Capitolo 15 - Eleanor

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Sarà che la visita inaspettata di Andrew abbia turbato J, oppure la sua notte fuori senza avvisarmi gli ha causato grandi sensi di colpa, qualunque cosa sia stata, ha reso J un po' più protettivo e presente. Come se tutt'a un tratto si fosse reso conto di potermi ferire ancora o addirittura perdermi senza preavviso. Ma dove vado? Proprio adesso che ho anche un ritardo non credo proprio di voler allontanarmi da lui, anzi, spero proprio che una nuova gravidanza ci leghi ancora di più.

     La sua gamba sfiora la mia da sotto le lenzuola. Il sole ha da poco fatto capolino in camera da letto. È ancora presto per alzarsi e spero proprio che J si prenda un'altra giornata libera dal locale. Amo stare a casa con lui nella completa e più assoluta pigrizia.

     Leo dorme ancora profondamente tra di noi e con un dito gli accarezzo il profilo delicato. È un angelo e mi si riempie il cuore di felicità ogni volta che lo guardo, ogni volta che restiamo così tutti insieme, a cullarci nel silenzio, lasciando parlare solo le emozioni.

     «Devi andare in ufficio da tuo padre?» mi chiede J in un sussurro, per non svegliare Leo.

«Posso anche evitare di andarci questa mattina».

«Bene, perché avevo proprio voglia di uscire un po', a fare una lunga passeggiata e pranzare in riva al mare», mi guarda e un ampio sorriso mi si apre sulle labbra.

«Sì, ci sto. Facciamo colazione e partiamo?»

«Prendiamocela comoda ancora un po'». Si stiracchia, facendo attenzione a Leo, e allunga una mano nei miei capelli per accarezzarmi.

Ma la pace dura poco e il campanello della porta suona due volte, facendo sobbalzare Leo.
«Sarà tua madre?» mi chiede J con un sospiro e scende dal letto.

Guardo la sveglia e sono appena le sette e trenta. «Non credo. Mia madre non si sveglia mai prima delle otto», consolo Leo e J si infila in fretta un pantalone di tuta, per poi scomparire in corridoio a torso nudo.

E dopo pochi secondi, la voce di Ivy inonda la casa, facendomi attorcigliare lo stomaco. Ma che diavolo ci fa a casa mia a quest'ora?

Cerco in fretta qualcosa da indossare per raggiungere J che è solo alle prese con quella ragazza pericolosa e fastidiosa che ci ha già provato con lui senza pudore e senza il minimo rispetto nei miei confronti. Ma Leo si lamenta e scopro che ha bisogno urgentemente di un pannolino pulito. Non posso lasciarlo così e lo porto subito in bagno per dargli una ripulita, ma le mie orecchie sono ben tese verso ogni minimo rumore che proviene dal salotto.

«Ivy, è presto. Che ci fai qui?» la voce di J è sorpresa, ma non c'è traccia di contentezza nel suo tono.

«Scusami per il disturbo, ma è importante. Tuo padre ha provato a chiamarti tantissime volte ieri sera ma non eri mai raggiungibile». La voce di Ivy è incerta e preoccupata. È successo di sicuro qualcosa.

«Avevo il cellulare spento. Cosa voleva?» J sospira e lo immagino passarsi le mani nei capelli ribelli che ha ogni mattina quando si sveglia. E lei? Lo sta fissando? Lo sta trovando attraente? Sta pensando di riprovarci?

«Voleva aiuto, J. Era giù al porto, per le solite scommesse sulle lotte clandestine e... ha esagerato».

«Ma che cazzo», borbotta J. «Gli servono soldi adesso?»

Non riesco a concentrarmi per bene sui miei movimenti. Sono così presa dalla conversazione che sbaglio verso del pannolino per ben due volte.

«No, o forse sì. Non lo so, J. Il fatto sta che il denaro gli serviva ieri sera, ma lui non l'aveva e tu non rispondevi al cellulare. Quindi...»

«Gli hanno fatto del male? È nei guai adesso?»

«Sì, l'hanno picchiato a sangue. Uno dei ragazzi del porto che ha visto la scena lo ha riportato a casa. Non era nemmeno cosciente per colpa delle botte ricevute».

«Cristo santo. E ora come sta?» J è stravolto. Lo sento nella sua voce tremolante.

Prendo Leo tra le mie braccia e percorro il corridoio in punta di piedi, ma prima di fare il mio ingresso in salotto, origlio ancora un po' la conversazione.

«Ora si è ripreso, ma le ferite sul viso sono abbastanza brutte. J, il punto che però mi preoccupa è un altro...»

Trattengo il respiro.
«Quale sarebbe?»

«Il ragazzo che è venuto a casa ieri sera, ha detto che i tizi hanno pronunciato più volte lo stesso nome prima di avvicinarsi a tuo padre per pestarlo».

«Quale nome?»

Stringo Leo al petto e mi mordo il labbro. Spero con tutto il cuore che J non centri nulla in tutto questo caos.
«Il tuo. Jack Morris, non lo so perché. Ho provato a dirlo a tuo padre, ma mi ha risposto che molto probabilmente ho sentito male».

I sospiri di J sono forti e irregolari. Vorrei tanto sapere cosa sta pensando di fare in questo momento. Spero nulla.
«Chi e il ragazzo che ha riportato a casa mio padre?»

«Ti conosce. Forse lo conosci di vista anche tu. Lavora in quel punto di rifornimento appena dopo il porto. È un tipo apposto e non cerca guai. Per questo gli ho creduto».

Faccio il mio ingresso in salotto, sperando che qualunque cosa avventata abbia in mente di fare, si dissipi nel vedere me e suo figlio. «Anche noi non vogliamo guai, vero J?» dico senza fiato, fissandolo negli occhi. Evito di guardare Ivy, ma percepisco il suo passo indietro e gli occhi che si abbassano sul pavimento.

«No», dice J, distogliendo lo sguardo perplesso da me. «Niente guai... ma ora devo andare da mio padre a vedere come sta». Mi sfiora appena e poi ritorna in camera da letto, di sicuro per vestirsi.

Ivy alza la testa non appena rimaniamo sole e ci guardiamo senza dire nulla. Io con un'aria decisamente ostile, la sua invece non riesco a decifrarla. Ma mi spaventa!
Leo si dimena un po' tra le mie braccia. Ha visto la sua macchinina sul pavimento e scalpita per prenderla. Ma prima di adagiarlo a terra, mi avvicino alla porta socchiusa... e la spalanco. «Grazie delle visita Ivy».

Lei mi risponde con un mezzo sorriso e riluttante si avvicina alla porta.
Gliela sbatto alle spalle e corro da J, ignorando le proteste di Leo tra le mie braccia. «Non fare nulla, ti prego». Gli dico con l'affanno, mentre lo guardo rivestirsi.

«Non centro nulla con tutto questo. Al porto non conosco nessuno e neanche ci ho mai messo piede in quello schifo di posto negli ultimi anni», sbotta tra sé.

«Lo so. Sei sempre qui con me, ti credo. Ma non indagare J, fallo per me e per Leo. Forse è solo qualcuno che ha voglia di rompere le balle, o forse uno di quei mocciosi del locale che hai colpito, ma tu promettimi che non farai nulla». Sono consapevole di avere un'espressione spaventata e la voce smorzata e J lascia subito perdere i vestiti per avvicinarsi e rassicurarmi.

Mi prende il mento e mi stampa un bacio delicato sulle labbra. Leo, tra le mie braccia, ride.
«Non farò nulla, te lo prometto. Voglio solo controllare come sta mio padre e ritornare qui a casa il più presto possibile». Mi accarezza la guancia e ci stringe entrambi al suo petto.

«Okay, ti aspettiamo qui», gli sussurro ma l'ansia non si dissipa per niente. E dopo poco capisco perché.

Non mi preoccupano le reazioni avventate di J, perché ormai non reagisce più cosa. Adesso sa ponderare e ragionare sulle situazione, e poi la famiglia conta più di una stupida vendetta. Non metterebbe a rischio il nostro matrimonio per dei tizi loschi che hanno pronunciato il suo nome o per i debiti di suoi padre. Ma mi preoccupa Ivy, perché non è andata affatto via quando l'ho invitata ad andarsene, ma ha atteso in strada che J uscisse di casa. E ora la sto guardando dalla finestra, mentre entra nell'auto di mio marito.

Rapita - parte 4 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora