Capitolo 7

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J non mi racconta nulla della cena ed è trascorsa una settimana da allora. Io non ho avuto il coraggio di chiederglielo, ma è evidente che qualcosa non è andato come previsto. Di sicuro è stato tirato in ballo qualcosa del passato, forse suo padre gli ha detto qualcosa che l'ha turbato ed è corso a casa bisognoso del mio sostegno. Beh, da un lato sono arrabbiata perché suo padre è di sicuro una persona insensibile e dall'altro lato, invece, sono fiera. Sono fiera di J e di come mi tiene presente nella sua vita. Sono per lui un punto stabile a cui aggrapparsi ogni volta che si sente vacillare. Ma oggi questa quiete sembra destinata a interrompersi, perché suo padre sta chiamando insistentemente da un'ora.

Siamo al matrimonio di Brenda e Walter ed è quasi mezzanotte. Gli sposi stanno ballando un lento al centro di un gazebo in legno illuminato nel bel mezzo di un ampio giardino. Qualche festeggiato si unisce a loro, altri preferiscono restare ai tavoli, predisposti intorno al gazebo, a mangiare dolci e a bere un goccetto di liquore. Leo dorme già da un pezzo e aspettiamo tutti il taglio della torta e lo spettacolo dei fuochi artificiali. J rifiuta tutte le chiamate, ma si vede che è inquieto e la sua gamba, da sotto al tavolo, non smette di dondolare. So che vuole rispondere alla telefonata, ma al contempo non vuole infastidirmi.

Andrew, seduto al tavolo con noi, non smette di lamentarsi. «Ma quanto cazzo dura questo ballo? Stanno lì da venti minuti».

Ma né io né J gli rispondiamo. Siamo entrambi tesi. «Spegni il cellulare», sibilo.

J sospira e il suo cellulare riprende a squillare. «Potrebbe essere successo qualcosa».

«Ha anche una compagna. Può chiamare lei».

«Non è la stessa cosa, Eleanor. Sono suo figlio...»

Mi zittisco e distolgo lo sguardo da lui con uno sbuffo arrabbiato. Non può andare via nel bel mezzo della festa e lasciarmi da sola. «Non ti azzardare a tornare a casa se decidi di alzarti da questo tavolo per andare da lui», dico tra i denti e lui stringe la mascella.

«Non darmi ordini. È mio padre!» sbotta sottovoce e sento gli occhi di Andrew puntati su di noi. E quando capisce che è di troppo, si alza e si allontana verso il buffet.

«Bene, allora vai a metterti nei guai». Mi alzo impettita e lui mi afferra un polso.

«Non fare così. Cerca di comprendere come mi sento. Se fosse stato tuo padre ad avere bisogno di aiuto?» mi fissa negli occhi ma non c'è rabbia, solo tanto bisogno di essere capito.

Deglutisco. Non so che dire. Strattono il braccio e mi allontano col passeggino verso il tavolo dove sono seduti i miei genitori.

J non mi segue, ma con la coda dell'occhio lo vedo rispondere al telefono e raggiungere l'uscita del giardino.

Qualcosa mi si annoda nello stomaco e devo allontanarmi anche dai miei genitori per non dover spiegare che J è andato via per tirare suo padre fuori dai guai. Altro che lavoro onesto e una compagna seria, suo padre non cambierà mai.

La serata continua anche se il mio mondo si è completamente fermato. Brenda e Walter terminano il loro ballo e si aggirano contenti e sorridenti tra i tavoli per invitare i presenti a raggiungere la piscina per il taglio della torta. Io mi spingo in un angolo, tenendo stretta la presa sui manici del passeggino. Sento che mi manca l'aria e vorrei raggiungere J di corsa per impedirgli di andare da suo padre, ma le mie gambe sembrano di cemento e non riesco più a muovere un muscolo.

E non so quanto tempo passi prima che mi renda conto di essermi letteralmente paralizzata. Gli invitati battono le mani, il cielo si illumina di fuochi artificiali... ma io sento tutto ovattato, come se fossi in un'altra dimensione fatta di ansia e preoccupazione. Leo si lamenta per lo spavento dei botti e lo dondolo un po', decidendo di mettermi un po' più a riparo. Controllo il cellulare, ma di J nessuna traccia. La mia mano trema e vorrei chiamarlo, ma non voglio fare la parte della moglie isterica e ingoio il magone che mi si sta formando in gola.

«Eccoti qui». Andrew mi posa una mano sulla spalla, facendomi sobbalzare, e la tira subito via. «Scusami, non volevo spaventarti. Stai bene?»

Lo fisso per un attimo e poi annuisco.

«Problemi con J?» insiste ma io gli do le spalle e continuo a spingere il passeggino verso l'uscita. «Eleanor, mi rispondi?»

Espiro dal naso e mi irrigidisco. «Voglio solo andare via e... stare da sola».

«Ti accompagno. Mi pare di aver capito che J è andato via prima di te».

«Grazie Andrew, ma torno a casa con l'autista di mio padre. Continua a goderti la festa».

«Sai che non è un problema...»

«Non insistere, per favore» sbotto e smette di seguirmi, preferendo non aggiungere più nulla. Capisce che stasera deve lasciarmi in pace, che tutti devono lasciarmi in pace, e ritorna al ricevimento, mentre io mi rifugio nell'auto scura di mio padre, sentendo il naso pizzicare dalle lacrime che stanno per arrivare.

Rapita - parte 4 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora