Capitolo 32

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Le forze armate del Re si muovevano a cavallo da quando lui aveva dato ordine di cercare gl'intrusi e il fuggitivo; e Rasputin, che prima di partire era riuscito a stento a entrare in casa sua per recuperare un mantello più pesante, non faceva che guardarsi attorno annoiato.

Seduto in sella a uno degli stalloni reali, seguiva controvoglia il cordone nella Foresta Nera. Non sapeva quanto sarebbe durata quella pantomima, ma che le spade non sarebbero servite a niente contro l'immenso potere che si era premurato di concentrare nella sua Cibele.

Peraltro, si disse, non avrebbe permesso a nessuno d'incriminarla o imprigionarla. Non lo avrebbe fatto neppure se la sua colpevolezza fosse stata lampante. Piuttosto, avrebbe tramutato quella spedizione in un bagno di sangue.

E, storcendo le labbra in una smorfia, non poté fare a meno di chiedersi se August l'avesse già capito, quantomeno intuito, facendogli gravare addosso il peso di tutti quegli uomini con l'armatura d'argento.

Così, mosse lo sguardo a destra e sinistra. Osservò le guardie e le vide trasalire tutte, una a una, nel loro strano senso di colpa. Un sopracciglio sollevato, arricciò il naso e rizzò la schiena, strinse le briglie in un moto frustrato. «Assurdo» borbottò tra sé e sé. I denti serrati, il fastidio nelle vene, chinò la testa e osservò le crine scure del cavallo senza più dire una sola parola.

Poi, di colpo, i suoi pensieri funesti vennero interrotti da un lontano: «Fermi, smontate».

Lui sollevò il mento, spronò il capo verso destra e cercò di guardare il fondo del cordone, laddove spiccava il Comandante. Si lasciò andare a un sospiro, ma non obiettò e, schioccando la lingua sul palato, scese in un balzo. Fece scricchiolare un paio di rametti sotto la suola degli stivali, sentì le foglie stridere, infine tese le orecchie e udì lo scrosciare dell'acqua, si accorse della vicinanza di un fiume. «Dove siamo?» chiese a uno dei soldati vicini.

«Accanto al Brigach» rispose quello. Neppure lo guardò negli occhi, tirò appena le briglie del proprio cavallo e cercò di allontanarsi da lui il più in fretta possibile.

Allora, con le sopracciglia appena aggrottate, lo guardò di sbieco e trattenne un'imprecazione sulla punta della lingua. «Acanto al Brigach» ripeté pensieroso. «Mi chiedo perché si siano voluti fermare proprio qui.» Inspirò a fondo, provò a mantenere i nervi saldi e diede una lieve pacca allo stallone per indurlo a zampettare sul posto, ad andare avanti. Poi, senza aggiungere altro, lo abbandonò e si allontanò verso la selva.

Un paio di uomini lo fissarono interdetti, lo videro sparire tra gli alberi e poi si guardarono tra loro senza emettere un fiato. Le labbra serrate, gli occhi spalancati. Uno di loro sollevò la mano, richiamò il Comandante e gli fece cenno per essere raggiunto. Solo allora lo avvisò con un: «Perdonatemi, ma credevo fosse doveroso dirvi che Rasputin ha lasciato il gruppo. Si è addentrato in quella direzione». Sollevò un braccio e puntò l'indice verso sinistra.

Interdetto, spalancò la bocca. Dentro di lui si fece subito vivo il ricordo della Salamandra e dell'attaccato al castello, della sua fortuna sfacciata, del momento in cui il fuoco non l'aveva sciolto per puro caso. Così impallidì, batté le palpebre e deglutì a vuoto. «Non deve allontanarsi» scandì. «Se dal nulla comparissero delle creature come quella che ho visto nei giardini, quell'uomo sarebbe il solo a poterle fermare!»

Il soldato annuì con vigore e si mosse subito, spronato dal Comandante, che ringhiò un:

«Sbrigatevi, riportatelo qui!».

Scattò verso gli alberi, mosse le mani per allontanare gli arbusti e ne tranciò qualcuno con la spada. Pochi minuti dopo, raggiunse le rive del Brigach. Il respiro corto, affannato, si guardò attorno. E d'un tratto, mentre il cuore minacciava di uscirgli dal petto, lo vide. Tirò un sospiro di sollievo e gli si avvicinò. «Dovreste tornare, accodarvi agli altri» disse.

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