Capitolo 43: Il Ballo - servi, lava... incanta (parte 1)

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Capitolo 43: Il Ballo – servi, lava... incanta (parte 1)

Mi svegliai di colpo.

Occhi spalancati, battito incallito a rincorrere il secondo e lo scrosciare della pioggia che si abbatteva senza tregua sulle piccole finestre.

La stanza era immersa nel buio e vi impiegai un attimo ad individuare le figure dei mobili che rendevano il luogo famigliare.

Era stato solo un incubo. Uno dei tanti che non mi davano più tregua. Dovevo dormire.

Mi imposi di girarmi, ma appena lo feci suonò la sveglia.

La lasciai suonare. Quel trillo aveva perso ogni significato da quando le mie notti erano divenute una continua lotta contro il mio inconscio.

Ero un bagno di sudore, le lenzuola mi infastidivano ogni qual volta mi sfioravano la pelle e i miei pensieri erano una brodaglia riscaldata che ogni mattina il mio cervello mi presentava preconfezionata.

Non riuscivo ad ammettere che El mi avesse mentito, così che quasi certamente era l'artefice di quanto stesse accorrendo ad Iarlaith. Doveva essere lui ad aver nascosto la sua aurea e aver limitato i suoi poteri, proprio come aveva fatto con me.

Dalla reazione di Iberide ero più che certa fosse un gioco da ragazzi per lui, e sosteneva la sua tesi secondo la quale ero una Kerres.

Cercai di scostarmi qualche ciuffo di capelli che mi era rimasto appiccicato alla fronte, ma nel farlo ricevetti una fitta dal braccio.

Lo mossi di nuovo, incapace di capire se si trattasse di un crampo o meno, ma nel farlo il dolore non fece che aumentare e qualcosa di umido mi colò sul viso.

Allungai l'altra mano, per accendere l'abatjour.

«Che accidenti...» mi aggrottai.

La sfiorai con un dito, digrignando i denti dal dolore.

La ferita era profonda, forse non troppo fresca, ma in parte colava ancora sangue. Parte delle lenzuola ne era inzuppata, in altre zone invece si era già rappreso.

«Abby, sai dov'è la cassetta con le medicazioni?» domandai, senza alzare lo sguardo.

Nel non ottenere risposta mi voltai verso il suo letto. Era vuoto.

Pensai al peggio, ma poi finalnalmente il rumore della sveglia, tutt'ora in atto, dovette fare il suo dovere. Era a fare nottata in biblioteca, per prepararsi agli esami di metà anno. Si sarebbero tenuti quella mattina.

Mi tirai su a sedere.

«Solo un altro giorno, Selene. Sta sera vado infermeria e richiedo un sonnifero.» mi imposi, «Domani dormirò come un bambino.»

In quel momento entrò Iberide, cogliendomi di sorpresa. Non sembrava avermi udito, ma dovevo stare attenta. Certo chiamarmi Selene poteva anche apparire un momentaneo delirio, ma era meglio evitare di richiamare una simile attenzione per stupidaggini simili.

«Era l'ora che spegnessi quell'aggeggio, credo abbia svegliato mezzo piano prima che ti decidessi a interrompere l'allarme.»

Feci spallucce, non sentendomi affatto in colpa, «Non credo che qualcuno oggi sia riuscito a dormire, ci sono gli esami.»

«Può darsi, ma... che hai fatto al braccio?» domandò avvicinandosi con due falcate.

«Non ne ho idea.» risposi sincera, «mi sono svegliata ed era così.»

«Con te, Neva, non ci si annoia proprio mai.» brontolò per poi inchinarsi. Raggiunse un borsone da sotto il letto, «Ho fatto bene a preparare un kit delle emergenze, ma non ci vedo abbastanza con questa luce.»

Non risposi al suo auto compiacimento, ma lo vidi andare ad azionare l'interruttore.

In attimo la stanza fu illuminata a giorno e ciò che vidi mi paralizzò.

Ora il taglio appariva come una cosa di poco conto, un'inezia.

«Neva...» cominciò la mia guardia, guardandosi intorno, «che diavolo è successo qui sta notte?»

Su ogni spazio vuoto della stanza vi era scritta, col mio sangue realizzai, la medesima cosa.

"Non fidarti di lui"

Sapevo benissimo chi fosse quel lui. El.

Il perché l'avessi fatto...beh, per non cadere in tentazione e chiudere un occhio sull'intera faccenda immagino.

Ma cosa fosse realmente accaduto quella notte, era un mistero, o meglio un incubo peggiore degli altri.

«Perché hai fatto una cosa simile?» continuò Iberide squadrandomi.

«Di questi giorni sono sonnambula» mentì, legandomi i capelli, come meglio riuscivo.

«E non ho la minima idea di che cavolo siano quelle scritte.»

Dallo sguardo che l'uomo mi rivolse capì che non credeva, non fino in fondo. Il che sapevo non essere un bene. Per quanto in quei giorni ci fossimo avvicinati, Iberide rimaneva la mia guardia. Poteva fare rapporto su di me in qualsiasi momento e consegnarmi all'esercito, o peggio agli abitanti delle Lande.

«Di chi non ti devi fidare Neva?»

Non risposi, mi alzai e andai in bagno, chiudendomi la porta alle spalle. Dovevo ricompormi e cercare una soluzione a quel impiastro che imbrattava la camera.

Mi feci una doccia veloce, stando ben attenta alla ferita. Mi cambiai e guardandomi allo specchio mi convinsi che stavo già un poco meglio. La mia faccia però non mentiva. Le occhiaie non erano mai state tanto prominenti e la mia pelle più cadaverica.

Mi stavo abituando a quell'aspetto.

«Vai in mensa senza di me, Iberide.» gli dissi, senza badare al modo con cui osservava i muri, «Ho lo stomaco a soqquadro, per gli esami, e anche volendo non credo riuscirei davvero a mangiare qualcosa.»

«Non credo sia il caso che me ne vada. Non con questo scempio.» addisse alle pareti, «e devo ancora medicarti quella ferita.»

Non sembrava intenzionato a muovere un solo passo. Che sospettasse o meno qualcosa non riuscivo a capirlo dal suo volto. Era tornato del tutto imperscrutabile, proprio come quando l'avevo conosciuto.

In quel momento non si fidava di me e come dargli torto. Il problema era cosa avrebbe comportato la mancanza di tale fiducia...

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