Capitolo 20

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Quando Helmine aveva sentito la porta di casa schiudersi, per poco non aveva mancato un battito. Si era alzata di scatto dalla sedia accanto al caminetto, la stessa su cui passava gran parte delle sue giornate, ed era letteralmente corsa incontro a sua figlia. Le lacrime agli occhi, i bulbi vuoti, le labbra mosse da un tremito leggero. In un primo momento l'aveva afferrata per le spalle, si era lasciata scuotere da un singhiozzo e le aveva carezzato il viso con entrambi i palmi per accertarsi che fosse davvero lei. Poi, la rabbia aveva preso il sopravvento e l'aveva spinta a colpirla con un sonoro schiaffo.

La prima domanda che le uscì di bocca fu: «Dove sei stata?». Non le diede neppure il tempo di rispondere, che subito incalzò con una seconda: «Perché sei sparita in piena notte?». E ancora con una terza: «C'è qualcosa che devo sapere, Dietricha?».

Lei la guardò, si spostò appena indietro, verso la porta chiusa alle sue spalle, e corrugò la fronte. Le dita strette attorno all'elsa della spada, deglutì a vuoto. Provò l'impulso di raccontarle tutto, ma non lo fece e, per non darle un dispiacere, ingoiò il rospo. Negò con un: «No, madre».

«Cos'è successo, allora?»

Serrò le labbra, s'impose il silenzio, la osservò da capo a piedi e la vide tremare. «Sono andata a cercare Rasputin» mentì. Vide i suoi occhi sgranarsi all'inverosimile, le palpebre tendersi e le ciglia sfiorare l'arcata superiore. Allora riprese, disse: «So che vi arrabbierete con me, so che non avrei dovuto, ma non ho alcuna intenzione di lasciarlo impunito. Il suo è un crimine troppo grande».

«Sei pazza» gemette. Sollevò una mano, provò a colpirla ancora e si accorse troppo tardi di essere andata a vuoto. Mugolò, la richiamò, sbuffò un: «Non te ne andare, torna qui». Voltò il capo a destra e a sinistra, cercandola nel buio, mentre udiva i suoi passi farsi veloci nella stanza.

«Non sono tornata a casa per farmi punire da voi» replicò spicciola. «Ho solo bisogno di un posto per fare una cosa importante.»

«Cos'è che devi fare?» esalò, le sopracciglia aggrottate.

«Intrattenere le guardie e liberare il Principe Erdmann.»

Helmine trattenne il respiro, si portò una mano al petto e retrocesse fino a raggiungere il tavolo. Lì, sorreggendosi, cercò di non perdere l'equilibrio e chiese: «Il Principe Erdmann è vivo?». Lasciò che i brividi l'attraversassero, poi continuò, insistette con un: «E tu vuoi liberarlo?».

Lei annuì convinta, ricordandosi sempre troppo tardi di non poter essere vista. «Sì» confermò a gran voce. «Devo farlo, voglio farlo. È stato Rasputin a consegnarlo, madre. Potrebbe fare la stessa fine di mio padre...»

«Tuo padre non avrebbe voluto che rischiassi la vita per una cosa simile» disse subito, interrompendola.

Avrebbe potuto ascoltarla, lasciarsi convincere, tuttavia non lo fece e scosse la testa. Fece un sorriso amaro, disse: «Non è solo la mia vita a essere in pericolo».

«Di cosa stai parlando?»

«Non posso dirvelo» negò sottovoce. «Se lo facessi, vi esporrei senza alcun motivo.»

Helmine rabbrividì, si voltò e serrò le mani sul bordo del tavolo. La chiamò ancora un paio di volte, ma non udì alcuna risposta. Infine, esasperata, con le orecchie piene di uno strano frastuono, chiese: «Che cosa stai facendo?».

«Mi servono delle candele e del sale grosso.».

A quelle parole, le sue labbra si schiusero per emettere un gracchiante: «Perché?». Corrugò la fronte, trattenne il fiato, si sentì come sul ciglio di un burrone e poi serrò i denti, immaginando quale potesse essere la risposta di sua figlia.

Lei tentennò. Osservò la candela spenta che aveva in mano e inspirò a fondo l'odore delle braci accese. Non ebbe neppure il coraggio di guardarla, certa che stesse per ferirla. Perciò si affrettò a dire: «Devo fare un incantesimo, richiamare una Silfide per intrattenere le guardie fuori dalle prigioni».

Il silenzio che conseguì quell'affermazione fu lacerante. Ronzò nell'aria, pugnalò il petto di entrambe e poi venne rotto dal forte lamento di Helmine.

Le lacrime agli occhi il volto pallido quanto la morte. Gemette un: «Perché mi fai questo, Dietricha?». Si contorse in avanti, raggiunse il pavimento grezzo con le ginocchia e singhiozzò, disse: «La gente se ne accorgerà, ti accuserà, ti farà impiccare».

Per un attimo provò l'impulso di consolarla, di stringerla in un forte abbraccio, ma frenò la sua avanzata dopo nemmeno un passo. Strinse gli occhi, i denti, persino le mani, e tremò sul posto. Il respiro corto, le diede le spalle e tornò a cercare le candele, certa che quella vita, qualunque cosa significasse, non fosse più importante di quella di Erdmann.

 Il respiro corto, le diede le spalle e tornò a cercare le candele, certa che quella vita, qualunque cosa significasse, non fosse più importante di quella di Erdmann

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Note:

Salve a tutti.

So che questo è un capitolo corto, ma non avevo granché da dire al riguardo, perciò spero di farmi perdonare con un po' d'azione nei seguenti. Certo, avrei potuto dilungarmi e raccontare dell'incantesimo, ma vi avrei propinato la stessa Orazione delle Silfidi che avete già letto quando Gabi l'ha pronunciata per intrattenere Adalric. Superfluo, non credete?

Spero comunque che la lettura sia stata di vostro gradimento, perciò non esitate a farmelo sapere con un commento. E, mi raccomando, lasciatemi una stellina di supporto.

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