Capitolo 8

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Le braci ancora accese che fumavano sulla sinistra, il cielo terso della sera e il vento che soffiava da nord, che smuoveva appena le fronde sulla riva orientale del Titisee in un silenzio surreale, appena rotto dal gracchiare di una cornacchia isolata.

Era quello lo scenario in cui si trovava Adalric, lo stesso da cui non riusciva a distaccarsi nonostante la stanchezza. Le spalle curve in avanti e gli avambracci posati sulle ginocchia piegate, continuava a fissare il pelo dell'acqua.

Alle sue spalle, Erdmann. Riposava steso in terra, riverso su un fianco, coperto dal mantello nero. Una mano sotto l'orecchio, ferma tra il viso e il terriccio, e le labbra schiuse nel sonno.

Gli lanciò uno sguardo fugace, muovendo appena le palpebre da sopra una spalla, e non poté fare a meno di ricordare i giorni in cui loro due giocavano felici assieme a Damian in quella che era un'infanzia troppo lontana. Così sentì stringersi il cuore nel petto, serrò i denti e inspirò a fatica. Tornò a chinare la testa, osservò il segno lasciato dai suoi stivali nel terriccio e si concentrò lì con un grosso groppo in gola, fin quando la pioggia non prese a picchiettargli sulle spalle. «Dannazione» borbottò. Si voltò di scatto verso la brace, che frizzava al contatto con l'acqua, e posò una coscia sull'erba schiacciata, cercò le pergamene arrotolate. Poi le ghermì, le infilò in fretta nella cintura e le coprì con il proprio mantello.

Erdmann mugolò nel sonno. Il viso bagnato, rigato di piccole scie umide, sollevò una mano anchilosata e prese a tastarsi i baffi con un grugnito strano, infastidito. «Che succede?» bofonchiò.

«Sta piovendo.»

«Maledizione» sputò, con la voce impastata. Piantò una mano sul terreno e si sollevò a fatica, battendo le palpebre e cercando di mettere a fuoco il profilo di Adalric sotto la fioca luce lunare.

Poi lo vide: alle sue spalle, ritto e centrale nel bel mezzo del Titisee, che fluttuava a mezz'aria e sollevava dal basso una miriade di goccioline traslucide.

Mancò un battito, gelò sul posto, sgranò gli occhi. La bocca spalancata in un urlo senza voce, si lasciò puntare dal suo sguardo confuso e balbettò qualcosa come: «Non voltarti, corri».

Adalric contrasse i muscoli del viso, ebbe come l'impressione che Erdmann fosse sbiancato come un cencio e impallidì a sua volta. Provò l'impulso di ascoltare le sue parole, di avanzare spedito verso la vegetazione della Foresta Nera; tuttavia, come attratto da uno strano richiamo, si mosse lento e girò la testa per cercare una risposta.

«Ti avevo detto di non farlo» disse a mezza bocca. «Quella cosa non è umana, siamo in pericolo.»

Quasi come se lo avesse sentito, dal centro del lago si levò una risata. «Sono uno Spirito Impuro dell'Ottavo Livello» disse Gabi ad alta voce. Abbassò i palmi verso il Titisee e interruppe il flusso delle gocce che aveva smosso per destare la loro attenzione. Poi scattò verso la riva e scandì un: «Erdmann von Fürstenberg, sono qui per reclamare la tua vita a nome di Rasputin».

Lui mosse un passo indietro, socchiuse le labbra come per dire qualcosa e subito si sentì afferrare per un polso da Adalric. Non emise un fiato, iniziò semplicemente a corrergli dietro, trascinato verso gli alberi che aveva alle spalle, mentre una seconda risata gli echeggiava nelle orecchie.

«Dobbiamo fare qualcosa» annaspò Adalric, tirando fuori le sue trascrizioni. Il laccio tra i denti, la pergamena che frusciava nella corsa e gli occhi bassi, fissi su quei sigilli che a stento riusciva a comprendere.

«Non dire sciocchezze» lo ammonì. «Non possiamo tirare a sorte in un momento come questo, con una creatura del genere alle calcagna.»

«Hai una soluzione migliore?» sputò. «Ha detto che è qui per ucciderti, Erdmann.»

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