Capitolo 6 (JACK - capitolo inedito)

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Ammetto di avere un leggero tremito alle mani quando parcheggio la moto sul retro di un palazzo a due piani in un quartiere di periferia.

     Non metto piede in questi posti fatiscenti da un bel po' di tempo ormai. E se prima i rumori della strada, le sirene della polizia, gli schiamazzi delle gang e i latrati dei cani erano suoni abitudinari per le mie orecchie, ora non ci sono più abituato. Ho costruito un muro verso il mondo esterno e mi sono chiuso nella mia bolla personale che comprende me, Eleanor e il nostro piccolo Leo, che oggi ha anche detto papà per la sua prima volta. Mi si stringe il cuore al solo pensiero e mi strappa un sorriso. Non vedo l'ora di stringerlo forte al mio petto e tenerlo così per tutta la notte. Quel bambino mi rende felice anche solo se penso al suo viso dolce e soffice.

     Ma ora devo dedicarmi a questa cena. Devo farlo per mio padre, per fargli capire che sono dalla sua parte e che Eleanor è disposta ad accettarlo nella vita di nostro figlio solo se continua a rigare dritto. E sono contento comunque di essere solo stasera perché questo posto non fa per Eleanor, e neanche per Leo se devo essere sincero.

     Mio padre mi accoglie alla porta con un sorriso e una pacca sulle spalle. «Grazie per essere venuto», mi sussurra mentre mi fa strada dentro casa. Sorpassiamo uno stretto corridoio, fiocamente illuminato e con la carta da parati color ocra scollata in alcuni punti. Poi, apre la seconda porta sulla destra, e intuisco sia l'appartamento in cui vive, che si presenta molto meglio dell'entrata.

     Nonostante sia piccolo è molto accogliente, forse un po' troppo colorato, ma sa di vita vissuta con allegria o forse l'hanno solamente arredato con i mobili di seconda mano che sono riusciti a raccattare.

     «Non ti aspettavi mica un attico extra lusso? So che ti sei abituato bene negli ultimi anni, basta vedere il vino costoso che hai portato». Mi sfila via la bottiglia dalle mani, che ho pagato quasi cento dollari, e la posa sul tavolo apparecchiato per quattro. Quattro? Forse si aspettava che sarebbe venuta anche Eleanor?

    Sto per chiederglielo quando una donna ci raggiunge in salotto, con un grembiule in vita e un guantone da forno in una mano. «Oh, che piacere conoscerti», trilla lei con troppa euforia e si avvicina per baciarmi le guance. Deve alzarsi sulle punte per farlo e profuma di pasta cotta al forno.

    «Grazie per avermi invitato. Sono contento di essere qui».

    «Il piacere è tutto nostro», continua lei. «La famiglia prima di tutto», mi sorride. «Accomodati pure. La cena è quasi pronta». Scosta una sedia da vicino al tavolo e poi ritorna in cucina.

      Beh, sono sorpreso. Mi aspettavo un genere di donna completamente diverso, non una signora sui quaranta che a primo impatto ha tutta l'aria di essere una persona per bene. Se mio padre non mi avesse detto che spaccia stupefacenti di nascosto nel suo negozio, beh, avrei potuto scambiarla per una persona onesta e affidabile. Ma chissà se poi non è proprio così e fa del lavoro sporco solo per poter tirare avanti.

     «Allora? Non mi dici nulla?» mi chiede mio padre mentre si accomoda a tavola e stappa la bottiglia di vino.

     «Dina sembra gentile». Prendo posto di fronte a lui e mi ricordo del coperto in più.

     «È gentile. Anche se stiamo insieme da pochi mesi, so che posso fare affidamento su di lei. Ha la testa sulle spalle e non commette mai errori. È una donna in gamba».

     «Ti fa bene una donna così. Sono contento per te». Mi versa del vino e brindiamo, anche se non diciamo a che cosa, ma si intuisce perfettamente che stiamo brindando a noi, a questa serata, alla speranza che nulla venga compromesso nel nostro rapporto ancora incerto tra padre e figlio. «Ma questo posto apparecchiato per chi è? Lo sapevi che Eleanor non sarebbe venuta».

Rapita - parte 4 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora