Capitolo 16 - Jack (capitolo inedito)

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«Hai detto tutto a tua moglie, vero?» Ivy abbassa il finestrino e si accende una sigaretta.

«Ovvio, anche se ci era già arrivata da sola».

La sento sorride e scuote la testa. «Si capisce che non è ingenua, ma adesso ha anche l'aria di volermi ammazzare. Devo preoccuparmi?» mi provoca, alludendo alla storia tra Richard e Eleanor, e stringo le mani sul volante.

«Tieni la bocca chiusa se non vuoi farti tutta la strada di ritorno a piedi», sbotto infastidito e lei sospira.

«Scusami, stavo solo scherzando. E poi, che razza di uomo è uno che va a spifferare alla moglie ogni sacrosanta cosa?».

Inchiodo l'auto sul ciglio della strada e mi volto verso di lei. «Un uomo fedele e che ci tiene al suo matrimonio. Ora non rompere il cazzo, Ivy» l'avviso puntandole l'indice e lei si limita a guardarmi contrariata. Ha qualcosa da dirmi proprio sulla punta della lingua. La vedo lottare contro se stessa per sputare fuori qualche insulto pesante, ma resta in silenzio e reprime tutte le parole che le stanno inondando la bocca, tappandole con una boccata di nicotina che soffia via dal finestrino, senza più voltarsi verso di me.

Prendo un profondo sospiro e mi rimetto a guidare. Ivy mi ha spiegato che la sua auto, anzi, quel suo vecchio scassone, non ne voleva sapere di partire stamattina e ha dovuto prendere un taxi per raggiungere casa mia, rimanendo con pochi contanti nelle tasche per poterselo permettere anche al ritorno. Ecco perché adesso le sto dando un passaggio, e sarà anche l'ultima volta.
Comunque, non parla più per tutto il resto del tragitto e se ne sta sulle sue proprio come se si fosse offesa per qualcosa che ho detto. Ma il punto è che non siamo niente, non saremo mai niente, e non ho voglia di perdere tempo con queste stupidaggini.

     Quando arriviamo a casa di mio padre, Ivy esce impettita dall'auto e mi sorpassa con una spallata prima di varcare la soglia. La lascio perdere e vado dritto da mio padre, che sta a letto a girare i canali in tv. Ha il viso gonfio, un occhio chiuso e una medicazione sul naso. E da come se ne sta disteso tutto storto, scommetto che ha delle contusioni anche alla schiena.
     «Che ti è successo?» Sospiro e mi siedo sul bordo del letto.

     «Mi servivi ieri, non adesso», borbotta senza voltarsi a guardarmi, ma tiene lo sguardo incollati ai programmi che fa scorrere in tv.

      «Non posso essere sempre reperibile per te e i tuoi guai, ho una famiglia, cazzo. Non dimenticartene».

     Dina fa il suo ingresso con una tazza di tè e si siede sull'altro lato del letto. Scorgo Ivy sulla soglia intenta ad ascoltare ogni cosa, e già so che non sarà una conversazione facile.
     Mi massaggio per un attimo le tempie e Dina comincia a parlare. «È un po' scorbutico tuo padre stamattina per via degli antidolorifici. Non badare a come parla», lo giustifica e lo aiuta con la tazza di tè. Ma ovviamente mio padre brontola che il tè fa schifo e che vorrebbe tanto una tazza di caffè forte, ma Dina è paziente e lo imbocca addirittura.

      «Mi dispiace per non aver risposto. Non sapevo che avessi bisogno di aiuto». Lo guardo, così vulnerabile e con la fronte aggrottata. Ha la barba ispida e le rughe marcate. Sembra decisamente più vecchio per gli anni ha. «I soldi ti servono ancora?»

     Allontana la tazza e la mano di Dina che cerca ancora di imboccarlo, e sbuffa. «No, non voglio niente».

     «Non tenermi il muso adesso come i bambini. Ti sto chiedendo scusa e mi fa male vederti in questo stato. Quindi, cazzo, lascia che ti aiuti adesso. Quanto ti serve?» sto già mettendo mano al portafogli quando Ivy si fa avanti.

«Digli almeno chi ti ha ridotto così e perché hanno fatto il suo nome prima di pestarti. È tuo figlio, non puoi cacciarlo in qualche guaio e tenerlo all'oscuro di tutto». Ivy non sembra farsi scrupoli a parlargli con un tono abbastanza alto. Ma mio padre alza gli occhi al cielo.

Rapita - parte 4 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora