Capitolo 37

429 19 0
                                    

"Sii chi tu vuoi essere non chi gli altri vogliono vedere."

-Cit.

**

Mio padre ovviamente è uscito lasciandomi a casa da solo e nelle mani di Alessio. So che stanno arrivando ma oggi non mi fanno così tanta paura. Se solo mio padre sapesse cosa mi fanno poi riderei io. Mio padre è il capo, il grande Harris Hood e io? Io chi sono? Io in teoria dovrei essere il figlio del grande Harris Hood, spacciatore e criminale della mafia australiana che incute timore solo con uno sguardo come il padre mentre in pratica sono solo il figlio del grande Harris Hood, una nullità, un perdente, una vittima di bullismo, uno sbaglio della natura. Si, diciamo che io sono uno sbaglio della natura. Come mi ha detto di nuovo mio padre. "Io l'avevo detto a tua madre che avresti portato solo problemi. Sei solo uno sbaglio" le sue testuali parole prima di sbattere la porta per andare a spacciare chissà dove.

Oggi non vinceranno loro, oggi vincerò io. Dietro ai pantaloni ho un taglierino in modo da tagliare le corde e picchiarli come si deve.

La porta di camera mia si apre e due ragazzi che non riconosco mi minacciano subito con un coltellino. Oh, no questa volta non glielo lascio fare. Uno mi prende da dietro e mi punta il coltello alla gola. Io gli do un calcio da dietro e lo colpisco a una gamba probabilmente. In un primo momento mi lascia andare ma poi si rifionda su di me. Cadiamo a terra tutte e due e lui è sopra di me ancora con il coltello fra le mani.

«Hood non devi giocare con me» mi urla facendomi un taglio sul collo solo per farmi soffrire e per "farmi imparare la lezione" come dice lui. Ma qua sono loro che devono imparare che da oggi in poi qui non comandano più loro.

Solo adesso riesco a riconoscere che è Michele. È un altro scagnozzo di Alessio, ovviamente. È veramente brutto e è entrato nel gruppo solo per non essere un emarginato. Pff, patetico.

«Michele sei patetico» gli dico cominciando a ridere rumorosamente. Lui diventa rosso per la rabbia perché ha capito benissimo cosa intendo. Oggi ho questa strana forza e coraggio. Non mi era mai capitata.

Lui subito mi fa un altro taglio questa volta più lungo e più doloroso. La mia risata si trasforma in un urlo di dolore in poco tempo. Subito entrano dalla porta altri due ragazzi. Quattro contro uno mi sembra abbastanza sleale.

Quello che si dovrebbe chiamare Matteo mi fa girare a pancia sotto sul pavimento minacciandomi con una pistola. Diciamo che adesso sono abbastanza fottuto.

Vedo Michele prendere una corda molto resistente per i miei gusti. No, oggi non mi farò legare da loro. Ne ho abbastanza. Mi incomincio a muovere il più possibile ma niente, Matteo mi tiene da un lato e Tommaso da un altro mentre Michele mi lega.

Dopo vari tentativi riescono a legarmi i polsi dietro alla schiena. La corda è davvero stretta e la circolazione passa a stento.

«Fatelo girare e mettetelo sul letto» Matteo dà comandi agli altri che mi tengono. In ogni centimetro della mia camera c'è un brutto ricordo, e ora è la volta anche del mio letto. Ogni sera che andrò a dormire mi verranno in mente queste immagini. Quando per l'ennesima volta stanno vincendo loro slealmente.

Michele e Tommaso mi tengono ancora per le braccia e mi fanno sedere sul mio letto. Mi sento davvero una nullità. Io, legato e seduto sul letto. Loro, in piedi con un coltello e una pistola con il pieno potere su di me.

«Oh ma guarda cosa abbiamo qui!» esulta con un tono irritabile Matteo. «C'è il tuo amichetto John!» continua tirando fuori quel lurido panno sporco, mio incubo da 6 anni.

«Ecco un altro patetico che crede di comandarmi» gli infierisco io riferendomi a Matteo, altro emarginato entrato nel gruppo per lo stesso motivo di Michele. Loro non sanno che io so tutto grazie a mio padre. Lui mi tiene aggiornato su ogni cosa che il gruppo fa, ma questo nessuno lo sa. Pensano che sono un buono a nulla. Si, lo sono abbastanza ma io sono più furbo di loro.

«Che cosa hai detto stupito perdente?» mi urla e mi prende violentemente il viso. «Io sarò anche un perdente ma almeno non sono entrato nel gruppo per non essere un emarginato del cazzo deriso tutto il giorno» ringhio a denti stretti guardando prima Michele e poi Matteo. Dico quelle parole con tanta rabbia e forse anche un pizzico d'odio in questo momento. Per Noelle questo ed altro. Per lei prenderei anche tutte le botte necessarie.

Improvvisamente mi arriva un pugno in pancia e io mi piego per il forte dolore allo stomaco. Sento una fitta allo stomaco ma cerco di non farci troppo caso.

«Apri la bocca perdente» mi dice con odio Tommaso sventolandomi davanti il panno. Nemmeno gli rispondo, non meritano niente da me, solo rabbia e botte, rabbia e botte. Tengo la bocca bella chiusa e comincio a guardare la mia camera. Guardo qualcosa di più interessante di loro.

Tommaso spazientito dalla mia reazione mi afferra la bocca con violenza e mentre lui mi tappa il naso Michele mi infila violentemente il panno in bocca dopo la mia reazione di aprire la bocca per respirare. Michele mi fa un nodo troppo stretto dietro la nuca e io non riesco a chiudere la bocca. Il sapore ancora più schifoso del panno mi inonda la bocca e dentro quel sapore riesco a percepire anche la nullità che sono. Sento il sapore della sconfitta in bocca e vedo la sconfitta nei miei occhi quando sono riusciti a caricarmi in macchina diretti verso una nuova tortura.

Mi bendano gli occhi e io mi perdo nei miei pensieri. Sento la stessa sensazione di quando la prima volta ho vissuto questo inferno.

Avevo appena 11 anni e mio padre ovviamente mi aveva lasciato a casa da solo. Il pomeriggio Nicola e Simone mi avevano minacciato di andare con loro a picchiare un altro ragazzo ma io mi ero rifiutato. Le cose da sei anni a questa parte non sono cambiate molto, siamo solo cresciuti. Io sono cresciuto sentendomi un perdente e loro sono cresciuti con l'idea che io sono il loro schiavo. Ma ancora non hanno capito che non sarà mai così perché mi ribellerò sempre a loro. In pratica sono venuti mentre dormivo e mi hanno legato, imbavagliato e bendato. Mi hanno portato al nostro rifugio e mi hanno picchiato violentemente. Troppo violentemente per dei semplici bambini di 11. Quella fu la prima volta che mi sentì veramente un perdente.

Il modo in cui loro riuscivano a comandarmi anche se io cercavo di tenergli testa comunque in un modo nell'altro vincevano loro.

Sento la macchina fermarsi e mi tolgono la benda. Siamo nel nostro solito rifugio e la luna splende in cielo in tutta la sua bellezza. Quanto vorrei essere sdraiato su un parto di fiori insieme a Noelle a guardare questa magnifica notte stellata. Magari un giorno succederà e io in quel momento sarò il ragazzo più felice del mondo. Ma non oggi.

Mi portano nella solita stanza e mi scaraventano sulla sedia. Vedo che Tommaso e Michele che mi stavano tenendo si stanno avviando verso la porta. Con un movimento veloce mi alzo e sferro un calcio a Michele che si accascia a terra forse per la sorpresa. Non si aspettavano una mia reazione. Tommaso si gira di scatto e con un altro calcio colpisco anche lui facendolo cadere. Nel frattempo Michele si è alzato e mi ha preso da dietro. Ho finito di vivere, lo sapevo. Non mi dovevo ribellare.

"E dovevi stare ai loro comandi? Pensa a Noelle"

Dice il mio subconscio distraendomi per un attimo dalla situazione pericolosa in cui mi sono cacciato. Tommaso mi tiene fermo mentre Michele mi comincia a scaraventare pugni sul mio stomaco ininterrottamente. I suoi pugni sono forti e fanno davvero tanto male. Dopo non so quanti pugni ricevuti Tommaso mi lascia e io mi accascio a terra esausto. Sono già esausto e ancora non è arrivato Alessio. Loro comintinuano a sferrarmi calci sempre sul mio addome rimarcando i segni violacei che già avevo per colpa loro.

COLD LOVE || CALUM HOODDove le storie prendono vita. Scoprilo ora