Capitolo 18

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Disgusto.
Ecco quello che provo sentendo le sue mani su di me e la sua bocca viscida che con prepotenza cerca di impossessarsi delle mie labbra, di schiuderle e di bearsi del loro sapore.
Niente a che vedere con il primo, vero e unico bacio che ho dato, che al solo pensarci un velo di malinconia mi investe, perché non c'è lui qui con me?, perchè non fa altro che allontanarmi?
Il suo ricordo è ancora vivo e mi provoca un dolore profondo, quasi come se stessi bruciando tra fiamme ardenti.

Disgusto e malinconia, un mix di emozioni che non augurerei a nessuno. Odio il modo in cui mi sento e odio il modo in cui mi trattano, il mio cuore sanguina e il mio orgoglio e stato calpestato tante di quelle volte che ormai è rintanato nell'angolo più buio del mio essere.
Ma ora basta!
Mentre questo ignobile ancora prova a piegarmi al suo volere, io mi muovo come una furia, riuscendo a liberare il braccio destro e rapidamente con la mano a dargli uno schiaffo, mettendoci dentro tutto il mio ribrezzo e la mia frustrazione.

Lo vedo allontanarsi toccandosi la parte lesa.
Non importa quanto sarà arrabbiato, non importa quale sarà la mia punizione, qualunque cosa pur di non dargli la soddisfazione di essermi piegata a lui.

I suoi occhi sono dilatati, mi guarda con odio, il suo respiro è corto e rapido.
Lo vedo venire verso di me con un paio di falcate restituendomi lo stesso gesto che poc'anzi ho dato a lui.
La sua mano è pesante e grande più della mia, tant'è che cado per terra sbattendo la testa al muro.
Ora muoio!

Si avvicina e mi prende per i capelli, trascinandomi al centro della stanza, "Non mi temete?, non è così?", urla, "Vi darò modo di farlo, abbiate fede!, guardie!!"

Ad un tratto una moltitudine di passi si avvicinano aprendo la porta, "Si Signore!", esclamano in coro.

"Portate questa ribelle nella stanza delle torture!"

Non faccio in tempo a ribellarmi che già mi bloccano e di peso mi trascinano verso una porta in ferro, grande e nera, una volta dentro i miei occhi si spalancano dinnanzi alla moltitudine di attrezzi da tortura, vere e proprie macchine di morte.
Di morte è proprio questa l'aria che si respira qui dentro, la puzza non presagisce nulla di buono, chissà in quanti sono morti qui dentro, chissà quanto sangue hanno versato su questi attrezzi, chissà quante urla hanno contenuto queste mura.
Mi vengono i brividi!

Vengo trascinata e rinchiusa dentro una piccola cella che si trova al suo interno con davanti in bella vista ognuna di queste torture.
Con gli occhi passo in rassegna tutto ciò che mi circonda, la stanza è molto illuminata e riesco a vederne ogni singolo particolare, la prima tortura è proprio questa, guardare e immaginare in quanti modi è possibile morire qui dentro,
lasciando che il pensiero e la paura man mano prendano il sopravvento.

L'aria pesante e l'immaginazione costante della propria morte metterebbero a dura prova anche il più forte e il più temerario degli uomini.
Ma se crede che davanti a tutto questo io mi arrenda, si sbaglia, se la morte è l'unico modo che ho per sfuggirgli allora non la temo.

Non so quanto tempo passa, forse poco, ma risento lo scricchiolio della porta che si apre e i suoi passi che indicano il suo ingresso. Si è cambiato di abito, adesso non indossa più i suoi classici vestiti di pregio, ma una camicia leggera e bianca con un paio di pantaloni neri, vecchi e logori, a prima vista indumenti insoliti e insignificanti, ma per l'occasione in cui ci troviamo sono molto comodi.

Si avvicina sornione, "Lasciateci soli!", ordina agli uomini nella stanza, senza mai staccare gli occhi su di me.

Contatto che io a mia volta sostengo senza timore.

"Potrei anche farti mia contro la vostra volontà, ma prima, ho deciso di divertirmi un po' e sporcarmi le mani col vostro sangue, così chissà forse sarete proprio voi ad offrirvi a me!", dice mentre sceglie un attrezzo anziché l'altro.

"Tsk!, siete un illuso se pensate questo, piuttosto impugno la prima lama e mi tolgo la vita!"

Il suo sguardo cambia, non è più sicuro e spavaldo come prima, in lui si è insinuato il dubbio.

Vuoi giocare?, giochiamo!

"Aprite questa cella!, su, forza!", gli urlo dimenandomi tra le sbarre.

Lo vedo irrigidirsi e prendere una frusta per cavalli e sbatterla tra le sbarre, indirizzata alle mie dita che io mi appresto a togliere poco prima di essere colpita.

"Un errore Marchese, mi basta un piccolo errore e io l'avrò vinta!", gli sussurro con sguardo sicuro.

Minando la sua di sicurezza e facendolo arrabbiare ancora di più, spingendolo ad urlare e a prendersela con ogni cosa gli capita a tiro.

"Voi siete la mia rovina!", urla sempre di più con l'affanno.
"Vi credete furba? Ma io lo sono più di voi!", dice una volta calmato.
"Guardie!!".

Urla ancora rivolto verso di me, con lo sguardo di chi a breve si gustera' la sua vittoria, e solo quando due dei suoi uomini entrano, lui mi volta le spalle, "Stasera ho organizzato un banchetto con ospiti illustri, portatela dalle altre serve e dite loro di occuparsi di lei per l'occasione!"

"Cosa?", chiedo a perdifiato, cercando di sfuggire alle guardie, "No, lasciatemi!....che volete che faccia ora?"

Ma lui si limita solo a ridere a squarciagola, mentre io esco da quell'orribile stanza per poi entrarne in un'altra, ma stavolta piena di donne intente a prepararsi.
Con una spinta mi fanno entrare e inciampare nel pavimento.

"Preparatela! stasera si unirà a voi, istruitela e fate in modo che non combini guai o per tutte quante voi sarà la fine. Questi sono gli ordini!", esclama uno dei due prima di chiudersi la porta alle spalle.

Mi rialzo e le vedo tutte quante interrompere ciò che stavano facendo prima del mio ingresso.
Sono tutte bellissime, truccate e pettinate ad arte. Una di loro si avvicina e con fare dolce e delicato mi prende con sé e mi porta davanti una grande vasca, con delicatezza mi spoglia delle mie vesti, mentre io rimango incantata dalla sua maestria.

"Immergetevi mia cara, l'acqua allievera' per un po' il vostro tormento", mi dice.

E solo ora mi rendo conto di essere completamente nuda. Imbarazzata mi immergo immediatamente, beandomi del tepore dell'acqua.

"Ditemi, come vi chiamate?", continua costei.

"Jaqueline"

"Io sono Margery, mentre loro sono Camille, Genevieve, Lauren, Clementine e Oriette", esclama indicandomi le donne partendo dalla sua sinistra.

"Voi con esattezza che compito avete?", chiedo

"Ahahahahaha, che domande!", risponde Lauren, "Noi siamo nate serve e come tali soddisfiamo ogni capriccio del nostro Signore!"

Colpita e affondata la sua risposta è diretta e priva di filtro, sento tutto il suo risentimento, in ogni parola.

"Tu piuttosto cosa hai fatto per finire qui?", chiede ancora, in tono sempre più astioso.

"Calmati Lauren!", interviene Margery, "Lasciamole fare il bagno in pace, dopo le spetta altro, dobbiamo istruirla e prepararla per stasera!"

Queste sono le ultime parole che mi rivolgono, ognuna di loro torna a prepararsi lasciandomi lì a brancolare nel buio, inconsapevole di quello che mi spetterà di lì a poco.








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