T w e n t y e i g h t

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Continuavo a scarabocchiare sul mio quaderno, con la testa appoggiata sulla mano chiusa in un pugno. Ero tornata nella vecchia casa in campagna di famiglia, completamente inutilizzata, poiché avevo passato gli ultimi mesi a casa di Rosie. Non riuscivo a darmi pace, i miei pensieri erano rimasti fermi lì. Avevo passato la notte a pensare ai possibili scenari, a Rosie dinanzi a quelle grosse circostanze, che poco tempo prima le avevano fatto del male. Non riuscivo a capacitarmi del fatto che lei volesse continuare a farsi del male, consapevole del fatto che ne avrebbe fatto anche a me. E la cosa ancora più assurda è che aveva preferito mandare via me, piuttosto che smettere di farsi male. Perché cazzo non riusciva a capirlo? Avevo passato i cinque mesi più brutti della mia vita in bilico tra la speranza e la paura di non riaverla indietro, talmente grande da rendermi lucidi gli occhi.

Strinsi le labbra e con le dita andai ad asciugarmi gli occhi, mollando la penna sul quaderno aperto, per poi alzarmi da lì. Incrociai le braccia al petto ed uscii, fermandomi in veranda, dinanzi al verde rigoglioso, illuminato dai raggi solari che picchiavano sulla terra, violentemente. Difatti indossavo solo una maglia di qualche taglia più grande ed un paio di pantaloncini. Abbassai lo sguardo sui miei piedi nudi e mi scappò un sorriso. Da bambina adoravo affondare i piedi nella terra bagnata, o nell'erba. Ed avevo goduto di quella spensieratezza per pochi anni, finché i miei non decisero di trasferirsi in periferia, per occuparsi del bar. Ma quella piccola casa in campagna era rimasta lì, incustodita, ed io non volevo altro che tenerla ancora con me, prendendola come opportunità per la mia autonomia.

Sospirai e afferrai tra i denti il mio labbro inferiore. Non l'ho ancora mostrata a Rosie, pensai. Incredibile come finisca per essere l'epicentro di ogni mio pensiero, che quasi risi. Mi sentivo preoccupata per lei, avrei voluto chiamarla e assicurarmi che stesse bene, ma le sue parole erano state chiare, ed io non avevo alcuna intenzione di prendere la parte della ragazza disperata.

Abbassai lo sguardo, per un attimo, dondolandomi sui talloni, e sentii il legno vecchio scricchiolare sotto di me. Ma quel rumore fu' accompagnato da un altro che assomigliava al motore di un auto. Difatti alzai lo sguardo e assottigliai gli occhi quando la macchina di Rosie frenò davanti alla veranda, senza preoccuparsi delle piante sotto le sue schifose ruote. Serrai le labbra e restai zitta, immobile, mentre lei scendeva dal veicolo, con i capelli biondi spettinati e una tuta stropicciata addosso. Alzò la testa e i suoi occhi blu incontrano i miei, in un lieve sorriso che non ricambiai. In cuor mio, però, fui contenta di vederla sana e salva davanti a me.

Si avvicinò e infilò le mani nelle tasche dei pantaloncini da basket, sospirando e distogliendo per un attimo lo sguardo da me. "Ascolta."- prese a parlare, spostando nuovamente l'attenzione su di me. "Mi dispiace, okay? Non avrei dovuto essere così dura con te.."- cercò di spiegare, ma Rosie non era brava con questo. Solitamente era rude, schietta e orgogliosa, dunque cercai di apprezzare quelle scuse, senza accettarle però, anche perché non c'era proprio nulla da scusare. "Si, forse non avresti dovuto. Ma è quel che volevi, no? Insomma, non è mia intenzione ostacolare il tuo volere."- biascicai, alzando le spalle, ma con lo sguardo apatico. Lei accennò una risata, passandosi le dita tra i capelli corti, evidentemente frustrata. "Ma che cazzo stai dicendo? Cristo, Bels. Non ho mai voluto te ne andassi da me, ma io...cazzo."- sbottó, innaspando. Non riusciva a trovare le parole adatte, ma sapevo benissimo dove voleva andare a parare, e non l'avrei ascoltata ancora una volta. Dunque scossi la testa, portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "È okay, Rosie. È il tuo lavoro e non puoi ignorarlo, è chiaro. Non c'è alcun bisogno di ripeterlo, l'ho capito. Non per nulla sono arrivata fin qui, per lasciarti ai tuoi affari di vita o di morte. "- dissi, con durezza, ma senza far trapelare alcuna emozione. Lei sì leccò le labbra piene, abbassando gli occhi sulle travi di legno, prima di scuotere la testa e incastrare i suoi occhi azzurri nei miei, al momento leggermente disperati. "È questo il punto. Si tratta di vita o di morte." - iniziò a parlare, ma venne interrotta subito da me. "E tu hai scelto la morte, Ros."- sibilai, andandole vicino, per spiattellarle la cruda verità in faccia, ad un palmo di distanza, aspro, senza alcun istinto. Lei tacque, serrando le labbra. Avevo centrato il punto e lo aveva capito, non riuscendo più a difendersi. Perché non c'era nulla che potesse difenderla. "Dipende sempre tutto da te, lo capisci? Sei tu che hai deciso di prenderti quella pallottola in testa, sei tu che hai deciso di immischiarti nuovamente in questa merda, cazzo! Sei sempre tu che decidi per te stessa, e quel che ti trascina verso il basso sei proprio tu."- sbottai, alzando la voce, con i pugni chiusi lungo i fianchi. Il respiro accelerato, gli occhi lucidi. Rosie non si era spostata di un millimetro, piuttosto rimase zitta ad ascoltarmi, con aria colpevole ma fin troppo orgogliosa per ammetterlo. Ed io, almeno in quella circostanza, avrei voluto sentirle dire qualcosa. Ma nulla.

Alzai le braccia, facendole ricadere sui fianchi, stremata. Accennai una risata sarcastica e scossi la testa, distogliendo lo sguardo da lei. "Certo, non dici nulla."- osservai, passandomi le dita tra i lunghi capelli, frustrata. Le rivolsi un ultimo sguardo e deglutii, indietreggiando per rientrare in casa. "Effettivamente non c'è proprio nient'altro da aggiungere. È meglio che tu vada.."- sussurrai, e le urlai con gli occhi di dir qualcosa, ma quello che ottenni fu' solo un sospiro di sconfitta.

DANGEROUSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora