Capitolo 34

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I brividi le correvano lungo la schiena e le braccia in modo così insistente da poter quasi essere definiti fastidiosi. Non era a causa del freddo, né del vento che rombava nella Valle dello Schwarza o dell'acqua che ancora le faceva attecchire i vestiti addosso; bensì dell'Orazione della Terra, quella che non aveva mai pronunciato prima di allora e che, dopo averla detta ad alta voce, le aveva rimbombato nelle orecchie fino a farle fischiare in un silenzio surreale, inquietante.

Per un attimo si era chiesta se l'insegnamento di Gabi fosse corretto, se fosse stato onesto anche quella volta e se, da Spirito Impuro quale che era, non le avesse mentito. Poi, però, li aveva visti.

Erano diversi da come li aveva immaginati, molto più simili all'Ondina, che alle leggende tramandate a Donaueschingen; nessun corpo deforme o basso, niente volti imbruniti, barbe a punta o picchetti, solo occhi piccoli, pelle verdognola e lunghi capelli biondi dalle trecce più disparate. Parevano ninfe, più che Gnomi, così si disse mentre li squadrava da capo a piedi nelle loro strane ed efebiche nudità.

Deglutì, si strinse nelle spalle, infine, accennando un sorriso, provò a parlare. Mormorò: «Cerco la vostra Dea, Cibele».

Loro sollevarono le sopracciglia fine, si guardarono tutti perplessi e mormorarono qualcosa, si allontanarono, cercarono rifugio dietro qualche cespuglio. Un paio, però, rimasero in piedi e, impettiti, continuarono a osservarla.

Allora lei continuò, chiese: «Potete condurmi da lei? Si tratta di una questione di vitale importanza. Vedete, il mio Regno è stato attaccato e colui il quale siede sul trono è un despota, un assassino...»

Uno Gnomo, forse il più zelante, prese la parola e disse: «Impossibile. Il Regno di Cibele è irraggiungibile per le creature mortali». Scosse la testa, allungò un braccio per porgerle il palmo come negazione, per allontanarla e distanziarla. «Noi possiamo entrare e uscire, siamo Spiriti di Terra, ma voi no, non ne avete alcun diritto.»

«Né Cibele può uscire per raggiungermi» sussurrò. «Dunque è necessario un sacrificio, che una delle due regole venga infranta.» Gli vide aggrottare le sopracciglia, così riprese subito: «Rasputin, un terribile stregone, mi ha riportato in vita con uno strano rituale, ma non prima di avermi condannato a morte. E io sono qui, intrappolato in questo corpo, credendo di essere vivo, mentre uno Spirito Elementale sostiene l'esatto contrario».

«Non siete viva?» domandò piano lo Gnomo, sembrando incredulo. Tese le orecchie, provò a concentrarsi sul battito del suo cuore e poi sgranò gli occhi. Non una parola fuoriuscì dalle sue labbra schiuse.

«Mi chiama con il nome della vostra Dea, mi chiama Cibele e chiede la mia collaborazione per non so cosa» continuò piano. «Ovviamente, io non ho intenzione di fare alcunché. Però ho bisogno di aiuto, di qualcuno che sappia consigliarmi come arginare il problema.» Lo vide annuire con estrema lentezza, poi sentì il rumore delle foglie e fu certa che gli altri Gnomi si stessero avvicinando. «Voglio spodestare l'usurpatore e permettere a mio fratello, il legittimo erede, di salire al trono.»

«Per questo siete venuta fin qui?»

«Sono qui per chiedere a Cibele qual è il modo per fermare tutto questo, per smettere di fuggire e di nasconderci nella Foresta Nera.»

Lui annuì, poi si voltò verso l'altro Gnomo e lo sentì sospirare appena. Un'occhiata veloce alle sue spalle gli diede la conferma per potersi muovere; così, facendo un cenno a Dietricha, disse: «Seguitemi, avanti». Non aggiunse altro, si mosse nella direzione in cui stavano procedendo gli altri Elementali e rimase in silenzio.

Neppure Dietricha si azzardò a parlare. Poi, però, quando uno dei pendii della Valle dello Schwarza le si aprì dinanzi con un forte crepitio, spalancò la bocca e gemette un: «Non è possibile». Osservò la roccia spaccata, l'intensa luce che proveniva dalle profondità del varco, e rimase senza voce. Una mano che le proteggeva gli occhi, l'altra stretta in quella verdina dello Gnomo, lo sentì ridacchiare e poi dire:

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