Capitolo 24

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Nella cella c'erano due strane creature ammantate di nero; il volto scheletrico e le dita ossute. Una di loro se ne stava in piedi sulla sinistra, con le spalle al muro, accanto a un lupo grigio, mentre l'altra premeva con forza sulla testa di Erdmann e lo costringeva a tenere sguardo e ginocchia sul pavimento grezzo.

Vedendo quella scena, Adalric sgranò gli occhi. Sentì un ululato riempirgli le orecchie e raggelò, s'immobilizzò, provò quasi l'impulso di tornare indietro. Poi, le gambe presero a tremare e lo ancorarono al suolo. Molli e pesanti al tempo stesso, si sforzarono di trascinare i piedi in avanti a spada sguainata.

E Dietricha, alle sue spalle, corrugò la fronte. Ebbe come l'impressione che il suo cuore potesse fermarsi per poi ricominciare a battere veloce, come un tamburo. Nelle orecchie, un rombo prepotente, un fischio sordo, l'eco delle parole di Erdmann. Serrò i denti, strinse l'elsa a due mani, restrinse perfino lo sguardo e cercò d'individuarlo nella cella buia.

Fu allora che la voce distorta di una creatura si fece sentire. Quasi sdoppiata, disse: «Andate via, non abbiamo bisogno di voi. Anime umane, che disturbano il nostro lavoro... Tutto questo è assurdo, inammissibile».

«Lavoro» ripeté Adalric, i muscoli frementi dalla rabbia. «Chi vi ha ordinato tutto questo?» Sapeva bene quanto quella domanda fosse sciocca, eppure non riuscì a trattenerla e la sentì scivolare dalla propria bocca.

Una risata tetra si levò nella cella, batté contro le pareti e rimbombò forte, con scherno, mentre l'altra creatura reclinava il capo in un moto divertito. «Credi di essere così importante da poter costringere noi, creature infernali, a rivelare a te, inutile omuncolo, quale sia la ragione della nostra presenza in questo mondo?» sibilò. Afferrò il cappuccio, lo abbassò con un gesto secco e mostrò la deformità che spuntava fiera dietro il suo cranio: una testa violacea, con le labbra carnose e gli occhi tondi.

Questa batté le palpebre gonfie, borbottò un: «Inutile omuncolo, inutile mondo». Poi sghignazzò e si lasciò andare a un urlo disumano, animalesco, che costrinse Adalric a coprirsi le orecchie con entrambe le mani.

La sua spada cadde in terra, emise un suono ferroso sulla pietra dura e attirò subito l'attenzione del lupo, che scattò in quella direzione e l'afferrò tra le fauci per spezzarla con un morso.

Dietricha retrocesse appena nel corridoio. Balbettò un: «Non è possibile». Incredula, vide i denti bianchi di quell'essere spalancarsi a un passo dall'uscio, mostrare le gengive rosate e un abisso in fondo alla gola. Trattenne un urlo, si gettò su Adalric e subito lo spinse via, evitando che fosse ferito con un attacco a sorpresa. Finì in terra, schiacciata dalle grosse zampe della bestia, con gli artigli che le premevano nelle carni. Il volto contratto in una smorfia di colore, le lacrime che cercavano di uscire. Gemette piano, inspirò a fondo, sentì la spada scivolare dalle sue dita e grugnì furiosa, provando a lottare come possibile, premendo entrambi i palmi contro il collo pieno di peli grigi che puzzava di morte.

E Adalric rantolò contro il muro, la guardò in un moto di sorpresa, trattenne il respiro. Le narici larghe, sentì il sibilo della lama che saettava su se stessa, lontano da Dietricha, fin quasi a raggiungere la punta dei suoi stivali. Allora la bloccò con la suola, si piegò, cercò di afferrarla. Poi, strattonato per i capelli, venne trascinato lontano dall'ingresso e costretto in ginocchio, accanto a Erdmann, al pari di un prigioniero di guerra. Gli occhi fuori dalle orbite, guardò Dietricha e prese a respirare con affanno. «Cosa volete farci?» sputò rabbioso.

Una delle due creature, quella ancora incappucciata, si spostò lentamente dal muro e gli si avvicinò. «Non sareste dovuti entrare» disse. Lo guardò negli occhi, alitandogli sul viso un puzzo marcio, di carogna, e gli vide arricciare il naso in un moto di disgusto. Poi fece scattare il braccio sinistro, sciogliendo l'intreccio dietro le spalle, e trattenne Erdman, che aveva provato ad alzarsi per raggiungere il lupo. «Voi non siete niente, non valete niente, non dovreste essere nemmeno qui» mormorò, la voce ridotta a un sibilo inquietante. «Perché lo avete fatto?» chiese infine, premendo le dita ossute attorno al collo di Erdmann.

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