Capitolo 1

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Camminava da ore, con gli arbusti che le frusciavano addosso, che sferzavano sulle sue gambe nude. Sotto i piedi, le foglie secche, la fanghiglia, i sassi dalla punta acuminata. Di tanto in tanto, le dita prendevano a sanguinare e lei si lasciava scappare un mugolio di fastidio. Rallentava appena, poi continuava a spostare i rami della Foresta Nera e, col fiato corto, si agitava in cerca della strada battuta.

Sembrava un cane da tartufo. Muoveva la testa a scatti, quasi si trovasse in pericolo, e guardava tutto con circospezione, mentre i capelli, divisi in ciocche bagnate e sporche, le si attaccavano al viso imperlato di sudore.

Fu lo scrosciare dell'acqua sulle pietre del Breg a fermarla. Le risuonò nitido nelle orecchie, assieme al canto di un paio di uccelli fermi sulle fronde più basse di un faggio, e l'attirò lì, dove un gruppo di donne silenziose era intento a tingere la stoffa.

Le labbra socchiuse, spaccate, e la gola secca. Poté solo deglutire a vuoto, restando immobile, sulla riva, a fissare le onde rosse che scivolavano via dai lunghi panneggi.

Poi, all'improvviso, l'urlo di un'anziana tingitrice si levò dalla prima fila e attirò l'attenzione delle altre, mentre sollevava un indice scarlatto per indicarla: «Strega!».

Lei strabuzzò gli occhi, sentì il cuore cominciare a battere come un tamburo e il panico assalirla, gelarla sul posto, di fronte ai mormorii impazziti delle donne che cercavano di uscire dal torrente per fuggire sulla riva opposta. «Non sono una strega» balbettò.

Quelle si strinsero ugualmente fra loro, presero a guardarla con sospetto e iniziarono a radunare i panni già tinti nelle grosse ceste di vimini.

Tuttavia, lei insistette. Si mosse in avanti, mise i piedi nell'acqua e ripeté: «Non sono una strega».

Una bambina cercò di sfuggire dalla presa salda di sua madre e disse: «Non è una strega, è Dietricha». Venne punita con uno schiaffo dietro la nuca e guaì come un animale; tuttavia non demorse e puntò i piedi in terra, corrugò la fronte, riprovò con più vigore: «Guardala, mamma, è lei!».

Chissà come, quella si lasciò convincere e sollevò la testa. Subito spalancò gli occhi e represse un'esclamazione di sorpresa. «Che mi venga un colpo» biascicò. Si voltò verso le donne vicine e tentò di fermarle, agitando i palmi scarlatti. «Non andate via, è la figlia di Helmine.»

Una di loro, la più giovane, la guardò stranita e s'immobilizzò. La cesta stretta tra le braccia e il fiato corto. «Dietricha?» chiese poco convinta. Sollevò le sopracciglia, tremò sul posto e poi si girò verso il Breg, laddove la ragazza torreggiava in mezzo ai panneggi. «Non può essere lei, è scomparsa da troppo tempo.»

Note:

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Note:

Salve a tutti, ben ritrovati in questo primo capitolo.

Come già accennato nelle note del prologo, è qui che si nota una certa continuità con lo stesso, ma ho deciso di dividerlo e di non creare un flusso di narrazione unica per via della trama, la quale spiegherà bene la ragione di questa scelta.

Vero è che un prologo si pone di genere nel futuro o nel passato, vero ancora che il mio appaia ben stretto all'evento del ritrovamento di Dietricha.

Perciò metto le mani avanti e dico subito che so come potrebbero crearsi dei contrasti di opinione, iniziando la lettura di "Mandragora".

Posso assicurarvi che so come si scrive un prologo, quindi non è come sembra e per scoprire il senso do quelle poche righe bisogna andare avanti.

A ogni modo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che possiate lasciarmi un commento o una stellina di supporto.

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