Capitolo 36: La Cupola dei Gigli Astrali - parte 3

129 14 0
                                    

Capitolo 36: La Cupola dei Gigli Astrali – parte 3

Un po' titubante mi mossi verso la scala che rimaneva in corrispondenza del dormitorio femminile. Era notte fonda, certo, ma non avevo la soluta certezza che Iarlaith stesse dormendo e se mi avesse scoperta avrei dovuto fornirgli spiegazioni di cui non disponevo.

Al contrario non vi era nessuna ragazza Giglio nella Rimembranza, quindi sembrava un percorso abbastanza sicuro.

Presi a salire la scala. Ad ogni passo le assi di legno, poggiate nel ferro battuto e lavorato, scricchiolavano invadendo lo spazio di suoni tetri e cupi.

L'illuminazione andava via accendendosi tanto che salivo e di contro si spegnava una volta superato un certo numero di scalini. Sotto di me c'era quindi un baratro nero come la pece.

Stavo risaldo i dormitori, realizzai, nel vedere dipinti sui muri gli stessi fiori che costituivano la Casta. Erano affreschi e dovevano essere piuttosto antichi, dato che in più punti apparivano scoloriti.

Sulla volta vi era invece raffigurato un cielo stellato, che andava ad infrangersi nello stesso punto in cui la scala bucava il soffitto.

In trepidazione e trattenendo il respiro sbirciai, una volta giunta alla fine della scala, nel luogo in cui questa mia aveva portato.

I miei occhi, a livello del pavimento, non vedevano altro che sontuosa mobilia da ogni possibile angolazione, ma appena levai un poco gli occhi restai a bocca aperta.

L'ambiente non era illuminato artificialmente, ma dalla Luna stessa che in tutta la sua gloria si mostrava attraverso la Cupola di cristallo.

Mi tirai su da quella che scoprì essere una botola, e la richiusi, celando la vista della scala ora del tutto sommersa dalle tenebre.

Vidi l'interruttore dei lampadari, ma mi fermai appena in tempo dall'accenderli. Quel luogo era visibile da tutta l'Accademia. La presenza di qualcuno nella Cupola sarebbe stata del tutto palese, con le luci accese.

E poi vi erano così tante stelle visibili.

Potevo anche scorgere anche i due bracci, perfettamente simmetrici, in cui erano ubicati i dormitori, così come le città vicine.

L'ambiente, anche se in penombra, riusciva comunque a darmi un senso di pace e famigliarità. Vi erano diversi divani, una sala da pranzo e un piano, tutto open air.

E un'altra scala che portava ad un soppalco, rimanente ai margini della stanza.

La imboccai, non curandomi questa volta dei suoni emessi. Sapevo che nessuno poteva udirmi in quel luogo, non perché fosse notte, ma perché era lontano da tutti e nessuno si aspettava di trovarvici qualcuno.

Anche se, infatti, era tenuto tutto con gran cura, non avevo potuto fare a meno di notare lo spesso strato di polvere posato come zucchero a velo su ogni dove.

Doveva essere disabitato da tempo.

E la stanza in cui giunsi non doveva essere da meno. Era una cucina, corredata da stoviglie, piatti e attrezzi vari, con un bel tavolo da pranzo, anche se meno alla moda e più intimo rispetto a quello sottostante.

Vi era anche una piccola saletta.

Su questa si affacciavano tre stanze. Ognuna, notai, presentava un nome, ma erano stati tutti cancellati.

A prescindere da questo sapevo qual era la mia e prima che il panico tornasse a ridurmi a un ammasso di gelatina, mi mossi in tale direzione.

Aprì la porta e per un attimo mi vidi. Ero lì intenta a scrivere allo scrittoio.

Sembrava una versione di me più vecchia, non di molto, venti, forse venticinque anni, come l'uomo di cui tanto avrei voluto ricordare ogni cosa.

Quella Selene era felice, aveva un segreto che sembrava star raccontando a qualcuno, e le gote arrossate tanto che intingeva il pennino nell'inchiostro. Era innamorata.

Feci un passo nella sua direzione e questa scomparve. La penna era adesso al suo posto e non vi era inchiostro, così come non vi era carta su cui scrivere.

Vi era solo polvere.

Cautamente allungai una mano, e immersa nella luce lunare, aprì lo scrittoio. Vi erano quattro lettere.

Non so così fu più stupefacente, il fatto che vi erano quattro lettere lì e che avrei quindi potuto evitare di iscrivermi al Festival, anche se poi si era rivelata una manna avere Iberide o il fatto che quella fosse la mia scrittura.

Erano talmente vecchie, però, che quando feci per prenderne una, parte di questa si disintegrò. Ed era carta carbone. Mi adoperai nel cercare le originali, ma non ve ne era traccia, non lì almeno.

«Forse non dovrei leggerle...» mi dissi incerta. Non che fosse comunque semplice, seppur fosse la mia scrittura il tempo ne aveva cancellato lettere e intere parole.

«Da qualche parte però devo pur cominciare a capire qualcosa, però.» affermai, cercando qualche appiglio in quelle righe.

Non vi misi molto a comprendere che si trattava di lettere di corteggiamento. Ed era alquanto imbarazzante sapere che una versione di me aveva ricevuto qualcosa di simile e allo stesso tempo mi sentivo anche euforica. Condividevo quel sentimento e mentre le leggevo riuscivo a rievocare l'attesa che quelle parole mi ricordavano, assieme all'eccitazione di leggerle e rispondervi di nascosto.

Ed erano tutte da parte della medesima persona. Colui di cui avevo visione, ma non percepiva davvero l'animo, Cyneric.

KaosDove le storie prendono vita. Scoprilo ora