Capitolo 36

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Abbandonato il Regno di Cibele, era tornato a vestire i panni di Dietricha; e nonostante fosse amareggiato, nonostante desiderasse retrocedere per togliersi di dosso quei fastidiosi vestiti e mostrare a se stesso un corpo d'uomo fatto e finito, sapeva di non poterlo fare.

I muscoli tesi, il mento alto e lo sguardo deciso, rimase immobile di fronte alla spaccatura del pendio. E là, nel mattino che brillava a ridosso dello Schwarza, si guardò attorno.

Per un attimo si chiese per quanto fosse stato lontano dalla Foresta Nera e poi ricordò le parole dello Gnomo, le fece echeggiare nella propria testa: "In questo posto, le cose sono diverse. Il tempo scorre in modo preciso, non impreciso". Poi si portò una mano al viso, massaggiò una tempia dolente e sospirò, conscio della possibilità che quei pochi minuti, nel mondo, potessero essere stati giorni.

Alle sue spalle, il frastuono, il chiudersi del portale, la roccia furente.

Mosse qualche passo in avanti, si allontanò, lisciò un paio di sassolini che, liberi, franarono dall'alto. Infine, spostando lo sguardo in direzione del fiume, le parve di riconoscere il mantello di Erdmann. Sgranò gli occhi, cercò di metterlo bene a fuoco nella luce del giorno, e trattenne il respiro, perché lì, vicino alla riva, notò come Rasputin, e non Adalric, lo teneva ben stretto per il farsetto.

«Cibele» l'apostrofò lui.

Lui serrò i denti, ingoiò il rospo e ricordò la Dea seduta sul trono di radici che aveva conosciuto nel Regno senza tempo. Avanzò deciso, respirando piano, tenendo gli occhi fissi sulla sua figura. Non disse una sola parola e abbassò di poco le palpebre.

«Per un attimo ho pensato di dovervi cercare per mari e per monti» ironizzò, mostrandole un sorriso. Allontanò Erdmann, lo spinse di lato e fece appena un cenno col capo nella sua direzione.

Damian ricambiò il suo sorriso, stupendo i presenti. «Sono qui, non dovete cercarmi né per mari, né per monti» disse. «Mi chiedo, però, cosa stiate facendo.»

«Il Re, August, mi ha chiesto di recuperare il fuggitivo e l'intruso» spiegò alla svelta. «È ovvio che voglia punire entrambi per quanto accaduto al castello, ma è altrettanto ovvio che io non abbia intenzione di consegnarvi, Cibele. Voi siete una creazione per cui ho lottato molto, sulla quale ho speso parecchio temo ed energie, perciò sarà quel giovane ad assumersi la responsabilità dell'attacco e dell'evocazione della Salamandra.» Sollevò una mano, indicando Gabi ed Adalric.

Damian deglutì, voltandosi verso sinistra. Per un attimo ebbe l'impressione di poter svenire e sentì la testa vorticare. Inspirò a fondo, vide Adalric dibattersi nella presa ferrea di Gabi e tremò sul posto. Poi tornò a guardare Rasputin e sollevò le labbra verso l'alto in un sorriso stentato. Annuì e, sottovoce, disse: «Lo capisco. È anche inutile che io continui a fuggire e a ribellarmi, perché voi mi troverete comunque». Sentì la sua risata leggera, quasi soddisfatta.

«Finalmente, era ora che giungeste a questa conclusione» mormorò. «Per un attimo ho creduto di dovervi rincorrere in eterno.»

«Avreste potuto farlo?»

«Avrei potuto, sì» confermò.

«E io avrei potuto fuggire davvero in eterno?» chiese piano, indurendo i muscoli della schiena. Lo sentì ridere di nuovo, poi dire:

«Perché v'interessa tanto saperlo, Cibele? Adesso che avete deciso di collaborare con me, in fondo, non c'è motivo». Corrugò appena la fronte, serrò le dita sulla stoffa scura del farsetto di Erdmann e le si avvicinò torvo.

«Per sapere quanto tempo vi starò accanto» rispose.

Indeciso, forse anche criptico, si fece largo un nuovo sorriso. «Sì, avreste potuto.»

Si strinse nelle spalle, fece un sorriso amaro e ricordò le parole della vera Cibele. Inspirò piano ed espirò. Lo sguardo rivolto al suolo, alla terra umida, disse: «Allora ho il piacere di non averlo fatto, di non dover fuggire per nascondermi».

«Decisamente.»

«E potrò avere anche quello di seguirvi fino al castello? Oppure mi è negato?» azzardò, sollevando gli occhi scuri verso di lui. Lo guardò con attenzione e mosse appena le palpebre. In un attimo, gli vide abbandonare la presa su Erdmann per avvicinarsi e provò un brivido di repulsione. Si chiese se potesse percepirlo, se fosse in grado di leggergli dentro o se Gabi, a distanza, s'interessasse alla situazione al punto da riferirgli cosa avesse in mente.

Non si mosse, rimase immobile. Gli occhi ben aperti, sentì le sue labbra posarsi prima sulla guancia destra, poi sulla bocca dischiusa in un bacio soffice, lieve, che pretese subito una passione dirompente. Allora fu il turno della lingua, la sentì sbattere contro i denti, sul palato, infine a ridosso della propria; intrecciata, umida, fastidiosa e pressante. E, con una mano dietro la nuca, gli parve di poter smettere di respirare.

Pochi istanti dopo, quando si ritrasse, guardò il suo sorriso bianco e si sforzò di emularlo, di non alzare una mano per pulirsi, di non sputare in terra o, tantomeno di lanciare un'occhiata a Erdmann. Un fremito gli attraversò le braccia, lo spinse a respirare con affanno e ad arrossire per la rabbia e l'umiliazione, mentre si sentiva dire:

«Sei bellissima».

«Sei bellissima»

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Note:

Salve, ragazzi.

Damian ha finalmente la consapevolezza di non essere affatto Dietricha, perciò, nonostante il suo aspetto femminile, lo appellerò semplicemente al maschile in questi ultimi capitoli. Nella narrazione userò il maschile e spero di non confondervi le idee. Ma ormai vi siete abituati a conoscere i personaggi e sapete già tutto al riguardo, no?

Cos'avrà mai in mente? Ripeto, ci stiamo avvicinando al finale e presto lo scoprirete!

Se il capitolo vi è piaciuto, lasciatemi un commento o una stellina di supporto.

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