Capitolo 5

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Erano accampati sulla sponda orientale del Titisee dall'ora di pranzo. Nello stomaco, solo il ruggito del loro odio per l'invasore dall'armatura d'argento e quel vago timore di essere visti, notati, rincorsi dall'ombra di Rasputin pur essendo lontano dal Regno di Donaueschingen. Le membra stanche, spossate dal viaggio a piedi, e gli occhi che sembravano sul punto di cedere al sonno ancor prima del tramonto.

Avevano smesso di parlare da ore per dedicarsi alla contemplazione delle copie che aveva fatto Adalric prima di lasciare la Città; tuttavia sembrava che quello fosse stato in grado di agitarli ancora di più.

Così, all'improvviso, Erdmann esplose in un grugnito. Le sopracciglia unite in una linea retta, contrasse le dita attorno ai margini della pergamena e la pieghettò. Disse: «Avevi ragione, non si capisce assolutamente niente di quello che ha scritto quel pazzo».

E lui sospirò. Seduto sull'erba fresca, abbandonò le mani sulle cosce e spostò lo sguardo nella sua direzione. Le braccia molli, appena tremanti, non ebbe il coraggio di rispondere, perché l'idea di non poter fare niente, di essere ancora inutile, lo terrorizzava.

«Ci vorrebbe un interprete, qualcuno che sappia tradurre delle scritture tanto antiche, peccato che, eccetto lui, non esista nessuno in grado di ricoprire un ruolo del genere» continuò.

Adalric annuì. Posò le carte in terra e le fermò con un piccolo masso, prima di alzarsi in piedi e lanciarne un altro nella superficie immobile del Titisee. La bocca storta, un'espressione crucciata, disse: «Altrimenti dovremmo andare a intuito».

«Assurdo, è troppo rischioso.» Scosse la testa, osservando il suo profilo teso. «Se commettessimo qualche errore, cosa molto plausibile, non sapremmo come risolverlo.»

«Meglio rischiare di commettere qualche errore, piuttosto che restare immobili, mentre gl'invasori mettono le radici in casa nostra.»

Erdmann si lasciò sfuggire un suono divertito e sollevò un angolo delle labbra. Colpito dalle sue parole, disse: «Hai ragione, ma non voglio rischiare di perdere un amico, non in modo tanto stupido e dopo ciò che è successo a Damian». Allungò una mano per recuperare le pergamene bloccate sotto il masso, quelle i cui margini frusciavano appena nel vento, e iniziò a scorrerle con lo sguardo. «Se questi incantesimi, questi rituali, ci portassero alla deriva, se davvero fosse come vociferano tutti e dei demoni pretendessero l'anima o la vita di qualcuno, non vorrei mai che quel qualcuno fossi tu, Adalric.»

Lui restrinse lo sguardo, lo puntò verso l'orizzonte, sulla sponda opposta del lago, e osservò le case che la disseminavano con un groppo in gola. «Non succederà» mormorò.

«Come fai a dirlo?» Mosse appena le sopracciglia, sollevò gli occhi verso di lui e lo squadrò. «Sei il primo a non conoscere niente di tutto questo, eppure sembri così sicuro...» Arricciò il naso, poi chinò il mento e scrutò il sigillo che aveva davanti, quello fatto di linee e cerchi concentrici che pareva quasi delineare una croce sovrapposta a una ics.

«Dovrei tremare di paura, forse?»

«Non ho detto questo, ma potresti evitare di fare tanto lo spavaldo.»

«Indugiare non serve a niente, non adesso» mormorò. Si voltò nella sua direzione e incrociò le braccia al petto. «Siamo in ballo e dobbiamo ballare, Erdmann, perciò sarebbe meglio iniziare a scegliere un punto d'inizio e procedere per esclusione.»

«Andare alla cieca» disse piano, passando le dita sulla pergamena scritta. Si umettò le labbra secche e deglutì a vuoto. Infine, con il cuore che prendeva a battere velocemente, si arrese. «Per quanto sembri assurdo, l'intuito è tutto ciò che ci resta.»

Adalric si piegò sui calcagni, allungò una mano nella sua direzione e socchiuse le palpebre, osservando lo stesso sigillo che, fino a un attimo prima, aveva attirato la sua attenzione. «Fa' vedere» sussurrò. «Credo che quello fosse uno dei sigilli tracciati in rosso sul libro nero di Rasputin.»

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