CAPITOLO 10

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Sabrina nascose la testa sotto le coperte mentre un fascio di luce inondava la stanza, ferendole gli occhi.

«Svegliati, pigrona, hai dormito quindici ore, è ora di mangiare.»

Cosa? Da quanto tempo si trovava in quella casa?

«Hai intenzione di alzarti o torno più tardi?» insistette Allyson.

Sabrina prese coraggio e spostò le lenzuola.

I raggi del sole filtravano attraverso la finestra illuminando i pochi mobili che occupavano la camera: una piccola scrivania in mogano, un sofà a due posti incassato in un angolo e un armadio che copriva un'intera parete. Lei era sdraiata su un enorme letto a baldacchino, le cui lenzuola di un bianco candido contrastavano con la carta da parati, di colore bordeaux. Anche il pavimento, un parquet in legno scuro, contribuiva a rendere l'ambiente buio e inquietante.

 Anche il pavimento, un parquet in legno scuro, contribuiva a rendere l'ambiente buio e inquietante

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Allyson attendeva paziente, seduta su un baule ai piedi del letto.

«Ti ho preparato la colazione, ma non sapevo cosa ti piacesse» disse indicando un vassoio poggiato sopra uno dei comodini.

«È la mia preferita» rispose Sabrina osservando la tazza di tè e i biscotti al cioccolato. Avevano l'aria di essere stati appena sfornati e il brontolio del suo stomaco le ricordò che non mangiava da quasi ventiquattr'ore. «Tu sei Allyson vero? Non ricordo più cosa è successo davvero e cosa è frutto della mia immaginazione.»

«Sì, io sono Ally, piacere di conoscerti.»

«Sabrina, piacere mio.»

Sabrina sentì un'immediata simpatia per quel volto sorridente. Forse erano i biondi capelli sbarazzini, corti come quelli di un ragazzo o gli occhi dello stesso azzurro del mare che circondava Scopello. Oppure il fatto che indossasse una semplice tuta e una canottiera bianca dalle scritte sbiadite per i troppi lavaggi, che in qualche modo la faceva sentire affine a lei. Inoltre, era molto più giovane di come l'aveva immaginata sentendone la voce, non avrà avuto più di vent'anni.

«Eri tu a lasciarmi il pranzo nel giardino dei cactus?» chiese Sabrina. Avrebbe voluto domandarglielo fin dall'inizio, ma non ne aveva avuto occasione.

«Diciamo che ho avuto un piccolo aiuto» rispose Allyson. «Hayden è un cuoco eccellente, si occupava lui del cibo, io mi limitavo a fartelo trovare lì.»

«E per quale motivo, se posso chiedere? Non che mi sia dispiaciuto...» aggiunse in fretta per non rischiare di sembrare ingrata.

«Ti abbiamo vista passare tutto il giorno chinata a scrivere, senza fare neanche una sosta. Abbiamo pensato che ti avrebbe fatto comodo un piccolo spuntino.»

«Non vi preoccupava il fatto che mi fossi intrufolata nel vostro giardino?»

«E cosa potevamo fare? Se ti avessimo detto di andare via probabilmente saresti corsa in giro a raccontare ciò che avevi visto, mentre in questo modo avevamo qualche possibilità che tu decidessi di mantenere il segreto.»

Allyson aveva perfettamente ragione, non avrebbe mai rivelato la presenza di quel luogo a nessuno, lo considerava il suo angolo di paradiso.

Sabrina allungò il braccio per afferrare la tazza di tè e notò due piccoli fori sul suo polso sinistro. Ma cosa Diavolo...? «Allyson, come mi sono procurata questi segni?» chiese seguendo con un dito i contorni già parzialmente cicatrizzati delle ferite.

«Stavi bevendo un bicchiere d'acqua in cucina, quando sei svenuta è caduto a terra e ti sei ferita con i frammenti di vetro.»

Strano, pensò Sabrina, non ricordava nulla di ciò che era successo.

«A parte questo, come ti senti?» chiese Allyson.

«Penso di avere la febbre e il mio stomaco è ancora in subbuglio. Devo essermi presa una di quelle influenze che girano a inizio estate.»

«Puoi restare qui finché non ti riprendi.»

Sabrina sgranò gli occhi, sorpresa. Neanche si conoscevano, per quale motivo le proponeva una cosa del genere?

«Raramente ho compagnia» rispose Allyson, come se le avesse letto nel pensiero. «Hayden è sempre troppo impegnato a occuparsi della casa e degli affari, mentre Clay... beh, lui è Clay, non ha tempo di stare in mia compagnia.»

«Non è che non voglio restare, ma Maria sarà preoccupata non avendomi visto rientrare ieri sera» disse Sabrina mentre cercava con lo sguardo il proprio telefono. Doveva assolutamente chiamare la donna e assicurarle che stava bene.

«Per questo non c'è problema, ci ha pensato Hayden.»

«Cosa vuoi dire?» chiese Sabrina incredula.

«È andato a parlarci ieri sera. Gli ha spiegato che non ti senti bene e che rimarrai qui con noi fin quando non sarai in grado di tornare.»

Sabrina fissò Allyson, dubbiosa. Perché tutta questa gentilezza nei suoi confronti? Cosa ne guadagnavano loro tenendola chiusa in quella stanza a fargli da infermieri? Era una situazione assurda: restare o andare via?

«Allora?» la incalzò Allyson, in trepida attesa. «Cosa hai deciso?»

«Resterò» rispose infine Sabrina, contravvenendo a ciò che le diceva il buonsenso.

«Davvero? Oddio grazie!»

Allyson balzò in piedi e le si gettò addosso, stringendole le braccia al collo col rischio di farle versare la tazza di tè sulle lenzuola linde.

«Ci divertiremo un mondo» aggiunse ridendo.

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