Capitolo 13

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Albeggiava quando sentimmo bussare violentemente alla porta e mio padre seguito da mia madre si precipitò ad aprire.
In dormiveglia sentii una voce femminile che sighiozzava e urlava disperatamente, ma non riuscì a capire subito né di chi si trattasse né tantomeno cosa stesse dicendo ai miei genitori.

Riuscì ad aprire gli occhi solo dopo aver sentito Amandine svegliarsi di soprassalto chiedendosi cosa stesse succedendo. Non avendo altro modo per capire, decidemmo di alzarci dai nostri giacigli e così raggiungemmo nostra madre e nostro padre, i quali avevano già fatto accomadare la donna in cucina.

Quando le fui vicino, riconobbi la sua voce e la sua figura, nonostante fosse di spalle. Violet, era lì, seduta sulla sedia con i gomiti poggiati sul tavolo, le mani che le coprivano il viso e le spalle che per via dei suoi sighiozzi le facevano su e giù, in preda agli spasmi, mentre mia madre sedutale accanto cercava in ogni modo di calmarla.
Con il suo fare amorevole, le si avvicinava piano piano sussurrandole parole per noi difficili da sentire, fino ad arrivare ad abbracciarla, mossa che sfocia in un pianto ancor più disperato. Ad osservare la scena oltre me e mia sorella c'è anche nostro padre, in piedi accanto al camino spento, con aria triste e vuota, con i suoi occhi, che da quando ne ho memoria non ho mai visto versare una lacrima, al contrario di oggi, che con mia sorpresa trovo lucidi e rossi, pronti a dar sfogo al dolore che lo sta nettamente divorando.

In cuor mio ho già la risposta, so già il perchè di queste reazioni, ma non ho il coraggio di dirle, perché dirle equivarrebbe ad ammettere il tutto e io, a questo tutto non voglio assolutamente crederci, non posso pensare che la migliore amica di mia madre debba dire addio a suo marito, nonché migliore amico di mio padre, nonché padre di tre bellissimi bambini che per colpa di un capriccio, una espressione di forza e di potere, debbano vedersi strappare dalle loro vite un punto fermo, un punto di riferimento e una fonte di sostentamento, ma, così come lei sfoga tutta la sua disperazione anche tante altre famiglie in questo preciso istante stanno versando lacrime di dolore per i loro cari.

Perché oggi al sorgere del sole ci sarà l'esecuzione in piazza di tutti i prigionieri presi a sorte, quindi innocenti, macchiati solo della colpa di essere nati e vissuti in questa terra.
Tra un paio d'ore assisteremo alla morte pubblica di uomini e donne, amici, mogli, mariti, padri, madri e soprattutto figli di tutti noi, e lo faremo con la consapevolezza che il colpevole di tutto questo non è il Marchese ma propio il popolo, noi e solo noi tra poco avremo le mani sporche del loro sangue.

Noi, che con i nostri silenzi e la nostra eterna sottomissione abbiamo creato quello che oggi è il Signore di questa terra tanto odiato e altrettanto temuto, il suo essere cattivo, vendicativo e superbo lo deve solo noi.

Conscia di tutto questo e straziata dal dolore di cui è ormai intrisa ogni parte della casa, lascio i loro pianti dietro di me, mi volto ed esco fuori, preferendo l'aria gelida all'arrendermi al loro dolore, cammino e mi inoltro con passo lento e aria assente tra la boscaglia, raggiungendo quell'amata altura che spesso mi ospita nei miei momenti di tristezza trovando conforto solo alla vista della mia amata luna, così inarrivabile e misteriosa che riesce a cullarmi portandomi in mondi immaginari, frutto solo della mia immaginazione, ma in questo momento i miei occhi osservano altro.
Il sole è quasi alto in cielo e la piazza laggiù desolata, se non fosse per un piccolo gruppo di uomini intenti a costruire un palco che da lì a poco reggerà l'esecuzione, che attira la mia attenzione, li osservo mentre posano e martellano gli assi in legno che serviranno da base, per poi vedere issare pali grossi, arrotondati e lunghi che serviranno a loro volta per creare la forca, dove verrà appeso il cappio che porterà all'impiccagione di ognuno di loro.

Il tempo passa che quasi non me ne accorgo, nonostante abbia gli occhi puntati sulla piazza e sull'operato di quegli uomini, non mi rendo conto del lavoro svolto al termine e della piazza che inizia ad affollarsi, la mia testa vaga nei ricordi dei nomi e delle singole particolarità di ogni persona oggi condannata, di quasi tutti ne ho memoria e questo mi crea una stretta al cuore.
Poi eccolo arrivare, il solito suono di trombe, e la sua carrozza in avvicinamento, è in quel momento che mi rendo conto del tempo che è trascorso.

Lo vedo scendere dalla sua carrozza, ovviamente per via della distanza non riesco a carpire le sue emozioni ma scommetto che si trovi al quanto soddisfatto, dato che le urla di dolore arrivano chiare fino a qui, lo vedo impartire ordini col solo movimento delle braccia e quattro uomini corrono a prendere altrettanti quattro prigionieri che si apprestano a portare davanti la forca sistemandogli attorno al collo il cappio.

Attimi che sembrano un'eternità, i condannati col capo chino e con le mani legate dietro la schiena inermi ad attendere la loro sorte, mentre i loro familiari ai piedi del patibolo che implorano e piangono i loro cari. Immagini che non augurerei a nessuno, momenti in cui non si può che restare immobili, pietrificati dalla paura di guardare in faccia la morte.

Ed eccolo lì, il momento che nessuno vorrebbe che mai arrivasse, il Marchese taglia l'aria con il braccio destro, segno che indica al boia di procedere, quest'ultimo esegue l'ordine avviandosi con passo lento verso l'ingranaggio che aziona a sua volta l'apertura delle botole sottostanti i condannati.
Ma proprio quando inizia a posizionare le mani nella maniglia e inizia a tirare la corda delle botole, ecco che in lontananza si vede arrivare al galoppo un individuo.

Difficile da non riconoscere, i suoi abiti e il suo mantello sono ormai un marchio che resta indelebile nella mente.
In un battibaleno la sua presenza dona animo a tutti, persino i malcapitati riescono a gioirne, di fatti come un fulmine sovrasta i guerrieri del Marchese, lottando con la sua spada si libera un varco, arrivando in tempo a tagliare i cappi, nell'attimo prima che le botole si aprissero del tutto.

La gioia è generale, ma la felicità termina nel momento in cui Hector sale sul palco e sguaina la sua spada, avanzando verso le masquè, il quale però viene intralciato da uno dei condannati che rialzandosi da terra gli fa da muro col suo corpo, ma ahimè non ha neanche il tempo di fiatare che Hector lo trapassa con la sua spada, sotto gli occhi di tutti.

In un attimo si scatena il caos, tutti corrono ai ripari, il Marchese si nasconde dentro la sua carrozza dove dal suo interno urla ordini a Hector, i prigionieri cercano di liberarsi dalle corde, mentre il cavaliere misterioso, davanti a tutto questo, resta immobile a studiare il suo avversario.

Il Cavaliere Misterioso Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora