21 - Superman

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Dopo aver mangiato un terzo della torta preparata da Jonathan, calda, morbida, dolce e gustosa, seguo il signor pasticcere verso una direzione ignota.

Inizio ad sentire la pesantezza sul corpo e un po' di sonno, sia perché mi sono abbuffata, sia perché la giornata è stata piena di movimento e attività, quindi sono piuttosto stanca fisicamente.

Il taxi ci conduce al Lyric Theatre, un antico edificio in mattoni rossi, legno ed elementi decorativi che richiamano l'arte classica tempestato di cartelloni pubblicitari inerenti ai vari spettacoli che ospita. 

- Perché siamo qui? - domando.

- Per guardare uno spettacolo.  - risponde Jonathan, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Lo fisso, in attesa di ulteriori spiegazioni.

Non arrivano, ovviamente.

- Su, entra. Ci divertiremo. - mi rassicura Jonathan.

E lo spettacolo è stato divertente per davvero: un'accozzaglia di comici, maschi e femmine, hanno dibattuto sui principali temi di attualità che presentano problemi irrisolti e, con un concentrato di ironia e sarcasmo spettacolare, mi hanno fatta ridere fino alle lacrime. È stato bello essere al fianco di Jonathan in quel momento, perché non mi sono preoccupata nemmeno una singola volta di dargli fastidio se la mia risata fosse troppo forte o ricorrente, se gli toccassi il braccio troppo spesso o se fossi troppo presa dalle battute per guardarlo come sorprendevo lui a guardare me. Sembrava che vedermi ridere lo rendesse più felice di quanto lo spettacolo in sé non potesse fare.

In più, ho adorato i momenti in cui i singoli commenti di qualcuno proveniente dal pubblico venivano considerati dai comici e commentati, oppure costituivano semplicemente fonte di nuove risate. Regnava un'armonia particolare all'interno del teatro e mi sono sentita davvero bene.

All'uscita, mi accorgo tristemente che sono già le otto e mezza. Il cielo è buio, le luci di Londra creano un'atmosfera magica sulla via dal marciapiede lucido, che segnala un'impalpabile velo di umidità nell'aria. E Jonathan, radioso, sorride con gli occhi.

- Grazie per la giornata... A dir poco fantastica. Sono stata benissimo. - gli dico, sincera.

- Il mio intento era quello. - mi fa l'occhiolino - Ma non è ancora finita. C'è ancora la cena, no?

Spalanco gli occhi e sospiro, non potendo tuttavia nascondere il crescente buonumore.

- Credo che mangerò qualcosa al volo raccattando i rimasugli dal frigo e poi andrò direttamente a dormire, perché sono stanchissima. - gli comunico.

Annuisce.

- D'accordo, ti accompagno. Tanto, abito proprio sotto di te. - ridacchia.

Non posso fare a meno di ridere a mia volta. - Scemo.

Il modo in cui Jonathan mi studia, anche se per qualche momento soltanto, fa sorgere dei dubbi in me. Ho detto qualcosa che non avrei dovuto? Ho sbagliato? Perché non sembrava offeso, se è vero che ho fatto qualcosa di male?

Forse, sono solo allucinazioni da stanchezza.

Prendiamo un taxi e, durante il viaggio in cui abbondano le soste per via del traffico intenso, rischio di addormentarmi. Scelgo la spalla di Jonathan come poggiatesta.

Non odo proteste.

- Ehi, siamo arrivati. - mi scuote, dopo quella che mi sembra un'eternità.

Quaranta minuti per coprire una distanza di venticinque, in caso di traffico normale e non denso come oggi: assurdo.

Mi trascino fuori dal taxi con la vitalità di un vecchio bradipo e salgo le scale con calma.

- Mia nonna è una maratoneta, in confronto a te. - mi prende in giro Jonathan.

- Senti, Flash, sono abituata a lavorare per ore sulla scrivania e non ho l'abbonamento in palestra, quindi perdona l'umanità del mio umile essere limitato. - replico.

Lui ride.

- Ah, mi deridi pure? Ti senti superiore? Va bene, va benissimo, ma se poi ci sono delle conseguenze, non ti lamentare, eh. Io ti ho avvertito. - continuo.

Le sue risate incrementano e poi compie un gesto che non mi sarei aspettata per niente al mondo: scende la rampa di scale appena salita e mi carica sulla schiena, facendomi sembrare un koala. Allaccio le gambe alla sua vita e premo su suo stomaco.

- Ahi! - geme.

- Io ti avevo avvertito, non ti lamentare. - ribadisco, saccente.

Il suo petto è percosso da una risata. Le sue braccia sistemano meglio il peso del mio corpo sul suo, dopodiché inizia la salita, comunque più veloce della mia di quando procedevo da sola. Wow.

- Sono impressionata, Superman. - scherzo, quando mi fa scendere davanti alla porta di casa.

- Molto lieto, donzella. Anche se mi hai ficcato i talloni nell'addome. - rimarca.

Simulo innocenza e inizio a cercare le chiavi in borsa.

- Così impari a prendermi in giro, la prossima volta.

- Ma tu lo fai sempre! - replica lui, scioccato, sempre in maniera scherzosa.

Estraggo finalmente il mazzo dall'infinità di cose che ho incastrato in borsa e giro la chiave giusta nella toppa. La porta del mio appartamento si apre.

- E allora? Vorresti dirmi che non posso? 

Jonathan si accinge a confermare, ma nota il mio sguardo acuirsi e richiude la bocca.

- No, certo che no, piccola dittatrice che non sei altro. - sbuffa.

Sorrido, vittoriosa.

Adoro avere il potere in pugno.

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Jonathan materializzati, il mondo ha bisogno di ragazzi come te. Non siete d'accordo?

Love you 🍰

Sour, Sweet & Smart (#STYDIA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora