da sempre.

- Salve, signori, volete un tavolo per due? - ci accoglie una ragazza.

È vestita di arancione con un abito tipico indiano e un drappo che scende lungo la sua figura, un velo trasparente color turchese è sistemato abilmente sul capo per permettere di intravedere la chioma lucente del colore della notte, ma senza poterla osservare in toto. Il viso, delicato nei tratti ed intenso nel colore rosso delle labbra e nel nero degli occhi, contornati di nero lungo la palpebra superiore, che termina con una coda felina di eye-liner, e di turchese lungo quella inferiore, a richiamare il velo.

- Sì, grazie. - le si rivolge Jonathan.

Io sono troppo impegnata ad osservare come sia bella. Possiede una bellezza caratteristica, lontana dal modello americano della biondona tutta curve con un vitino sottile e la pelle candida. È splendida.

Veniamo fatti accomodare ad un tavolo centrale della sala.

- Tu sai che piatti sono? - domando a Jonathan, del tutto spaesata.

- Sì. Non è la prima volta che vengo qui. - sorride.

- Bene. Ordinami qualcosa di buono. 

Jonathan alza un sopracciglio.

- Perché non vai ad intuito?

- Perché il mio intuito non funziona con lingue che non so leggere. - ribatto.

Lui annuisce.

- D'accordo, proverò ad indovinare i tuoi gusti. 

- Se non mi piace quello che hai ordinato, non ti parlo per una settimana. - chiarisco.

- Ah, pure?

Jonathan chiama la ragazza un paio di minuti dopo e le fa appuntare una serie di piatti dal nome impronunciabile. 

Non appena lei se ne va, abbassa gli occhi sul tavolo ed assume un'espressione malinconica.

- Che succede? - sussurro.

Quando li alza su di me, sono lucidi.

Non fiata.

- Un ricordo triste? - indago.

Annuisce lievemente.

- Questo è l'ultimo ristorante dove io e la mia ex siamo venuti insieme, prima che... 

Deglutisco. Prima che?

- Prima che mi tradisse. - espira.

Le mie labbra s'increspano e mi chiedo quanti ricordi gli stiano attraversando la mente ora, quante piccole schegge taglienti che si conficcano ovunque.

Non riesco a capire come si possa tradire un ragazzo dolce come lui.

- Mi si spezza il cuore. - mormoro.

- No, Minnie, tienilo intero. - replica Jonathan, riprendendosi.

- Perché? - mi viene spontaneo chiedere.

- Perché lo voglio tutto.

Spalanco gli occhi e dischiudo le labbra, stupita.

- Non... Non capisco... - rifletto - Perché mi hai portata qui, allora?

Jonathan inspira e si morde il labbro inferiore portandolo all'indentro.

- Bella domanda. Ero convinto che ti sarebbe piaciuto, forse. - fa un rapido sorriso.

Le pietanze arrivano ed è un'esplosione di colori, profumi e salse.

Lancio uno sguardo a Jonathan per esortarlo a descrivere cosa sto per assaggiare.

- Queste sono Paneer Pakora, cioè fritto di formaggio cotto con pastella di farina di ceci. Queste, invece, sono Aloo Bonda, patate con spezie. Poi ci sono delle Samosa e del pollo al curry. - spiega.

- Okay. E il dolce?

Jonathan mi guarda come se l'avessi appena insultato.

Oh.

- Oops, chiedo scusa. - ridacchio.

Mi ero momentaneamente dimenticata che fosse un pasticcere.

Scuote la testa con esasperazione e mi invita ad assaggiare.

Per fortuna di Jonathan, tutto quello che ha ordinato è di mio gradimento. Ampiamente.

- Non pensavo che la cucina indiana potesse piacermi tanto. - commento.

- In tanti la pensano come te. Se ti fermi a ciò che fanno tutti, a ciò che mangiano tutti, a ciò che ascoltano tutti... Finisci per preferire ciò che preferiscono tutti. - sentenzia il moro.

- Ovvero?

- Il solito film con attori di fama consolidata, la solita pizza con il medesimo condimento, la stessa musica commerciale che rimbomba in ogni locale ad ogni capitale del mondo.

Mentre il mio palato assapora nuove spezie, il mio cervello si proclama positivamente sorpreso di quel che ha appena sentito.

- Non dico che queste cose siano da abolire, solo che è bene aprire gli occhi e tenere presente che il mondo è più grande di così, che ogni tanto fa bene non seguire gli schemi. Non sei d'accordo?

- Sì, assolutamente, ma me ne dimentico spesso. - ammetto.

E improvvisamente mi sembra di capire tutte quelle personalità strambe del mondo dello spettacolo e non solo: se essere diversi significa sentirsi liberi, perché l'opinione pubblica li condanna? La libertà non dovrebbe essere uno dei massimi valori da difendere nella società?

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A little drama never hurts 😊

Love you 🍰

Sour, Sweet & Smart (#STYDIA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora