Capitolo 31

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Non si era posta il problema di quanto a lungo poter trattenere il respiro, ma nel momento in cui i suoi polmoni avevano iniziato a bruciare, a reclamare ossigeno, aveva iniziato a dibattersi. Le sopracciglia aggrottate, le braccia ancora strette nella presa dell'Elementare e la bocca spalancata, da cui fuoriuscivano grosse bolle d'aria.

Si era ritrovata là, in quelle misteriose e inusuali profondità del Brigach, a reclamare l'aiuto che nessuno avrebbe potuto darle, mentre gli occhi guardavano velocemente a destra e a sinistra, mentre l'oscurità sembrava volerla divorare.

Poi, la paura l'aveva inghiottita, il panico l'aveva scossa, i brividi l'avevano portata a ritirare le braccia in un moto di frustrazione. E le sue orecchie, ferite dal mugolio della creatura evocata, avevano cercato riparo dietro i palmi.

Allora l'aveva sentita. Era una voce strana, simile al canto della Silfide; netta, soffice, che attraversava la massa d'acqua e diceva:

«Siamo quasi arrivati».

Vacillò, tremò sul postò, lasciò che le dita dell'Elementare le afferrassero i polsi e la spronassero ancora più giù. Allora pensò a Erdmann, ad Adalric, e si guardò indietro. Con le loro parole nella testa, si chiese perché non fossero con lei e si disse che tutto quello lo stava facendo solo per proteggerli. Deglutì, cercò di mantenersi lucida, ma prima di rendersene conto, prima ancora di potersi allontanare verso la superficie, perse i sensi.

L'Elementale emise un suono di sorpresa, batté le palpebre e la vide galleggiare inerme di fronte a sé; la gonna che si sollevava, che esponeva polpacci e caviglie nude, e la camicia sporca che attecchiva alle braccia. Così aprì e chiuse la bocca, quasi mancò un battito e represse un urlo.

Piccole bollicine d'aria presero a sfilare dinanzi a lui.

La ghermì, nuotò svelto verso quella che sembrava una direzione ignota e si sbrigò a tirarla fuori. Lì, all'aria aperta, sulle rive dello Schwarza, l'adagiò e cominciò ad annaspare. La guardò, inclinò la testa e corrugò appena la fronte. I capelli chiari, grondanti, e le dita che tremavano, che le carezzavano il viso in un moto di preoccupazione. Provò uno strano senso di colpa e stentò a ritirarsi nelle profondità. «È stato troppo per voi» mormorò, balbettò. Impacciato, si avvicinò alle sue labbra e schiuse le proprie, attendendo che l'acqua le scivolasse fuori dai polmoni come per magia per ritornare alla fonte, a lui che ne era padrone.

E così fu: in un attimo, la bocca di Dietricha si aprì, lasciando che delle piccole goccioline fluissero via come pioggia. Poi, lei spalancò gli occhi e tossicchiò e si voltò di scatto su un fianco.

L'Elementale si allontanò, tornò a immergersi nello Schwarza e rimase aggrappato alle sue vesti, mostrando solo metà del volto per restare presente, in attesa di eventuali ordini.

Ma lei non disse niente, non subito. Quasi non si accorse di lui, si guardò attorno. Scrutò la Valle immersa nell'oscurità, il cielo pieno di stelle, e biascicò un: «Dove mi trovo?». Una mano attorno alla gola, poi sul petto esposto e ancora più giù, contro lo sterno fastidiosamente coperto dal corsetto bagnato. «Dove sono gli altri?» Chiese ancora. Così, senza pensarci, prese a slegare i lacci e, frustrata, lo gettò lontano.

«Nella Valle dello Schwarza» rispose piano.

Lei osservò gli alti pendii e deglutii a vuoto, prendendo a massaggiarsi subito le tempie. «Gli altri, i due uomini che erano con me, dove sono?» ritentò.

«Dov'erano prima.»

«Sarebbero dovuti restare insieme a me.»

«Non potevo saperlo. Siete stata voi a chiamarmi, non loro.»

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