CAPITOLO 8

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Sabrina masticava svogliatamente un tramezzino al tonno mentre pensava all'incubo di quella mattina. Ci aveva riflettuto a lungo ed era arrivata alla conclusione che gli occhi del suo sogno non avessero nulla a che vedere con la magia. Il suo potere si manifestava attraverso un riflesso ambrato, una piccola striatura d'oro, non la trasformava in un mostro, di questo ne era certa.

Strappò l'ennesimo foglio e l'accartocciò, unendolo al mucchio accumulato nelle ultime ore. Il suo capo le aveva chiesto di inviargli un articolo riguardante l'inizio dell'estate, ma niente di quello che scriveva le sembrava buono. Il senso di colpa per la cena saltata con Edward, l'incubo avuto quella mattina e il precario stato di salute avevano messo un freno alla sua creatività. Si sentiva nervosa, arrabbiata e spaventata, tutto allo stesso tempo e non riusciva a concentrarsi su ciò che doveva fare.

Si rese conto di avere freddo. Una leggera brezza si era alzata all'improvviso e il cielo era coperto da nuvole che non lasciavano presagire niente di buono. Strano, pensò, le previsioni meteo non parlavano di pioggia.

Frugò all'interno della borsa e ne estrasse una felpa di due taglie più grande, che portava sempre con sé in caso di bisogno. La indossò e vide un pezzo di carta stropicciato cadere a terra. Il biglietto di Edward! Tra un pensiero e l'altro aveva completamente dimenticato di leggerlo.

"Starò via per il resto della settimana, spero di rivederti al mio ritorno. Le tue lentiggini già mi mancano. Ed".

La calligrafia era disordinata, a malapena leggibile, con pezzi di frasi cancellate e riscritte subito dopo. Sabrina sorrise immaginando il viso concentrato del ragazzo mentre pensava a cosa dirle. Era indecisa sul da farsi. Continuare a vederlo? Dirgli che non era interessata a una relazione? Ma era davvero ciò che desiderava? Non voleva allontanarlo, ma non si sentiva neanche pronta per buttarsi tutto alle spalle e ricominciare da zero. Ricominciare cosa poi? Una vita di bugie e omissioni?

Piccole gocce cominciarono a cadere sul biglietto, sbavandone l'inchiostro.

Sabrina imprecò e cominciò a raccogliere le sue cose. Era in procinto di andarsene quando lo sguardo gli cadde sul portapranzo. Le dispiaceva lasciarlo lì, in balia degli elementi, con tutto quel cibo sprecato.

Le venne un'idea: poteva utilizzare la pioggia come pretesto per andare a ringraziare chiunque si celasse dietro a quel gesto di cortesia, riconsegnandogli il cestino di persona. Inoltre, così avrebbe potuto aspettare il cessare del temporale in un luogo riparato.

"Mostrami la strada" sussurrò.

I suoi occhi furono attraversati dalla consueta striatura d'oro e una linea dello stesso colore comparse ai piedi di Sabrina, districandosi tra le varie aiuole e mostrandogli la direzione giusta da prendere.

Si diresse dal lato opposto rispetto a quello da cui era arrivata e, dopo qualche minuto, vide comparire un nuovo cancello di ferro, chiuso da una serratura. Dietro a esso, due salici piangenti nascondevano completamente la visuale.

"Apriti". Gli ingranaggi all'interno della serratura cominciarono a muoversi finché un click non comunicò a Sabrina che poteva procedere.

Il cancello non emise nessun cigolio mentre veniva aperto, segno inequivocabile del suo frequente utilizzo. Doveva essere questo l'ingresso utilizzato dalla persona che si prendeva cura del giardino.

Attenta a non rovinare gli alberi che sembravano essere stati messi lì da uno scenografo, Sabrina spostò le fronde che sfioravano il terreno e avanzò oltre.

Un'imponente costruzione comparse davanti ai suoi occhi, lasciandola di stucco.

Si trattava di una casa a due piani, alla quale si accedeva tramite un portone in legno a due battenti posto al piano superiore, raggiungibile per mezzo di una lunga scalinata circondata da vasi di piante in fiore. Di per sé non sarebbe stata niente di strabiliante se non fosse stato per il tetto, circondato da una merlettatura in stile arabo-normanna. Dello stesso stampo erano le finestre a ogiva, caratterizzate da vetri scuri che nascondevano agli occhi l'interno delle stanze.

 Dello stesso stampo erano le finestre a ogiva, caratterizzate da vetri scuri che nascondevano agli occhi l'interno delle stanze

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Sabrina mise un piede sul primo gradino e si fermò, titubante. Stava facendo la cosa giusta? Come avrebbe giustificato la sua presenza? Iniziò a girare intorno alla casa, indecisa sul da farsi, finché non si imbatté in un ingresso secondario. Si sentiva più a suo agio a bussare a quella porta piuttosto che ai due enormi battenti sulla facciata principale.

Bussò e si mise in attesa.

Nessuno venne ad aprirle.

Riprovò di nuovo, cercando di percepire eventuali movimenti, ma la pioggia e i tuoni sovrastavano ogni rumore.

"Ormai sono qui, tanto vale andare fino in fondo" disse tra sé.

"Apriti".

La porta si spalancò e un'ondata di calore la travolse.

Si ritrovò in una piccola cucina, così stretta da permettere il passaggio a una sola persona per volta. I mobili, in legno chiaro, erano disposti lungo i lati e, sopra di essi, ogni utensile era disposto ordinatamente. Nell'aria aleggiava l'odore di biscotti appena sfornati.

«C'è qualcuno?» domandò a voce alta.

Poggiò il cestino sul bancone e chiuse gli occhi. L'improvviso cambio di temperatura le aveva causato un capogiro. Aveva bisogno di un bicchiere d'acqua e di sedersi da qualche parte.

Si avvicinò al frigorifero e l'aprì, ma non fece in tempo a vederne il contenuto che una mano sbucò da dietro le sue spalle e lo richiuse violentemente.

Sabrina si voltò e si ritrovò faccia a faccia con il suo incubo: occhi gialli la fissavano dall'alto, mentre le mani poggiate ai lati della sua testa le impedivano di fuggire. Questa volta non riuscì a urlare, sentì le gambe perdere di consistenza e la vista annebbiarsi mentre lentamente scivolava a terra.

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