Capitolo 3 - scivolare attraverso un incubo.

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La campanella per la pausa pranzo era suonata, convincendo la maggior parte dei miei compagni a uscire per andare in mensa.

Io mi diressi dalla parte opposta.

Non avevo voglia di sentire gli odori stantii e i vapori, che provenivano da pentole stracolme per lo più d’avanzi, senza contare che mi sarei dovuta sedere in mezzo a tutti gli studenti, intenti in discussioni o a riferirsi pettegolezzi, in un tavolo in disparte, sentendomi ancora più sola.

Il primo anno avevo scoperto un giardino, di proprietà della scuola, mentre i miei compagni erano andati in un viaggio d’istruzione al quale io non avevo ovviamente potuto partecipare, perché la meta era a più di tre isolati da casa.

Il custode in seguito mi aveva regalato la chiave a patto che me ne fossi presa cura.

Inizialmente pensavo sarebbe stato un duro compito, data la grandezza quasi di un campo da basket, ma col passare del tempo, si era diventato una delle poche motivazioni per cui venire a scuola.

Era abbastanza grande da permettersi una bella fontana in pietra, nella quale però non risiedeva più acqua; intorno ad essa vi erano quattro panchine, ombreggiate dalle vicine magnolie.

Il resto erano aiuole, contornate da un sentiero lastricato, che piano piano avevo provveduto a rimettere a posto, piantando e potando nuovi fiori.

Mi sedetti su una panchina e appoggiai affianco a me lo zaino, presi da questo il mio album da disegno, l’astuccio, l’mp3 e le cuffie.

Senza troppi indugi, presi a continuare il disegno che ritraeva l’albero a me più prossimo.

Non mi accorsi subito che avevo un ospite intento ad osservarmi.

Si trattava di un uccello che non avevo mai visto prima.

Era più piccolo di un normale corvo, ma aveva in parte il piumaggio nero, la coda, presentava invece una linea bianca sul fondo, e sul petto vi erano due striature gialle, una per lato.

I suoi occhietti neri impertinenti, mi fissavano, mentre il suo piccolo corpo, saltellava qua e là, sostenuto da sottili e lunghe zampe.

Girai pagina, e iniziai a ritrarre lui senza pensarci.

Quasi avesse capito le mie intenzioni, iniziò ad aprire le ali e a mettersi in posa.

Mi sistemai meglio sulla panchina, usando lo zaino come cuscino e non mi resi conto della quiete in cui la mia mente era crollata, finché non mi svegliai a causa di un acuto di un cantante.

Tolsi le cuffie, e guardai il foglio.

Avevo completato il disegno, addirittura l’avevo colorato con il carboncino. Sembrava quasi una fotografia, eppure per quanto mi piacesse raffigurare gli animali non ero così brava fa farli apparire così reali.

Sfiorai le linee che avevo tracciato e per un attimo mi dimenticai totalmente del mio soggetto, quando sentii un cinguettio melodioso.

Era ancora lì.

Mi avvicinai cauta a lui, non avevo briciole con me, eppure, lui non sembrava affatto spaventato dalla mia presenza.

Probabilmente era addomesticato, poteva quindi essere scappato da una casa, o dallo zoo in centro città.

Allungai un dito, volevo sentire quanto fosse soffice al tocco.

Lui non si mosse di un millimetro e si lasciò accarezzare, socchiudendo leggermente i sui occhietti.

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