Capitolo 4

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In quella piccola casa dal tetto basso, Dietricha aveva quasi paura di muoversi. Riconosceva a stento il tavolo con le tre sedie dove, da bambina, era stata a sedere per ore, in silenzio, a osservare suo padre, che intagliava lunghi arbusti per filare della pagliuzza pungente e creare delle bambole con cui farla giocare.

E lui non c'era. L'unico ricordo vivido nella sua memoria sembrava essersi volatizzato nel nulla, lasciando il passo a una vecchia signora dalla fronte segnata e lo sguardo stanco, spento, con le iridi fatte di nebbia, che se ne stava là, accanto al caminetto acceso, a pelare delle patate con le palpebre tirate verso il basso e le ciglia scure che le battevano sugli zigomi alti. Una figura inquietante, autonoma, che aveva fatto un vanto della sua cecità.

«Perché non dici niente, piccola mia?» chiese d'un tratto.

Lei sobbalzò, colta alla sprovvista; era la prima volta, da quando le tingitrici avevano lasciato quella casa, che Helmine apriva bocca. Così, prima di rispondere si umettò appena le labbra. «Non so cosa dire» ammise.

Le sue labbra si piegarono in un sorriso sincero, quasi materno, e le mani presero a tremare, fermando il loro daffare un attimo dopo. Quando l'ennesima buccia cadde nel secchio posto tra i piedi di Helmine, la sua voce vibrò ancora e disse: «Sei stata via per un mese, ho creduto che fossi scappata di casa. È così? Sei scappata di casa?».

«No, madre.» Scosse la testa, ma poi si ricordò di non poter essere vista e deglutì in un moto d'imbarazzo. Chinò il mento, osservò il pavimento grezzo e mormorò: «Non ricordo nulla, so solo di essermi svegliata nella Foresta Nera e di aver incontrato le tingitrici sulle rive del Breg. Un colpo di fortuna, credo. Se non fosse stato per loro, mi troverei ancora lì e starei vagando in cerca della strada di casa».

«Un vero colpo di fortuna» ripeté. Si lasciò andare a un lungo sospiro e posò la patata non ancora pelata sulle ginocchia. Le dita contratte, disse: «Tuttavia sei sparita per molto tempo. Immagino che, presto, la gente inizierà a chiacchierare».

Dietricha si artigliò al bordo del tavolo. Avrebbe voluto dirle che qualcuno si era già spinto a dire la sua, che avevano pensato bene di additarla come strega per il solo fatto che fosse nuda e sola nella Foresta Nera, ma si trattenne. Poi sentì la lama procedere con uno scrocchio nel corpo poroso della patata e sollevò lo sguardo. Vide sua madre nuovamente intenta a sbucciare la cena, il suo viso contratto da una strana forma di preoccupazione, e le sentì dire:

«A ogni modo, ce ne preoccuperemo quando succederà».

Annuì di nuovo e storse le labbra, dandosi della stupida. «Sì, madre» mormorò.

Helmine sorrise, lanciò la patata sbucciata nella piccola pentola piena d'acqua che si trovava alla sua sinistra e si chinò in avanti per afferrarne un'altra ancora sporca di terra. Allora riprese: «Piuttosto, sei ferita da qualche parte? Devi sicuramente aver battuto la testa, piccola mia».

«Non credo, no.» Si passò le dita tra i capelli, tastando la cute in ogni dove, e corrugò la fronte, continuando a osservare il profilo contratto di sua madre, che si bloccò di nuovo e parve gelare sul posto.

«Sarà meglio che tu abbia battuto la testa, Dietricha» disse, scandì. Si voltò nella sua direzione e sollevò le palpebre, fissandola con i bulbi bianchi fino a farla rabbrividire. «Da una diceria si generano le chiacchiere, dalle chiacchiere, le convinzioni. Ed è un attimo che quelle convinzioni si trasformino in accuse. Non voglio saperti tra le mani del boia, non voglio perderti come ho perso tuo padre.»

Per un attimo, le mancò il respiro. Sentì la pelle accapponarsi e i muscoli tendersi fino a bruciare. Sgranò gli occhi, allargò le narici in cerca d'aria e percepì un lieve pizzicore contro le palpebre spalancate. «Cos'è successo a mio padre?» riuscì a chiedere in un sussurro.

«Temevo che non me lo avresti mai chiesto.»

Deglutì a vuoto, la vide stringersi nelle spalle e serrare la presa attorno al manico del coltello, mentre le sue labbra fine si curvavano verso il basso.

«È stato giustiziato, come molti altri, mentre tu eri via.»

Un suono strozzato le uscì di bocca. Un lamento basso, doloroso, assieme a un: «Perché?».

Helmine si mordicchiò appena il labbro, strappò una pellicina secca e inspirò a fondo per trovare il coraggio di dirlo a voce alta; ripercorrere un passato tanto fresco le torceva le budella e la faceva sentire impotente. «Si è opposto al re» disse. «Poco dopo la caduta del principe, ha accusato il suo fidato di stregoneria ed è finito sulla forca.»

Le lacrime, incontrollate, presero a scivolarle verso il mento. «Non è possibile...» gemette. Vide sua madre stringersi in se stessa, e la sentì tirare su col naso, reprimere un singhiozzo, prima di dire:

«Mi dispiace, piccola mia. Non ha potuto salutarti, ma è stato fuori casa a lungo e ti ha cercato ovunque».

«Perché il Re avrebbe fatto una cosa simile?» domandò a fatica. «Chi è il suo fidato? Mio padre non avrebbe accusato nessuno ingiustamente.»

Helmine serrò le labbra e voltò la testa, cercando di rifuggire dallo sguardo di Dietricha; se lo sentiva addosso, ed era certa che fosse di fuoco, proprio come quello di suo padre. Le guance calde, bruciate dal caminetto, disse: «È meglio non fare il suo nome, piccola mia».

Lei aggrottò le sopracciglia in un moto di rabbia. «Come sarebbe a dire? Cosa mai avrebbe di pericoloso un nome?»

«Potrebbe richiamarlo qui come un demone» mormorò. Posò il coltello sulle ginocchia e si fece subito il segno della croce, intrecciando le dita di fronte alle labbra screpolate. «Dio non voglia che tuo padre avesse ragione, Dietricha, potrebbe ascoltarci.»

Tesa, con il pianto in fondo alla gola, arricciò il naso. «Voglio sapere il suo nome» scandì. «Voglio sapere il nome dell'uomo che ha portato mio padre sulla forca.»

«Per fare cosa?» Scattò, tornò a guardarla con i bulbi vuoti e quasi mancò un battito.

«Per sapere il nome della persona che devo uccidere.»

Note:

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Note:

Salve e ben trovati.

La storia vi sta piacendo? Spero proprio di sì, perché a me piace molto scriverla e non me lo aspettavo. Quando ho iniziato a tracciarne le linee guida mi sono detta che non sarei andata molto lontano, chissà perché; ma non sono un tipo che crede in se stesso.

Siamo all'inizio, però, e i personaggi sono appena accennati.

Spero di poterli presentare al meglio man mano che andremo avanti, incrocio le dita.

Se la storia vi sta piacendo, lasciatemi un commento o una stellina di supporto.

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