Capitolo 3 (JACK - capitolo inedito)

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Dopo due mesi di totale assenza, mio padre si è rifatto sentire. Quando ho ricevuto la sua chiamata nel bel mezzo del lavoro ho subito pensato che fosse di nuovo nei guai e che avesse bisogno di soldi. L'ultima volta aveva perso delle scommesse su alcuni combattimenti clandestini ed era disperato, quasi sul punto di inginocchiarsi e implorarmi di dargli dei soldi. E l'ho fatto. L'ho aiutato... e poi è sparito, ricomparendo oggi. Ma pare che non abbia bisogno di soldi e non si è cacciato in nessun guaio.

     «Ti sei deciso a farti vivo», gli dico mentre mi accendo una sigaretta, col sedere poggiato sulla sella della mia moto, e lo fisso aspettando delle risposte concrete.

     «Hai ragione», si mette nella mia stessa posizione, al mio fianco, e mi fa cenno di offrirgli una sigaretta. Ne sfilo una dal pacchetto e aspetto pazientemente che l'accendi e che inspiri la prima boccata di nicotina. «Sono successe delle cose».

     «Spero cose buone», soffio via il fumo e guardo dritto davanti a me. Il fiume scorre lento e il rumore delle auto che passano sul ponte sopra le nostre teste, si confonde con lo scroscio dell'acqua.

     «Sì, cose buone», sorride e mi spiazza. Quindi mi ha cercato solamente per una chiacchierata? Beh, sono davvero sorpreso.

     «Vuoi parlarmene?» azzardo e lui annuisce mentre inspira ed espira una grande quantità di fumo.

     «Ho conosciuto una donna. Vivo con lei da quasi due mesi».

     «Wow, sono contento per te». Non me l'aspettavo, ma potrebbe essere l'inizio di un cambiamento. Già che non si è messo nei guai in questi due mesi è senz'altro una cosa molto positiva.

     «Lavora in un negozio di alimentari e... ho trovato anche io un lavoro».

     «Grandioso».

     «Fattorino. Non è grandioso, ma riesco a racimolare qualche soldo».

     «Beh, è solo un inizio».

     «Sì, certo. Lo faccio per lei, per me, insomma, per far funzionare questa storia».

     «Ti fa onore». Cerco di fargli capire che sono dalla sua parte e che spero in un suo cambiamento.

     «Non proprio. Lei, per arrotondare, spaccia stupefacenti sottobanco e ha inserito anche me nel giro», ammette senza vergognarsene.

    Alzo gli occhi al cielo e sospiro. «Non so che dire, davvero. Sei stato una vita in gabbia. Cerca di non farti rinchiudere di nuovo».

     «Non darmi lezioni di vita, figliolo. Conosco meglio di te la vita di strada».

    «Sì, è un vero schifo». Butto via il mozzicone e incrocio le braccia al petto.

    Lui fa una risata nasale, soffiando via il fumo. «Ora ti fa schifo, eh? Sei diventato come loro: un ridicolo snob con la puzza sotto il naso e che cammina come se avesse un cazzo dritto su per il culo».

     «Ho scelto di farmi una famiglia...»

     «Con un'aristocratica del cazzo».

     «Ah, Eleanor ti infastidisce?»

     «Mah, tu che dici?» spiaccica a terra il mozzicone e mi fissa. Lo so cosa pensa. Quando si è presentato in ospedale, il giorno della nascita di Leo, tutti lo hanno accolto con ostilità. Compresa Eleanor. Anche quando le ho chiesto di ospitarlo a casa nostra qualche mese dopo, non riusciva a sentirsi per niente a suo agio con mio padre in giro per la casa. Lo guardava con circospezione, ma non perché ha ucciso qualcuno, perché ha paura che il passato possa schiantarsi, ancora una volta, con violenza su di noi, mettendo a rischio tutto quello che abbiamo costruito. Io l'ho capito. So come si sente ed è difficile da spiegare a mio padre.

Rapita - parte 4 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora