Capitolo 29 - Eleanor

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Non riesco a pronunciare neanche una parola. L'ansia mi ha praticamente atrofizzato le corde vocali, ma vedere J, al mio fianco, che mi rassicura e che mi dice che Leo sta bene, è un toccasana per me in questo contesto così raccapricciante.
Non pensavo che un giorno avrei sofferto così tanto. Credevo che il mio matrimonio con J sarebbe stato una passeggiata tranquilla, su petali di rosa, sotto la perenne luce del sole... ma mi sbagliavo.
     Non sempre gli ostacoli servono a rafforzare una coppia, ma a volte possono essere anche degli avvertimenti. Qualcosa di cui stare attenti. Qualcosa che non sempre si è in grado di superare.
     Ora lo capisco. La nostra storia è stata minacciata fin dall'inizio, anzi, fin dall'inizio ci sono stati degli avvertimenti, dei campanelli di allarme che mi avvertivano del pericolo di stare insieme a un uomo come J. E adesso ne sto pagando le conseguenze. Leo sta pagando più di me e non è giusto.
      Non è giusto che un bambino debba soffrire, che debba trovarsi al centro di situazioni che non dovrebbero neanche lontanamente riguardarlo e che io debba vedere tutto questo, subire tutto questo, solo perché ho amato la persona... sbagliata.
     E adesso mi chiedo: cosa accadrà dopo tutto questo? Avrò ancora il coraggio di condividere la mia vita con lui? Io voglio solo il bene per Leo e per il bambino in arrivo, un futuro roseo per entrambi, ma forse con la presenza di J nelle nostre vite non sarà mai tutto facile.

      Mi accarezzo la pancia mentre raggiungiamo una macchina in sosta, con i fari accesi, appena fuori casa. Da poco più di mezz'ora sono cominciati dei dolori al basso ventre per il momento sopportabili. Credo siano dovuti all'ansia e allo spavento, e un'altra creatura minuscola e indifesa ne sta pagando le conseguenze. Anche questo forse è un avvertimento: una gravidanza a rischio e la probabilità di subire un aborto spontaneo. Eppure, fa male pensare che potrebbe accadere perché... non è quello che voglio.

Ho detto a J di voler abortire solo per punirlo e ferirlo, ma non avrei mai avuto il coraggio di farlo davvero. E il solo pensiero di poter essere punita io per aver detto una bugia, mi uccide.
«Andrà tutto bene», mi sussurra J all'orecchio, prima di aiutarmi a salire in auto.

Sto tremando così tanto da non riuscire nemmeno ad afferrare il manico della portiera e ci pensa lui a farmi mettere comoda sul sedile posteriore, senza smettere di sussurrarmi che tra poco riabbracceremo Leo.

Le ennesime lacrime mi rigano le guance, ma le asciugo in fretta perché dopo tutto, non c'è più nulla da temere, vero? Ma i miei occhi si scontrano con quelli dell'uomo che più odio al mondo: il padre di J.

Mette via il cellulare non appena lo guardo e lui non si limita nemmeno a salutarmi. Riporta subito gli occhi davanti a sé, e voglio pensare che sia un modo per farmi capire che ha vergogna di guardarmi e che è pentito di quello che ha fatto. Ma ne dubito fortemente, e sono più convinta del fatto che adesso si trova qui, in questa macchina, solo perché è stato J a costringerlo. A giudicare dal sangue incrostato sotto al naso, deve averlo costretto con le cattive maniere.

J si mette alla guida e non gli è sfuggito il gesto del padre nel mettere via il cellulare in maniera sospetta. «Stavi parlando con qualcuno?»

«Solo Dina», risponde l'uomo, con un filo di voce preoccupato. «Ivy non se la sta passando molto bene».
Sentir pronunciare il suo nome mi provoca un colpo allo stomaco.

J non risponde e guida spedito verso il punto d'incontro stabilito e la mia ansia sale sempre di più. È ormai notte fonda e mi chiedo se Leo si sia calmato, addormentato magari, per sfuggire a tutti questi incubi che lo stanno circondando. E spero proprio che quando riaprirà gli occhi, si troverà nella sua culla, la manina stretta nella mia, al sicuro e tra tutto l'amore che gli serve.
E poi non voglio più pensare a nulla, ma solo a proteggerlo per il resto della mia vita. Perché dopo questa orribile esperienza, non conta davvero più nulla. Neanche Ivy e a quello che ha fatto con J. Non mi importa più. Rivoglio solo mio figlio.

Mi accorgo di essere arrivati solo quando J rallenta e il cuore comincia a battermi forsennato nel petto. Fa cenno al padre di chiamare il tizio che ha Leo e lui obbedisce.

La tensione mi impedisce di respirare correttamente e quando il tizio al cellulare ci risponde di raggiungere il parcheggio sul retro dell'hotel, J non se lo ripetere due volte e ferma l'auto quanto più vicina all'entrata, sperando che da quella porta di servizio uscirà Leo sano e salvo.

«Andrà tutto bene», mormora tra sé e percepisco tutta la preoccupazione e la paura che non ha mai provato così profondamente in vita sua.

Vorrei poter dire qualcosa, ma non ci riesco. Non riesco nemmeno a distogliere lo sguardo da quella porta e a contare i secondi che mi separano da mio figlio.

«Vecchio, entra da solo», la voce del tizio ancora al cellulare mi fa trasalire.

«Entro anche io!» sbotta J.

«Stai calmo. Entra solo tuo padre», lo minaccia. «Tuo figlio si è appena svegliato e ha sentito la tua voce. Lo vedrai tra poco, stai tranquillo» e riattacca proprio mentre la vocina roca e spaventata di Leo pronuncia la parola papà. Mi sporgo in avanti in preda all'agitazione ma J si volta verso di me e mi posa una mano sul viso.

«Ci siamo quasi. Leo sta bene» e giuro di vedere un luccichio nei suoi occhi. Lo fisso, sento il labbro che trema, un freddo gelido che mi avvolge e annuisco. Non c'è più nulla da temere. Manca davvero pochissimo.

«Ora vai...» dà una spinta a suo padre per farlo uscire dall'auto e gli dà una mano a recuperare due valigie dal bagagliaio.

Esco anche io e attendo con ansia che avvenga lo scambio. Due valige per mio figlio.

J mi si avvicina con gli occhi fissi su suo padre mentre si avvia all'entrata. Un ragazzo armato gli va in contro e lo spinge all'interno, ma fino all'ultimo secondo, il vecchio bastardo non fa altro che guardarsi alle spalle. E non nella nostra direzione, ma verso la strada deserta, come se si aspettasse l'arrivo di qualcuno da un momento all'altro. Ma chi può mai correre a salvarlo? Ormai deve affidarsi solo a se stesso, chiedete scusa, restituire ciò che non è suo e riportami mio figlio.

La mano di J mi accarezza la spalle e lo sento trattenere il respiro. Non diciamo una parola per i seguenti dieci minuti. I minuti più lunghi e strazianti della mia vita.
E quando il pianto di Leo finalmente ci giunge alle orecchie, ci aggrappiamo l'uno all'altra falla sollievo. «Sta arrivando», mi dice J, stampandomi un bacio sulla tempia e io piango dalla gioia.

A stento mi reggo sulle gambe quando lo vedo uscire dalla porta, in braccio a suo nonno. Dio mio, ce l'ha fatta. Ce l'ha fatta davvero!
Sorrido felice quando Leo allunga le braccia verso di me e compio qualche passo in avanti per raggiungerlo più in fretta possibile. Devo assolutamente asciugargli tutte le lacrime, stringerlo forte a me, strapazzarlo di coccole e riempirlo di baci. Ma dei suoni assordanti fendono l'aria. J mi afferra il polso.

«L'hai chiamata tu?» urla per sovrastare le sirene della polizia.

«Cosa? No» sbotto e mi dimeno per fargli lasciare la presa. Ho pensato di farlo, ma poi ho cambiato idea. Non volevo mettere in pericolo Leo e poi... avevo fiducia in J. Sapevo che avrebbe fatto di tutto per riportarlo a casa.

J alza gli occhi suo padre che mormora un «Mi dispiace» appena udibile e qualcosa mi dice che siamo nei guai. Che mio figlio non è ancora al sicuro.



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😱😱😱 trattenete le lacrime per il prossimo capitolo!

Rapita - parte 4 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora