Capitolo 30

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Camminare tra gli alberi della Foresta Nera non era più spaventoso, neppure strano, per lui che si era abituato a farlo anche la notte, ma stare lì, accanto alla donna che si diceva essere suo fratello e che aveva tutta l'aria di voler fare qualcosa di surreale, riusciva a incutergli una certa soggezione. Per questo si guardava attorno circospetto.

Era certo che l'amuleto di Adalric lo avrebbe tenuto al sicuro da eventuali attacchi nemici, eppure continuava a indugiare su quella parola: invisibile.

Stentava a riconoscerla, a crederla possibile; tuttavia sperava e pregava che quegli scritti funzionassero, che non fossero solo una trappola di Rasputin. E se la ripeteva in mente come un bambino, serrava i denti, di tanto in tanto chiudeva gli occhi, tratteneva il fiato, mancava un battito per il solo fatto che, calpestando un rametto, emetteva dei suoni sinistri.

Poi accennava un sorriso, scuoteva la testa, si dava dello sciocco. Una mano dietro la nuca, si grattava il collo e continuava a chiedersi perché prudesse in quel modo. Storceva le labbra, sbuffava, attirava l'attenzione come un'anima in pena e minimizzava con un: «Tranquilli, non badate a me». O ancora: «È tutto apposto».

D'un tratto, però, Dietricha aggrottò le sopracciglia e, fermandosi, gli puntò contro uno sguardo serio. Disse: «Sei troppo nervoso, Erdmann».

Lui deglutì, si strinse nelle spalle e sollevò gli occhi verso il cielo, cercando di sfuggire ai suoi. Troppo indagatori, si disse, troppo penetranti. Guardò le nuvole al di là delle fronde dei faggi e si massaggiò il mento sotto la barba folta. «Non è niente, davvero, sono solo pensieroso. Mi chiedo dove tu voglia portarci, chi sia la vera Cibele» mormorò in un lamento.

Adalric inclinò appena la testa, lo guardo e prese a mordicchiarsi il labbro superiore, trattenendo le domande che premevano a forza per uscirgli di bocca. Ma poi, punto a sua volta dall'occhiata di Dietricha, quasi sobbalzò. Sospirò, poi chiese: «Cosa c'è?».

«La pensi come lui? C'è qualcosa che devi dirmi anche tu?» incalzò.

«Per quanto ne so, stiamo camminando a vuoto» rispose.

Lei si passò una mano sul viso e posò la fronte contro i polpastrelli, chinandosi appena in avanti in un moto d'esasperazione. «Avrei voluto allontanarci dalla Città, prima di parlarvi del rituale» iniziò a dire. «È solo per questo che non mi sono azzardata a dire una parola finora, non per tenervi all'oscuro di qualcosa.»

«Vuoi continuare a camminare in silenzio, dunque, o preferisci metterci al corrente delle cose mentre siamo in viaggio?» grugnì Erdmann, guardandola di sguincio. «Detesto la tua natura così criptica. Sai essere tanto spudorato quanto silenzioso, Damian, ed è una cosa che detesto di te...»

Dietricha emise un suono irritato, un'esclamazione, e lo fermò. Schioccò la lingua sul palato, poi riprese a camminare e spostò un paio di arbusti. «Bene, come preferisci. Semplicemente, ho intenzione di richiamare gli Spiriti Elementali della terra e chiedere loro aiuto affinché mi mettano in contatto con lei, Cibele.»

«Tutto qui?» borbottò stupito. Batté perfino le palpebre, vedendo la sua schiena farsi più piccola e lontana nell'oscurità. «Stai scherzando, spero? È letteralmente una scommessa, è come tentare la sorte!» Gli fu subito dietro, fiancheggiato da Adalric.

«Credi di avere altre alternative, forse?» lo rimbeccò.

Lui aggrottò le sopracciglia, ma non rispose e venne interrotto ancora con un:

«No, non ne abbiamo. Potrei contattare dei demoni, certo, in fondo si tratta di creature molto potenti, ma questi hanno una natura maligna e doppiogiochista. Sono brutali, infidi, terribili. Li hai visti come li ho visti io, Erdmann. E pretendono qualcosa in cambio, qualcosa che noi non potremmo dare via. La vita, per esempio. La nostra, quella di qualcuno, o chissà cos'altro. Certo, ce ne sono alcuni che si accontentano di una misera noce, ma non è la protezione che ci darebbero; non per così poco.»

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