CAPITOLO 33

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Sabrina osservava la scia di spuma lasciata dal traghetto, mentre Edward le porgeva un bicchiere di succo d'arancia.

«È buonissima» disse lei dopo il primo sorso.

«Lo so, le arance di Sicilia sono famose in tutto il mondo.»

«Come del resto tutto ciò che ho mangiato da quando sono arrivata qui. Non ho il coraggio di salire sulla bilancia.»

«Non farlo, stai benissimo così, non importa quale sia il tuo peso.»

Sabrina sorrise tristemente. Ora che aveva deciso di allontanare Edward dalla sua vita, ogni complimento ricevuto non faceva altro che renderle il compito più difficile.

«È quello il posto?» domandò Sabrina indicando l'isola in lontananza.

«Sì.»

«Sembra disabitata.»

«Lo è, per questo mi piace così tanto.»

L'uomo alla guida del traghetto lasciò cadere in acqua un gommone fino a pochi secondi prima appeso a un fianco della barca, e li aiutò a salire a bordo

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L'uomo alla guida del traghetto lasciò cadere in acqua un gommone fino a pochi secondi prima appeso a un fianco della barca, e li aiutò a salire a bordo. Poi, senza dire altro, si allontanò, lasciandoli soli.

«Sai accendere questo coso?» chiese Sabrina preoccupata.

Edward strattonò un cavo attaccato a una scatola di plastica che aveva tutta l'aria di essere un motore elettrico. Si sentì un rombo e iniziarono a muoversi.

«Hai visto? È più facile di quanto sembri» sorrise Edward.

La riva si fece sempre più vicina, finché non furono finalmente in grado di scendere e continuare a piedi. Sabrina reggeva le scarpe in mano, rabbrividendo per l'acqua fredda che le sferzava le caviglie. Non importava quanto facesse caldo, immergersi in mare era per lei una tortura, ogni volta.

Edward trascinò il gommone sulla spiaggia, assicurandosi che le onde non arrivassero a lambirlo.

«Questa è l'Isola delle Femmine» disse poi dirigendosi verso una torre diroccata.

«Perché "delle femmine"?»

«I più noiosi ti diranno che il suo nome deriva da "fimis", traduzione dell'arabo di "fim" che indica la bocca, il canale che separa l'isola dalla costa. Io preferisco però l'altra versione, quella della leggenda.»

«Quale leggenda?»

«Si dice che per sette anni fu la prigione di tredici fanciulle turche, abbandonate in mare aperto dai loro coniugi per essersi macchiate di gravi colpe.»

«E dopo?»

«I parenti, pentitisi della loro azione, tornarono a cercarle e, quando le trovarono, decisero di non fare più ritorno in patria. Abbandonarono l'isolotto e si stabilirono sulla terraferma, fondando la cittadina che oggi prende il nome di Capaci, da "CCa-paci" ovvero: qui la pace. Le donne battezzarono il pezzo di terra su cui avevano dimorato tutti quegli anni come l'Isola delle Femmine.»

Il sacrificioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora