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CARLEIGH 


Oggi 

Stanotte ho fatto di nuovo quel sogno. Non lo facevo da un po', e oggi mi sento letargica e inquieta. Perché non è affatto un sogno. Dai sogni puoi svegliarti. Questo è un ricordo. 

Ho otto anni, sto dormendo nel mio vecchio letto a baldacchino con il copriletto di seta rosa. È tardi, e sono comoda e al calduccio, nella mia camicia da notte preferita che mi fa sentire davvero una principessa, come dice mio padre. D'un tratto c'è una cacofonia di rumori strani. Pneumatici che stridono fuori dalla mia finestra, porte che sbattono e voci maschili portate dalla notte. Sbatto le palpebre per la paura, solo per scoprire che non è affatto notte. La luce del mattino filtra attraverso le tende color avorio, e immagino che debba essere molto, molto presto. Bum, bum, bum! La porta d'ingresso non è vicina a camera mia, eppure i tonfi che la scuotono mi raggiungono con minacciosa insistenza. Papà! Lo chiamo, ma lui non viene. Penso di nascondermi sotto il letto, ma devo trovare Billy, e ho bisogno del mio papà. Mi alzo e apro di un soffio la porta della mia stanza. Voci maschili. Stavolta sono dentro casa, i loro ordini riecheggiano nell'ingresso. Sguscio in corridoio, ma Billy è già lì fuori, che mi cerca, le lacrime che gli rigano le guance rosa da cherubino. Ha solo tre anni ed è terrorizzato. Lo prendo per mano e gli sussurro di non preoccuparsi. Va tutto bene. Papà si prenderà cura di noi. Sgusciamo sul pianerottolo, dove possiamo guardare attraverso la ringhiera. Uomini. Uomini in uniforme nera, con giubbotti antiproiettile e torce, le pistole nelle fondine. Piagnucolii. Mia madre. Ha la sua splendida camicia da notte di seta con la vestaglia coordinata. È la prima volta che la vedo senza trucco in presenza d'estranei. Ma non dice nulla. E poi ecco mio padre, vestito di tutto punto, i polsi ammanettati dietro la schiena, mentre uno degli unici due uomini in borghese lo informa dei suoi diritti come se fossero una specie di poesia. Riconosco le parole sinistre che ho sentito alla tv... diritto di rimanere in silenzio... saranno usate contro di lei ... se non può permettersi un avvocato... Accusato di frode... di diversi tipi. Frode bancaria, frode postale, frode in attività di consulenza. Non capisco nessuna di quelle parole. Sono tutte senza senso. Capisco solo che lo stanno arrestando, ma lui è innocente. Deve essere così. Dico a Billy di restare sul pianerottolo e scendo giù dalle scale. «Papà!» grido, e mi aggrappo alla sua gamba. Non permetterò che lo portino via! Ma lui non può toccarmi con le braccia ammanettate, non può tranquillizzarmi. «Shhh, è tutto okay, principessa. Va' dalla mamma, okay? È tutto okay.» Non fa che dire okay, okay, okay. Ma come fa a essere tutto okay? «Nicole» chiama sottovoce. La mamma è in un angolo che piange come uno zombie. «Accidenti, Nicole!» sbotta all'improvviso. «Occupati di tua figlia!» Lei sembra tornare alla realtà e mi tocca fiaccamente le spalle, cercando di allontanarmi dal mio papà. «È tutto okay, piccola. Va' dalla mamma» mi dice lui per calmarmi. Ma poi gli uomini fanno per portarlo via. No! Dove lo portate? Le mie lacrime gli inzuppano i calzoni di lana, ma io non lo lascio andare. «Signora, per favore, cerchi di tenere sua figlia» dice uno degli uomini in borghese, e allora la mamma mi afferra e mi tira per la vita, e io stringo le mani attorno alla gamba del mio papà, chiamandolo finché le mie dita non cedono. Il mio cuore va in minuscoli pezzetti che cercano di seguire mio padre fuori dalla porta, perché so che la mia vita non sarà più la stessa.

Vado in bagno a sciacquarmi il viso. Odio quel sogno. Quel ricordo. Dopo mi tormenta sempre per giorni e giorni. Giorni in cui mi sembra di avere di nuovo otto anni e mi sento indifesa, sperduta nella corrente distruttiva delle scelte egoistiche dei miei genitori. Scelte egoistiche che – come ho imparato qualche anno dopo – non hanno smesso di tormentarmi da quella fatidica mattina. Però proprio quella mattina alcune cose sono finite. La mia infanzia, per esempio. I bambini tendono a vedere i genitori come supereroi. Infallibili. Anche se le loro piccole menti ingenue colgono spesso prove del contrario, questo raramente cambia la loro percezione generale. Ci vuole qualcosa di sconvolgente. Ed è proprio quello che è successo a me. È strano, ma non è stato nemmeno l'arresto in sé. È stato dopo. È stato supplicare mia madre di portarmi alla stazione di polizia, per andarlo a prendere, solo per sentirmi dire che sapeva quello che faceva, che dovevo fidarmi di lei e che era tutto okay. Non potevamo andarlo a prendere, nessuno doveva vederci là con lui. Non è nemmeno tornato a casa. Una volta pagata la cauzione, è dovuto rimanere nell'appartamento che aveva vicino all'ufficio di Manhattan per due giorni prima di riuscire a sbarazzarsi dei giornalisti e tornare a casa. Eppure mia madre ha giurato di sapere ciò che era meglio fare. Anche quando si sono chiusi in camera per giorni, a parlare a voce bassa, a litigare animatamente, coi singhiozzi di mia madre che riecheggiavano attraverso le pareti, ho continuato a crederle. E perché non avrei dovuto? Sono i miei genitori, perché non dovrebbero sapere ciò che è meglio per me? Ma persino a quell'età sapevo che passare i successivi quindici anni senza mio padre non era la cosa migliore. Di sicuro non lo era per me. È stato allora che ho smesso di credere che altre persone – compresi i miei genitori – potessero sapere ciò che era meglio per me. Che ho compreso il pericolo che correvo nel lasciare agli altri il controllo della situazione. Solo io potevo sapere ciò che era meglio per me. I ricordi mi appesantiscono di risentimento e ancora una volta maledico quel sogno. Dopo una lunga giornata di lezioni voglio solo buttarmi sul letto e fare un sonnellino. Voglio che questa sensazione sparisca. Ma non posso, perché stasera c'è il primo incontro del nostro gruppo per il progetto di Zayne e per la seconda volta oggi dovrò vedere Tucker. La sua presenza rende le conseguenze del mio sogno più acute e persistenti, fa sì che la vergogna e il senso di colpa mi consumino ancora di più. Sono tentata di mandare una mail a tutti per dire che non mi sento bene, ma non lo faccio. Non sono una vigliacca. E poi c'è troppo in ballo, con questo progetto, e sono decisa a vincere la gara per ottenere lo stage. Da quando Zayne ha dato l'annuncio, mi sono sempre più convinta che sia la mia grande occasione per dimostrare al mondo – e a me stessa – che posso realizzare qualunque sogno decida di perseguire, grazie soltanto a un po' di talento e alla cara, vecchia etica del lavoro. Possiedo entrambi e posso impiegarli per forgiare il futuro che desidero per me stessa... a un mondo di distanza da quello scelto da mio padre. Il cielo ha trascorso l'intera giornata coperto da nuvoloni grigi e riflette alla perfezione il mio stato d'animo, ma, dopo che ho lasciato il dormitorio per incontrare il gruppo, comincia a cadere una lieve pioggerellina.. Mi copro col cappuccio della felpa e supero la folla di studenti che si affrettano come me verso le loro destinazioni. Tucker è l'ultimo ad arrivare. Evita il mio sguardo mentre si siede di fronte a me. «Ciao, Tucker.» Julia sorride, infilandosi i capelli dietro l'orecchio. Già, lui fa questo effetto. Fisso la pagina vuota sul mio tablet mentre Tucker borbotta un ciao generale. Julia cerca di far conversazione, ma lui non sembra dell'umore e riporta l'attenzione sul progetto. Il quarto membro del gruppo, Manny, conduce la discussione, mentre Julia propone qualche suggerimento. Tucker sembra distratto quanto me, il contributo di entrambi si limita ad accettare ciecamente quasi tutto. Lo scopro a guardarmi con vaga preoccupazione, e mi chiedo se riesca a leggere la mia angoscia, il mio sfinimento. Mi scuso e vado in bagno, dove aggiungo un po' di correttore ai cerchi sotto gli occhi. Non ho il fard, quindi mi pizzico le guance per far uscire un po' di colore. Quando ritorno, evito il suo sguardo, una cosa in cui sono diventata piuttosto brava. «Allora, Tuck ha fatto qualche ricerca sulle organizzazioni proposte. Ha preso appunti sulle loro passate campagne e roba varia» mi aggiorna Julia. Tuck. I miei occhi schizzano nella sua direzione prima di riuscire a fermarmi, ma lui sta fissando il telefono. Immagino che quando non ci sono sia perfettamente in grado di partecipare. Mi chiedo perché mi abbia impedito di cambiare gruppo. Le sue parole mi rimbalzano nella mente, ferendomi più che mai, lacerandomi il petto come schegge. Non c'è nessun noi. Non c'è mai stato. «Perfetto» mormoro senza alzare lo sguardo, con una voce bassa e sconosciuta. «Vi manderò una mail» borbotta lui a nessuno in particolare. «Okay, perfetto» dice Manny. «Possiamo riaggiornarci la prossima volta.» Raduniamo le nostre cose, tutti tranne Tucker, che aveva tirato fuori solo il telefono. «Allora, Tuck, ho sentito che darete un'altra festa domani sera...» Julia si scosta i capelli dietro la spalla. Tucker alza un istante lo sguardo dal telefono e inarca le sopracciglia. «Così mi hanno detto.» Gli è sempre piaciuto flirtare, anche quando non aveva secondi fini. Era il suo modo di essere amichevole con le ragazze, ed è per questo che non lo avevo preso sul serio quando ha cominciato a provarci con me. Ma ora è diverso. È come se le mie bugie lo avessero trasformato in modo palpabile: ha eretto un muro attorno a una parte fondamentale della propria natura, intrappolando il suo spirito scherzoso. È come se avesse perduto un pezzo di sé – oppure gliel'ho rubato io – e questo se possibile mi rende ancora più triste. Non voglio che si metta a flirtare con Julia o con altre ragazze, ma non ho mai desiderato che fosse nient'altro che il Tucker Green che adoro sin dall'infanzia. Dopotutto, era quello il ragazzo di cui mi sono innamorata.  «Ci sarai?» gli chiede Julia. «Vivo lì» dice Tucker con un filo di sarcasmo, ma cerca di rimediare con un sorriso conciliante. E funziona: Julia diventa rossa come un peperone. Borbotto che devo studiare Statistica e me ne vado. «Carl.» Mi irrigidisco, non oso voltarmi, non so nemmeno se ho sentito davvero il ruggito della sua voce che mi chiamava o se me lo sono immaginato. Chiudo gli occhi, cercando di placare il mio cuore impazzito. La manona di Tucker mi sfiora per un nanosecondo sulla spalla prima di ritrarsi, come se fossi contaminata. Tossica. Ancora non mi volto, così Tucker si sposta di fronte a me, fissandomi con quei suoi occhi verde militare che una volta riuscivo a interpretare così bene. «Che cazzo ti prende?» Stranamente la domanda è più brusca del suo tono, che è piatto e imperscrutabile come il suo sguardo. Eppure le sue parole mi fanno sussultare come se mi avesse dato una sberla. Ma perlopiù sono disorientata, perché sa bene cosa mi prende, ma non so perché tutt'a un tratto voglia discuterne qui. «C-che intendi dire?» balbetto. Cavoli, non ho mai balbettato in vita mia. «Non te ne frega un cazzo dei nostri voti?» Un leggero cenno di frustrazione traspare dalla sua voce. «Cosa?» sussurro. «Ma certo che m'importa.» «Credi di voler contribuire in qualche modo la prossima volta?» sbotta. Raddrizzo la schiena. «Tu dici a me di contribuire? Perché hai fatto qualche ricerca su Google? E quindi? Adesso saresti a capo del gruppo?» Socchiude gli occhi e digrigna i denti, trattenendosi dal controbattere. «No, Carleigh» dice con calma, come se fossi dura di comprendonio. Carleigh. «Ma nessuno conta su di me o sulle mie acute osservazioni per portare a termine questo progetto. In caso tu lo abbia dimenticato, sono in gioco tutti i nostri voti.» Acute osservazioni. Si prende gioco delle lodi che ho ricevuto da Zayne. Ma in questo momento sono troppo esausta per litigare. «Stai male?» mi chiede all'improvviso, la fronte corrucciata in una parodia di preoccupazione. Lo guardo interdetta. «Cosa?» «Non ci sei con la testa. E anche stamattina a lezione era così.» E cosa posso dire? Che non ho dormito? Che ho sognato mio padre e adesso mi sento di merda? È l'ultima cosa di cui vorrei discutere con lui. «Forse non ci sto con la testa perché sono stata fuori tutta la notte» mento. «E non preoccuparti del mio contributo al progetto. Se credi che non sarò io a vincere questa gara e a ottenere lo stage, allora forse avevi ragione: non mi conosci affatto. Ma sai una cosa? E se anche stessi male? Che te ne frega? Sono solo un'estranea, ricordi?» Il dolore provocato dalle sue parole lascia trapelare la mia amarezza. Tucker mi fissa, i muscoli tesi. Attendo che ribatta con qualche parola tagliente, ma si limita solo a un lento cenno d'assenso. «Hai ragione» dice, e si allontana senza voltarsi indietro. La sera dopo Devin mi trascina alla festa. Non ho nemmeno opposto resistenza. Non ne vale la pena. Ho già cercato di spiegarle che c'è qualcuno della squadra di lacrosse che non voglio vedere, ma le è entrato da un orecchio e le è uscito dall'altro. E suppongo di non avere il diritto di biasimarla se vuole andare a divertirsi. Il college viene una volta sola nella vita, dopotutto. Ho l'impressione di non esserci con la testa, come ha detto Tucker, e comunque ho bisogno di distrarmi. Di recente ho capito che la presenza di Tucker è irrilevante. È sempre qui con me, che ci sia fisicamente o no. Per fortuna la casa è affollatissima ed è facile perdersi in mezzo alla gente. Seppellisco i miei problemi e chiacchiero con le altre ragazze. Sto attenta a non bere troppo, ma mi sento leggermente brilla, e devo ammettere che aiuta. «Ciao, Carleigh.» Ben Aronin sguscia dalla solita orda di ragazze che lo circonda per venirmi a salutare. «Ciao.» «Ti stai divertendo?» mi chiede, da bravo anfitrione. Sorrido... mi viene facile mentre guardo i suoi bellissimi lineamenti, cercando di paragonarli a quelli di Tucker. «Birra e musica, cosa si può chiedere di più?» Ben sorride, mettendo in mostra i denti bianchissimi e perfetti. È il genere di sorriso che provoca nelle ragazze proprio l'effetto da lui desiderato, ma non posso fare a meno di pensare che qui mi manca qualcosa. Ho bisogno di riscuotermi da questa depressione. Di smetterla di crogiolarmi nel ricordo dei due uomini che ho amato di più in vita mia... quello che mi ha fatto soffrire e quello che ho fatto soffrire io di conseguenza. Così mi concentro sulla conversazione con il ragazzo gentile, bello e innocuo che ho di fronte. Mi chiede se mi piacciono i corsi e mi racconta degli allenamenti autunnali. La stagione di lacrosse inizierà a inverno inoltrato, ma questo non significa che la squadra non si stia già impegnando, in palestra quasi ogni mattina, in campo quasi tutti i pomeriggi, a provare schemi nel weekend. «Ma cerco di godermi un po' di libertà prima che gli allenamenti si facciano intensi» mi dice. «Vedo» dico indicando la festa. Ben sorride. «Be', queste non finiscono durante il campionato. Anzi, diventano più esagerate.» Sospira, come se fossero un obbligo e non un piacevole passatempo, e la cosa mi sorprende. Sembra proprio nel suo elemento. «Non ti piacciono le feste?» Fa spallucce. «Insomma. Erano eccitanti quando ero una matricola. Ma sai com'è, è difficile fare conoscenza quando c'è così tanta gente.» Gli rivolgo un sorriso ironico. «Mi sembra che tu conosca già tutti.» Indico le ragazze che lo circondavano poco prima, alcune lanciano occhiatacce nella mia direzione. «Anzi, credo il tuo harem laggiù stia reclamando la tua attenzione.» Ben segue il mio sguardo e si passa una mano tra i capelli. «Non mi conoscono» dice sottovoce. Ancora una volta, mi sorprende con la sua sincerità. «Comunque, come vanno le lezioni?» mi chiede, cambiando argomento. «Ti sei già pentita di aver scelto il corso di Zayne?» scherza lui. Gli do un lieve pugno sul braccio, notando la fermezza del suo bicipite. Ben è decisamente ben piantato. «Avresti dovuto avvisarmi del progetto finale!» lo rimprovero, il mio sorriso tradisce l'ironia. Ben solleva le mani in segno di resa. «Ehi, credevo che non avessi paura di un corso difficile...» «Infatti. Ma sarebbe stato carino ricevere qualche dritta.» «Okay, okay» concede. «Colpa mia. Comunque, sono sicuro che te la caverai alla grande.» Lo spero tanto. «Sì, be'. Sarebbe bello vincere e cominciare con una A. Ma il distacco con il resto delle squadre è folle. Da B+ a D+? Arbitrario è dir poco.» Ben annuisce. «Già. La mia squadra è arrivata seconda lo scorso semestre, così Zayne ci ha dato una B come voto iniziale. Ma poi ha saputo di una stupida discussione che abbiamo avuto durante la seconda settimana e ha tolto a tre di noi un punto per non essere stati abbastanza professionali. Io ho superato alla grande tutti i test e ho partecipato come chiunque altro, e ho preso una B- finale per via di quel maledetto progetto» borbotta. «Ma non dovrei nemmeno lamentarmi. Uno dei nostri difensori ha ricevuto una pessima valutazione da una ragazza della sua squadra, che è stato tanto stupido da scaricare dopo essersela fatta a una festa, e ha preso una D per il progetto. Ha ottenuto una D+ per la partecipazione in aula, che gli ha abbassato la media e lo ha spedito in panchina per il resto del campionato.» «In panchina?» Che c'entra? «Sì. Tutti gli atleti devono mantenere un coefficiente di rendimento minimo di 2.8. Fortuna che non aveva la borsa di studio, altrimenti gliel'avrebbero revocata non appena è finito in panchina.» Ben beve un sorso di birra, ignaro della mia espressione sbalordita. Perché Tucker è qui con una borsa di studio sportiva. Il che significa che ha da perdere molto più di quello che immaginavo... molto più di me. Certo, voglio quello stage, ma l'intera carriera universitaria di Tucker dipende da questo progetto. E non sarebbe nemmeno finito nel corso di Zayne se non fosse stato per causa mia. Vengo travolta da un familiare senso di colpa, ma lo scaccio via. «Sei stata alla Bottega?» mi chiede Ben di punto in bianco. Lo guardo perplessa. «È un gran bel localino italiano. Lascia che ti ci porti.» La sua sicurezza è di nuovo a pieno regime, e io vengo colta un tantino alla sprovvista dal fatto che mi abbia chiesto di uscire. «Sono appena uscita da una storia piuttosto seria» mormoro, e sbircio tra la folla nell'altra stanza. Come se lo avessi convocato, ecco Tucker in piedi nell'angolo, a flirtare con la stessa rossa di qualche settimana fa. «Ragione in più per uscire a divertirsi» suggerisce Ben. Il mio sguardo torna su Tucker, le unghie fucsia della rossa sul suo braccio. Vorrei poter dire che non è questo a spingermi a una decisione, ma sarebbe una menzogna. «Okay» gli dico. «Sembra divertente.» In realtà no, ma questo è un problema mio. I miei occhi trovano di nuovo Tucker, e questa volta anche i suoi trovano me. Mi aspetto di leggervi disinteresse o il suo solito sdegno, ma quella che non mi aspetto è la sua rabbia. Sgrana gli occhi e mi fissa... non solo me, ma anche Ben, che non si accorge nemmeno che non gli sto più prestando attenzione. Quando Tucker fa per raggiungerci a passo di marcia attraverso il mare di corpi senza volto, dico a Ben che devo usare il bagno e mi allontano subito da lì. Ci vado davvero. Mi sistemo il trucco, fosse solo per lasciare che Tucker sbollisca la rabbia, qualunque cosa l'abbia provocata... anche se molto probabilmente si tratta solo della mia presenza. Si sta facendo tardi, mi chiedo se non dovrei andarmene. Percorro il corridoio verso il giardino sul retro, che è molto meno affollato adesso che fa più freschetto. Mentre cammino, vado a sbattere contro un corpo solido e massiccio. Ricky Vance, il troglodita ubriaco che mi ha insultata perché non ho accettato che mi offrisse da bere, si volta per vedere chi è l'idiota che gli è andato addosso e fa una smorfia. Non ho voglia di un'altra scenata. Voglio solo andarmene da qui. «Ciao... ehm, Carleigh, giusto?» Stasera non sembra ubriaco, per fortuna. «Sì» mormoro. Ha l'aria imbarazzata, e credo che stia per chiedermi scusa, ma poi il suo sguardo si sposta sopra la mia spalla e sulla sua fronte compare un cipiglio ansioso. «Che c'è, Green?» Mi irrigidisco. Mi volto e vedo Tucker, ma lui sta guardando Ricky. «Quelle tipe della SDT ti stavano cercando» mormora Tucker, ma sembra quasi che stia dicendo tutt'altro. «Ricevuto» fa Ricky, e un attimo dopo sono sola con Tucker. «Non ti ha dato della troia qualche settimana fa? Adesso ti metti a flirtare con lui?» Sogghigna. «Non stavo flirtando con lui» dico sulla difensiva. Ed è così. E poi non sono affari suoi. «E Ben, invece? Non stavi flirtando nemmeno con lui, eh?» Il tono di Tucker è odioso e accusatorio, e le mie mani si chiudono a pugno. Non stavo flirtando con Ben... non proprio. Ma ho accettato di uscire con lui. «Cosa ti importa di quello che fa questa sconosciuta?» sibilo. Le sue narici si dilatano e osservo la frustrazione che gli colora il viso. All'improvviso mi afferra per il gomito e mi porta lungo il corridoio vuoto costeggiato da una fila di porte chiuse. «E Ben non è uno sconosciuto?» «Questo è anche il mio college!» sbotto. «Ho il diritto di fare esperienze come chiunque altro!» Non è stata la cosa giusta da dire. Tucker sgrana gli occhi e digrigna i denti, poi mi trascina rudemente attraverso una delle porte e la sbatte dietro di sé. Fa un respiro profondo per calmarsi, poi viene verso di me finché non sono con le spalle al muro. «Esperienze, eh? Come uscire con uno sconosciuto?» La sua voce è bassa e vagamente minacciosa, e per la prima volta ho paura. So che non mi farebbe mai del male, ma lo sguardo predatorio nei suoi occhi mi spinge a credere che ci sia qualcos'altro da temere oltre la violenza fisica. «Non era...» La mia voce è troppo bassa, troppo tremante, ma le mie parole vengono interrotte dalle sue dita che mi sfiorano il collo. «Credi che possa toccarti come faccio io?» mi chiede con voce roca. No. Nessuno può toccarmi come lui. Lo so questo. Scuoto la testa. Tucker fa scorrere rudemente il polpastrello del pollice sul mio labbro inferiore, osservandone il percorso con un desiderio di cui ho sentito disperatamente la mancanza. Il mio corpo reagisce subito e mi accascio contro il muro in segno di resa. Ma nei suoi occhi leggo ben più del desiderio. La rabbia, il disprezzo... sono ancora lì, forse più potenti di prima. Mi tiene ferma per il mento mentre si china lentamente, completamente fuori sincrono con il fervore del suo sguardo, e mi sfiora delicatamente le labbra con le sue. «Vuoi essere baciata da uno sconosciuto?» sussurra. Non so se si riferisca a Ben o a se stesso, così non dico nulla. La sua mano libera scorre lungo il mio corpo, indugiando sul lato del seno prima di continuare verso il fianco. «Anch'io posso baciare delle sconosciute» grugnisce, e poi la sua bocca si impossessa selvaggiamente della mia. Mi bacia con tutta la frustrazione e la rabbia di cui è capace, senza pietà. Rispondo altrettanto ferocemente. Il mio cuore potrà anche soffrire del suo abuso, ma il mio corpo è completamente suo, reagisce nell'unico modo che conosce: contrattaccando. Siamo solo mani avide e fianchi frementi. Poi all'improvviso Tucker allontana la bocca dalla mia e mi costringe a voltarmi contro il muro. Ansimo quando spinge i fianchi contro il mio sedere, sento il vigore della sua erezione, e dopo tutto questo tempo è una sensazione inebriante. Odio provarne orgoglio, ma è così. Mi fa impazzire che non riesca a smettere di desiderarmi, nonostante tutto il disprezzo che prova per me. Le sue labbra mi sfiorano rudemente la gola. «Vuoi farti scopare da uno sconosciuto?» mi dice all'orecchio. Sfiora il lobo con i denti, e che dio mi aiuti, lo desidero da morire. Persino così. Ma non ammetterò mai che è uno sconosciuto. Non sarà mai uno sconosciuto. «Solo da te» sussurro. Lo sento inspirare di scatto. Le sue mani mi scivolano sotto la gonna finché non stuzzicano l'elastico delle mie mutandine. «Questo non significa niente» grugnisce Tucker. Ed è così. Ma in questo momento il dolore che provo al petto è oscurato dal desiderio che mi pulsa tra le cosce. Spingo le natiche contro di lui, facendolo gemere. Il suo braccio scatta in alto e mi afferra per i capelli a mo' di avvertimento. «Non sei tu ad avere il controllo. Questa è casa mia, il mio letto, e questa è soltanto una scopata occasionale tra sconosciuti. Capito?» La sua mano libera scivola dentro le mie mutandine e comincia ad accarezzarmi. Conosce il mio corpo alla perfezione, sa come toccarmi. Sconosciuti un cazzo. «Capito?» ripete, e mi tira leggermente i capelli. Non mi fa male, ma rende chiara l'idea. Sento un vago scartocciare alle mie spalle e capisco che sta infilando un preservativo. Sta succedendo davvero. «Sì.» Afferra il mio perizoma da dietro e lo scosta, poi mi sonda con le dita prima di sostituirle con la sua erezione. Cerco di allungare una mano dietro di me per toccarlo, ma un altro strattone ai capelli mi provoca un urlo strozzato. «Mani sul muro» ordina aspramente. Obbedisco senza esitazione, sapeva che lo avrei fatto. Quando facciamo l'amore, è l'unico momento in cui può contare sul fatto che non gli resisterò. Ma questo non è fare l'amore, ricordo a me stessa. È una scopata rabbiosa, e stranamente l'idea mi avvilisce e mi eccita allo stesso tempo. Tucker mi afferra per i fianchi e mi fa arretrare di due passi, e io tengo le mani diligentemente premute contro la parete. Solo adesso mi rendo conto che si è tolto la maglietta e ha gettato via tutto ciò che ci separava. Si tende tra le mie cosce e mi sfiora avanti e indietro, stuzzicante, promettente. Mugolo una supplica disperata. Affonda dentro di me. So che è solo una cosa passeggera, ma in questo momento, perlomeno fisicamente, è mio... e cerco di non pensare ad altro che a questo gratificante presente. Tucker si muove con rude perfezione, mentre le sue mani approfittano completamente di me. Evita le sconcezze che mi aspettavo da lui, sostituendole con deboli gemiti che mi sfiorano i capelli e la gola. Il suo ritmo è quasi una punizione, ma è una punizione che adoro. Esplodo sotto il tocco delle sue dita, gemendo senza vergogna e pronunciando il suo nome. Lui si irrigidisce, come se sentirlo lo contrariasse. Le sue braccia mi cingono attorno alla vita e i miei piedi lasciano terra. Adesso sono bocconi sul letto e Tucker mi penetra di nuovo di prepotenza. Le sue braccia mi scivolano sotto la pancia, sollevandomi leggermente i fianchi dal letto, e lui approfitta appieno dell'angolazione. La sua mano scivola giù, giù, e io trattengo un sussulto. E poi vengo di nuovo, così forte che mi lacrimano gli occhi e attutisco le grida sul copriletto sotto di me. «Cazzo, cazzo, cazzo!» cantilena Tucker finché non raggiunge l'orgasmo, seppellendo il viso tra i miei capelli. Si accascia sopra di me, ma solo per un momento, poi rotola furiosamente sulla schiena come se non riuscisse ad allontanarsi da me abbastanza in fretta... come se fossi una specie di trappola di cui rifiuta di essere vittima. Entrambi respiriamo a fatica. Tengo il viso girato verso il materasso. Non voglio guardarlo... vedere la sua espressione di rimorso, o disprezzo, o qualunque altra cosa possa provare per me nonostante ciò che abbiamo appena fatto. Il mio cuore non potrebbe sopportarlo in questo momento. Sono forte, ma anch'io ho dei limiti. Così invece mi sistemo la biancheria e controllo che i vestiti siano a posto, mi aggiusto i capelli con le dita e mi passo il pollice sotto gli occhi e attorno alle labbra per vedere se mi si è sbavato il trucco. Dopodiché, senza guardarmi indietro, scendo dal letto ed esco dalla stanza.

Ruin me. Ogni volta che mi spezzi il cuore - Danielle PearlDove le storie prendono vita. Scoprilo ora