Capitolo 15

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Le labbra contratte, la schiena dritta, aveva contenuto la rabbia per ore, continuando a chiedersi cosa fosse andato storto nella Foresta Nera e bramando il momento in cui sarebbe potuto tornare a casa per chiederlo direttamente a Gabi. Nonostante ciò, aveva continuato a sorridere e a fare la riverenza; tutto, pur di mantenere in vita quel patto stretto col sangue, di cui pareva che il Re non ricordasse nulla.

Allora, superati i cancelli, si era affrettato verso il borgo. La testa piena di pensieri e il ricordo di Cibele marchiato a fuoco nelle retine.

Il solito bambino, che giocava a palla, rischiò di finirgli addosso, ma poi, accorgendosi di lui, s'immobilizzò e, terrorizzato, retrocesse fino al muro di un'abitazione, dove sua madre lo strattonò per una spalla e lo rimproverò a gran voce prima di schiaffeggiarlo.

Lui lo guardò appena, con la coda dell'occhio, ignorando il resto dei passanti. Storse le labbra in una smorfia infastidita e arricciò perfino il naso, pregno di un ricordo lontano, che parve pungerlo come uno spillo. Serrò i denti, strinse le mani in due pugni malfermi e poi aprì la bocca per mormorare delle parole in russo.

Nessuno le udì, nessuno gli prestò attenzione e comunque nessuno avrebbe potuto capirle.

In quel momento, la donna sgranò gli occhi di fronte al piccolo e mancò un singolo e lunghissimo battito che le fece girare la testa. Dapprima si artigliò al muro, poi perse la consistenza con lo stesso e cadde giù, in terra, di fronte a tutti quanti, mentre le si ammucchiavano attorno in un grosso cerchio umano.

Il bambino gridò: «Mamma!».

Ma lei non rispose.

Dal canto suo, Rasputin continuò a camminare e, raggiunta la porta di casa, tirò un breve sospiro. L'aprì, entrò e se la chiuse alle spalle. Un piccolo tono, ancora l'odore d'incenso spento che riempiva l'ambiente e la luce che filtrava dalla finestre. Il vociare lontano, qualche grido, la soddisfazione dipinta sul suo viso immortale. «Gabi, sei qui?» domandò a gran voce. Si tolse il mantello e, piegandolo sull'avambraccio, restrinse lo sguardo.

«Sì, Maestro» mormorò comparendo in corridoio.

Lui lo guardò e corrugò la fronte. «Cos'hai da dirmi a tua discolpa?»

«Diverse cose, in realtà.» Incrociò le braccia al petto e sollevò il mento, mentre il suo sguardo si faceva confuso. «Innanzitutto, non è colpa mia se Erdmann von Fürstenberg è fuggito.»

Gettò il mantello in terra e gli si avvicinò a passo svelto, vedendolo retrocedere. «È ovviamente colpa tua» scandì rabbioso. «Avevi il compito di portarlo da me, Gabi. Sei stato marchiato, ti ho ordinato di farlo, eppure hai disobbedito. Non so come tu abbia potuto fare una cosa del genere, ma non pensare che la punizione sarà lieve.»

Sorrise. «Adoro le vostre punizioni, Maestro Rasputin» ammise. «Ma non è per averne un'altra che ho lasciato il fuggitivo nella Foresta Nera.» Si strinse nelle spalle, poi disse: «È stato il suo compagno a fermarmi».

«Come avrebbe potuto?» sputo, arricciando il naso.

«Entrando in casa vostra, quei due hanno messo mano ai vostri scritti. Dati i loro natali, immagino che abbiano saputo tradurre parte della "Clavicola di Salomone".»

«Ti ha costretto ad andare via» sussurrò crucciato.

«Sì, esatto» scandì. «Vedete, io non avrei voluto farlo, ma non ho potuto obiettare. Proprio come voi, lui ha dettato legge sulla mia natura di spirito.» Per la prima volta, non si mostrò divertito e arricciò perfino le labbra in un moto di stizza. «Quel piccolo uomo mi ha mostrato il pentacolo di Saturno e, sebbene avessi voluto ucciderlo, non ho potuto fare nient'altro che tornare qui.»

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