Capitolo 20 - Jack (capitolo inedito)

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Mi metto ad aspettare Ivy sulla soglia di casa, seduto sugli unici due gradini presenti, ammazzando il tempo fumando una sigaretta, che poi diventano due... e infine tre, tenendo lo sguardo sempre fisso sulla strada. Ma Ivy non accenna a tornare.

«Alla fine ce l'hai fatta a scopartela». La voce rauca di mio padre, per colpa del troppo fumo, mi fa drizzare la schiena e contorcere lo stomaco.

«Non l'ho scopata», borbotto spiaccicando il mozzicone della sigaretta sotto la suola della scarpa.

«Ma qualcosa avete pur fatto. Vi ho sentiti». Sento i suoi passi zoppicanti che si avvicinano e a fatica si siede accanto a me.

«Stai meglio?» sospiro e lascio cadere il precedente discorso.

«Per niente, mi ero solo rotto i coglioni di stare a letto. Dina mi sta soffocando con tutte le sue attenzioni», sbraita e mi chiede una sigaretta.

«Beh, ti vuole bene. Non lamentarti sempre». Gli lascio tutto il pacchetto e riprendo a fissare la strada deserta.

«E vuole bene anche te. Lo sa che hai dormito con sua figlia e fa il tifo per voi. Dice che sei il tipo giusto per lei, che sei un bel ragazzo e che hai la testa sulle spalle. In pratica, il tuo posto è qui con noi».

«Un tipo con la testa sulle spalle non commette l'errore che ho fatto io», borbotto a voce bassa e ripenso a Eleanor, a come sta e a come ha passato la notte. Una fitta mi lacera il petto. «Ho un figlio, una moglie e... sono un pezzo di merda».

     «Gli uomini seguono i propri istinti, spesso sbagliano... ma non imparano mai la lezione». Prende una grossa boccata di sigaretta e io lo guardo con la coda dell'occhio.

     «Ieri per poco non mi hai calciato fuori a calci, come mai adesso fai il padre comprensivo?»

     Sorride. «Ieri ero incazzato con te, adesso non più», alza le spalle e riprende a fumare.

     «Beh, grazie», sono sarcastico e il rombo della mia moto che si avvicina mi fa scattare in piedi.

     Ivy arriva con un sorriso che va da un orecchio all'altro e dal modo in cui mi guarda mentre scende dalla moto, deduco che abbia frainteso ancora una volta le cose tra di noi. Beh, però stavolta la colpa è mia.
     «Buongiorno. Ti ho portato la colazione». Mi sventola un sacchetto davanti agli occhi, ma io non lo vedo affatto. Continuo a fissare lei e a chiedermi se è appena stata da Eleanor.

      «Cos'hai fatto?» in un certo sono sicuro che ci abbia parlato.

      «La cosa giusta». Il sorriso le muore all'istante e lancia il sacchetto a mio padre, che lo afferra affamato.

      «Devi starne fuori...» stringo i denti e lei si avanza di un passo, per niente intimorita, quasi a volermi sfidare.

      «Se non fossi andata da lei, ora non avrei scoperto una cosa...» mi fissa e riprende a sorride. «Sai chi c'era a farle compagnia?»

      I miei pugni si stringono e già vedo il viso di Andrew che prende forma davanti ai miei occhi.

      «Quel biondino...» continua lei. «Quello che dovrebbe essere il ragazzo della mia amica Clare».

      «Andrew...» borbotto.

      «Già, proprio lui. Erano sul divano quando sono arrivata. Lui le teneva il viso e le diceva di amarla. È stato molto romantico, non per Clare ovviamente che lo ha già saputo da me».

      Inizio a sbuffare peggio di un toro e dovevo aspettarmelo che quello stronzo era già nei paraggi. Non ci ha mai rinunciato a Eleanor e sta solo aspettando il momento giusto, che a quanto pare è arrivato.

      «Ti infastidisce, eh? Ma forse dovresti lasciarla in pace, perché sa cosa abbiamo fatto stanotte. Le ho detto tutto e credo proprio che non vorrà più vedere la tua faccia per un bel po' di tempo». Mi sbatte sul petto le chiavi della moto ed entra in casa a testa alta, facendomi venire voglia di tirarmi un pugno in faccia da solo.

«Ivy è perfida, ma fa le cose giuste. Tua moglie doveva saperlo», aggiunge mio padre con la bocca piena di ciambella, ma io lo ignoro e salto in sella alla mia moto per tornare a casa. Devo scusarmi con Eleanor, mettermi in ginocchio e implorare il suo perdono. So che sarà difficile ottenerlo questa volta, ma devo assolutamente parlarle.

     Però a casa non c'è nessuno. Eleanor non c'è e dubito che sia in ufficio con suo padre.
     Mi lascio cadere sul divano e mi capita tra le mani la macchinina di Leo. Faccio un profondo sospiro, mi passo una mano sul viso e mi metto a fissare il soffitto. Che cazzo ho combinato? Ho rovinato tutto, ho distrutto il mio matrimonio e Eleanor non si fiderà più di me. Ma dov'è adesso? La casa e così terribilmente silenziosa da mettermi ansia e il ronzio lento degli elettrodomestici sembra che mi stia urlando di uscire a cercarla. Forse è con Andrew? Senza dubbio quell'infame l'ha costretta a passare il giorno con lui. Ormai lo conosco troppo bene da prevedere ogni sua singola mossa e se l'intuito non mi inganna, ora dovrebbero essere sul suo yacht di merda.

Non perdo tempo e ritorno in sella alla mia moto, ma quando giungo a destinazione lo yacht non è ormeggiato al suo solito posto. Deduco che abbiano preso il largo.
     Sospiro pesantemente e ritorno a casa per mettere in carica quel che resta del mio cellulare. Il display è completamente scheggiato ma riesco a trovare il numero di Walter. Lui è l'unico con cui posso parlare in questo momento, e dubito che Eleanor voglia sentirmi.

     «J... stavo per chiamarti», la sua voce è poco più che un sussurro.

     «Ti chiamo per sapere se sai dove si trova Eleanor...»

     «È qui con Leo», mi interrompe. «Ma è strana e Andrew le sta appiccicato al culo. Dove cazzo sei?»

     Stringo i pugni. Maledetto Andrew. «Ho fatto un casino...»

     «Merda, J». Sbuffa infastidito.

     «Ma voglio rimediare», mi affretto a rispondere.

     «Rimediare cosa?» sbotta, ma regola all'istante il tono della sua voce. Evidentemente sta parlando con me di nascosto. «Eleanor sembra un fantasma e né io né Brenda abbiamo il coraggio di chiederle cosa cazzo è successo. L'unico che sa qualcosa è Andrew, ma finge che sia tutt'okay e non la smette di sorridere contento. È la seconda volta che quei due condividono dei segreti, J. E spero che qualsiasi cosa tu abbia combinato la risolvi in fretta!»

     «Quando tornate?» sento il sangue che mi ribolle nelle vene e ho bisogno di prendere a pugni qualcosa.

     «Attracchiamo stasera».

     «Tienili d'occhio e avvisami quando state tornando».

     «Risolvi in fretta», mi ripete e riattacca, lasciandomi da solo alle prese col silenzio opprimente della casa e col caos dei miei sensi di colpa che mi fanno venire la nausea. Decido così di andare in palestra a scaricare la tensione tirando qualche pugno su un sacco da boxe e ci resto per gran parte del pomeriggio, estraniandomi dal resto del mondo e pensando solamente a come poter risolvere la situazione. Ma l'unica soluzione è quella di beccarmi una bella strigliata da mia moglie, anche uno schiaffo e una porta in faccia, e lasciarle del tempo per sbollentare la rabbia per poi dimenticare definitivamente la casa di mio padre, i suoi problemi e a quelli che vuole crearmi Ivy.
E tra pugni e pensieri, il pomeriggio scorre veloce. Finalmente è arrivata l'ora di parlare con Eleanor.

Rapita - parte 4 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora