Un filo ronzava, accanto a me, o meglio, traforava il mio timpano, inondandomi del frastuono che emetteva la polvere, ogni volta che questa, si appoggiava effimera per un momento tanto breve, quanto bastasse il sole a trapassarla e renderla così visibile.
Tastai la consistenza del mio dolore, lo spezzai.
Minuscole scaglie di vetro si depositarono sul mio palmo. O almeno mi parve, dati i piccoli tagli che mi ero procurata.
Col vedere fiotti cremisi notai anche, un vestito candido ricoprirmi, alzai leggermente la testa, per scoprirmi sdraiata, all’interno di quella che pareva una bara, baciata dal calore e dalla luce; che si diffondeva tra le mille sfaccettature degli arabeschi, scolpiti su di essa.
Lasciai che le mie membra tornassero a rilassarsi, per cedere l’agitazione e l’inspiegabile al mio cervello, che pareva però assopito, incapace di stabilire un’ora, un luogo e persino la realtà degli avvenimenti.
Quella che provavo era una calma irrazionale, che come tale, non tardò a crollare.
Mi si bloccò il fiato in gola nel capire che non vi era più aria in quello spazio ristretto, ma che qualcosa si stava propagando al suo posto nelle mie vene.
Cominciò dalle punte delle dita.
Era la stessa sensazione che si prova quando un arto si atrofizza.
Si diffuse in tutto il corpo, persino alle palpebre, che pesanti scivolarono, privandomi di vedere qualsiasi cosa stesse avvenendo.
Ma quello che stava accadendo non era fuori, era dentro di me.
Stavo sognando, mi informò subito la mia coscienza, come se quello che stessi ammirando l’avesse finalmente rianimata; come se non fosse sufficiente trovarsi chissà dove, in una tomba, non proprio all’ ordine del giorno.
Fu proiettata all’interno delle mie ossa.
Percepì la loro forma, la loro integrità e il sostegno che davano.
E come tale mi frantumai, impotente, sotto quello che pareva essere una lava di ghiaccio, che si riversava in una colata di acuto e frizzante freddo.
Lo sentivo ribollire, intento a squassare ogni mio organo vitale.
Come la mano di un bambino, che per gioco, scorre le dita su ogni tasto di un pianoforte, le mie costole si spezzarono, succedute, in quella melodia perfetta, dalle mie vertebre, che avevano, in un atto disperato, premuto sui muscoli e inarcato così la schiena per proprio conto.
Il mio cuore fu schiacciato, pressato, dilaniato e in fine prosciugato.
I miei polmoni si sciolsero nella stessa sostanza, che senza farmi battere ciglio, mi stava sottraendo la forza di poter combattere per la mia esistenza.
Il mio cranio subì il colpo finale, mi parve espandersi, per un secondo, quasi volesse mostrarmi la soluzione per ogni domanda, che mai potesse affliggere l’uomo, donandomi quella risoluzione e completezza nei confronti di ogni essere vivente, che la paura ha sempre sopraffatto, rendendoci incapaci di poter instaurare un vero e proprio legame con la nostra terra e il prossimo.
Ed infine anche il mio ultimo neurone, come una lampadina ormai fusa, si spense, relegandomi all’oscurità del mio essere.
***
L’ aria, così come le lenzuola in cui mi stavo rigirando, sembravano state immerse in un’essenza vanigliata.
Mi portai una mano sul viso, e lentamente mi scostai i ciuffi di capelli, che solitamente mi ricadevano sul viso, per dare un’occhiata alla sveglia, accanto a me.
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Kaos
FantasyDal capitolo 8: Parve quasi sul punto di dire qualcosa, ma poi ci ripensò, « andrete all'Accademia » mi rivelò in fine. « All'Accademia? » ripetei sperando di aver capito male. Non volevo tornare trai banchi. « è l'unico posto sicuro al momento. Ver...