Capitolo 39

21 3 0
                                    

Quando la sua Cibele aveva attaccato August, lui aveva mancato un battito. Era rimasto immobile a osservare la scena con quella che chiunque avrebbe potuto definire un'espressione sconvolta; eppure non si era mosso, non aveva interferito. Poi, l'aveva vista correre via, fuggire dalla stanza come se avesse il diavolo alle calcagna, e non era nemmeno riuscito a fermarla.

Deluso, forse addirittura ferito e umiliato, si era chinato di fronte al corpo morente dell'uomo che un tempo aveva reso Re e lo aveva osservato a lungo, mentre si dibatteva e chiedeva aiuto a vuoto, mentre cercava di raggiungere lo scrittoio e, chissà perché, si aggrappava alle pergamene scritte per portarsele al petto.

Avrebbe voluto fermarlo, dirgli che era tutto inutile e che presto sarebbe finito; tuttavia, di nuovo, era rimasto immobile.

E ancora una volta, come molti anni prima, si era chinato sui calcagni per dire: «È il momento».

Fu allora che gli occhi di August si sgranarono e, vitrei, si riempirono di lacrime. «No» obiettò. Scosse la testa, strinse forte le sue lettere mai spedite e ringhiò ancora un: «No». Allungò una mano, tentò di allontanarlo e, con il naso arricciato in una smorfia furente, scandì: «L'avete portata voi, siete stato voi a premeditare tutto questo».

«No, affatto» negò.

«Voi siete un vile, un traditore» continuò, boccheggiò. «Mi volevate morto, non avete pensato neppure un istante a servirmi come avete stabilito in principio.»

«Vi sono stato fedele fino all'ultimo, e i vostri respiri sono stati anche i miei» replicò. «Adesso, però, siete sull'orlo della morte e dovete darmi ciò che avete promesso.»

«Non vi ho promesso niente» sputò rabbioso.

«Volevate il Regno, volevate la corona, volevate tutto questo e lo avete avuto.» Scosse la testa, impose una mano sulla sua fronte e lo spinse al suolo, costringendolo a non sollevarsi come stava invece tentando di fare. «Il fato vi ha privato di una lunga vita, non potete colpevolizzarmi.»

«Avete un corpo giovane, Rasputin» ringhiò. «Ne volete un altro altrettanto giovane.» Singhiozzò. «Il mio.»

«No, non è affatto come dite. Un corpo immortale resta un corpo immortale» spiegò asciutto. «E potrei prendere il vostro anche senza il consenso che sto cercando, perciò smettetela di opporre resistenza e mostrate un po' di dignità.»

Lui strinse i denti, li fece stridere tra loro e sentì una fitta all'addome. Gemette, si piegò in avanti e chiuse gli occhi. Non disse nulla, poi percepì il freddo del pavimento sul volto e capì di essere stato spinto da Rasputin su un fianco. Sputò un po' di sangue, boccheggiò, disse: «Siete disumano».

«Rallegratevi, il nostro non dovrà essere un rapporto eterno, perciò non è necessario che proviate stima nei miei confronti, August.» Accennò un sorriso di perla e gli si avvicinò. Le labbra vicino al suo orecchio, disse: «Mi auguro che la vostra anima sia abbastanza corrotta». Lo sentì fremere sotto le dita, poi lo voltò di scatto e notò un barlume di terrore nel suo sguardo. Al di là delle ciglia pallide, tremanti, che si sforzavano di rimanere sollevate per aggrapparsi alla vita, la vide; una massa informe, scura, che solo gli esseri come lui avrebbero saputo scorgere. «Sì, credo proprio che mi piacerà» sussurrò.

«Non fatelo» lo pregò in un singulto. Strinse le dita attorno alle lettere, sulla ferita che gli squarciava l'addome, e poi si sentì premere un dito sul mento. La fronte corrugata, vide la sua bocca avvicinarsi e, in pochi attimi, gli parve di venir meno.

Non se ne accorse, e nessuno, prima di lui, riuscì a farlo; tuttavia smise di esistere.

Il sapore della sua anima che gli scivolava in gola era terribilmente gustoso, così si disse. Poi chiuse gli occhi, reclinò appena la testa all'indietro e, in un sospiro, si sentì pieno, appagato, soddisfatto. Guardò il corpo vuoto di August, le palpebre appena abbassate, e storse le labbra in una smorfia.

Nello stesso modo in cui si era cibato di lui, riuscì ad abbandonare il corpo che, fino a quel momento, aveva occupato. E, mentre quello cadeva in terra senza vita, annaspò. Per l'ennesima volta, gli parve di essere riemerso da una lunga apnea e prese a respirare pesantemente. Lanciò uno sguardo alla testa bionda e riccioluta che era riversa al suolo, poi spostò una mano in terra e lasciò un'impronta di sangue sul marmo chiaro. Si tastò l'addome paradossalmente illeso, sorrise e sollevò le lettere sporche, stropicciate. In un moto di curiosità, iniziò a leggere qualche riga: «Vorrei tanto condividere con voi quello che abbiamo sempre sognato. I bei vestiti, madre, che sono certo vi renderebbero una regina...». Si fermò, accartocciò le pergamene e poi, tirandosi in piedi, deglutì. «Che sogni inutili, August.»

Note:

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Note:

Salve a tutti.

Qui ci avviciniamo davvero alla fine, e ammetto che l'usurpatore d'argento mi abbia fatto un'infinita tenerezza nel momento della sua morte. A voi?

E cosa ne pensate della vera natura del mio Rasputin? Lo dicevo, io, che è un immortale strano. Ecco perché è qui ed ecco spiegato il suo aspetto. Una sorta di Dio della Morte. Una sorta.

Il capitolo è molto corto rispetto agli ultimi che vi ho proposto, ma ormai, immagino, vi sarete abituati a "Mandragora" e alle sue stranezze.

Pronti alla fine?

Se il capitolo vi è piaciuto, lasciatemi un commento o una stellina di supporto.

MandragoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora