Capitolo 38

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Per giorni, circondato da poche guardie e sguatteri, era rimasto isolato nella stanza più remota del castello e aveva chiesto di non essere disturbato. Lo sguardo assente, turbato, e l'ansia che minacciava di squassargli il petto, si era limitato a buttare giù qualche riga, immaginando di poterla recapitare alla sua famiglia; tuttavia lo sapeva: non aveva nessuno a cui indirizzare una lettera. E così, pagina dopo pagina, aveva lasciato che le sue parole cadessero in terra. Dimenticate, carta straccia.

Nella testa, il volto teso di sua madre prima della partenza da Münster e poi l'arrivo della sera, le urla, la notte, quello maciullato di suo padre. Piccoli ricordi che aveva accantonato, immagini distorte e sconnesse che lo stesso Rasputin gli aveva consigliato di dimenticare in virtù di quello che sarebbe stato un futuro migliore.

Ma in quel momento, ripensandoci, provò una strana fitta in quello che un tempo sapeva essere il suo piccolo, grande cuore. Si chiese se provasse ancora dei sentimenti e se quel colpo di stato non fosse solo un'inutile capriccio.

Allora, mentre i brividi gli correvano lungo la schiena e la penna d'oca tremava tra le sue dita, sentì gli occhi riempirsi di lacrime e, per la prima volta dopo anni, tornò a sentirsi non un Condottiero e non un Re, bensì August.

Tuttavia, la porta si aprì e lo riscosse, lo fece sobbalzare. Una lacrima, solitaria, scivolò oltre l'argine delle ciglia. Così lui scattò, sollevò un braccio e, col dorso della mano, la portò via alla svelta, prima che fosse troppo tardi e che qualcuno potesse vederlo. Deglutì, cercò di schiarirsi la voce, infine ringhiò un: «Chi è? Chi osa disturbarmi?».

E fu a quel punto che una sentinella si affannò per balbettare uno: «Scusatemi, non sono riuscito a fermarlo».

Non era la prima volta, così si disse, e capì subito chi fosse l'intruso che aveva mancato tanto di rispetto alla sua persona. Chiuse gli occhi, inspirò a fondo e, voltandosi, mormorò: «Maestro Rasputin, è un piacere avervi di nuovo qui. Siete tornato con il mio drappello, spero». Lo vide annuire, poi si concentro su quella che era la ragazza al suo fianco e aggrottò le sopracciglia, squadrandola da capo a piedi. «Lei chi è?» chiese, corrugò perfino la fronte e, studiandone l'abbigliamento, provò un certo imbarazzo. «Una popolana?» incalzò. «Non indossa nemmeno il corsetto...» Storse il naso, lo ritenne quasi oltraggioso e pensò che Rasputin si fosse portato dietro una prostituta.

Ma non poteva sapere la realtà dei fatti, né era tenuto a conoscerla; così, Damian sollevò il mento e, sfrontato, accennò un sorriso.

«Non gli avete insegnato a comportarsi?» sibilò all'indirizzo di Rasputin.

«Perché avrebbe dovuto insegnarmi qualcosa del genere?» replicò Damian, trattenendo a stento una risata. «E poi, ditemi, cosa c'è di sbagliato nel mio comportamento?»

August restrinse lo sguardo e indurì i muscoli del viso. Lanciò un'occhiata alla sentinella e la congedò con un: «Lasciateci». Poi, dopo che la porta fu chiusa alle spalle dei suoi ospiti, si avvicinò a Damian e, girandogli attorno, scandì: «Ragazza impudente».

«Cosa, nel mio atteggiamento, vi fa credere che io sia impudente?»

Le sopracciglia aggrottate, alzò la voce e disse: «Io sono il Re». E ancora: «Non osate rispondermi in questo modo, non fatelo mai più».

A quel punto, tacque e chinò appena la testa, deciso a rimandare il suo discorso sulla successione. I denti stretti, che quasi stridevano tra loro, pensò a Erdmann e a come le guardie lo avevano trascinato quasi esanime fino alle segrete. Infine mormorò un: «Perdonatemi, Vostra Altezza».

Fu allora che Rasputin s'intromise nel discorso e, tentando di placare gli animi, disse: «Se permettete, vorrei parlarvi di una cosa importante».

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