Capitolo 25 - Eleanor

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Andrew non partecipa al discorso di suo padre e neanche all'apertura del buffet, rigorosamente organizzato da mia madre. Non si fa vedere per tutto il resto della serata e la madre non fa che coprirlo, raccontando di uno stupido contrattempo che l'ha trattenuto fuori città. E quando l'enorme salotto comincia a sfollarsi, mi rendo conto che è arrivata l'ora di tornare a casa e affrontare J.
     Inutile rimandare l'inevitabile quando la decisione è ormai presa. E con il cuore a mille e lo stomaco aggrovigliato, giro la chiave nella toppa della porta di casa.

     Il salotto è nella penombra e i passi nudi di J si avvicinano non appena sentono il rumore della porta che si richiude. «Ehi», mormora e si ferma accanto al divano, con gli occhi puntati su di me, ma io sto guardando i due bicchieri di vetro sporchi di liquore poggiati sul tavolino. È chiaro che ci sono state visite. Ivy?

     «È passato Walter», mi risponde come se mi avesse appena letto nel pensiero e raccoglie i due bicchieri per poi scomparire in cucina.

     Io resto immobile accanto alla porta, stringendo i manici della borsa come se fosse un'ancora che mi aiuta a rimanere a galla, e fisso i movimenti di J che scompare e riappare nel giro di pochi secondi.

     «È andata bene la serata?» chiede, ma io non rispondo. Lo fisso restando immobile e impassibile, con una morsa che mi stringe sempre di più lo stomaco. Come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto dove anche una semplice conversazione risulta forzata e pesante? Come abbiamo fatto ad allontanarci così, senza preavviso?

«Perché hai picchiato Andrew?» la mia domanda è diretta, fredda, spinosa, che potrà espandere ancora di più la buca irreparabile che si è creata tra di noi.

J rimane per un attimo colpito dalla mia domanda, quasi infastidito. Forse crede che sono preoccupata per Andrew? E me lo confermano i suoi occhi che si assottigliano e le sopracciglia che si aggrottano. Si raddrizza con la schiena e serra la mascella. «E perché io ho dovuto sapere da lui che aspetti un bambino?»

Mi mordo il labbro inferiore con forza, mentre mi lascio scuotere dalla violenza del suo tono di voce. Non pensavo che l'avesse saputo e, ad essere sincera, non avevo neanche la voglia di dirglielo, fino a questo momento.

J avanza di un passo. Un lungo passo. «Non ti è nemmeno sfiorata l'idea di dirmelo? Credi che non abbia il diritto di sapere che aspetti mio figlio? Sono tre giorni che aspetto, ma a quanto pare tu hai avuto solo l'urgenza di raccontarlo a Andrew...»

«L'ho scoperto poco prima di quella maledetta cena. Avevo tutte le intenzioni di dirtelo e festeggiare non appena saremmo ritornati a casa... ma tu sei stato con Ivy». Anche se parlo tra i denti, mi si incrina la voce è devo distogliere lo sguardo da lui per non scoppiare a piangere. Ma prima che me ne renda conto, J ha attraversato il salotto e si ferma a due passi da me.

«Non so cosa ti ha raccontato Ivy, ma non è successo nulla. Solo qualche... bacio, ma poi ho capito che non potevano essere paragonati ai tuoi». Parla con calma, quasi sotto voce, con il timore di potermi spaventare da un momento all'altro.

Io continuo a tenere lo sguardo basso. Deglutisco. Mi preparo a dirgli quello che ho pensato durante tutto il tragitto da casa dei Baker. «Voglio abortire».

«Cosa?» si allarma e azzera la distanza tra di noi. «Ma l'abbiamo voluto. Ci abbiamo provato per mesi e mesi...»

Faccio un passo indietro e sbatto con la schiena alla porta. «È ingiusto, J, partorire una creatura che non mi sento di voler mettere al mondo. So che ne abbiamo parlato tanto e che abbiamo aspettato con impazienza questo momento, ma è cambiato tutto». Il naso mi pizzica, i polmoni si gonfiano e un macigno mi schiaccia il petto. Io lo voglio questo bambino e mi si spezza il cuore al solo pensiero di dovermene separare, anche se sono passate solo cinque settimane da quando è stato concepito. Ma c'è già Leo che dovrò tirare su da sola senza un padre sotto lo stesso tetto.

Rapita - parte 4 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora