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CARLEIGH 


Oggi 

Per fortuna raggiungo la mia stanza senza incidenti. Entro inebetita nel bagno annesso e mi lavo i denti. Do una sciacquata al viso e per una volta non mi metto nemmeno un filo di trucco. Me ne frego. Sfilo bruscamente la maglietta di Tucker, ansiosa di sbarazzarmi del suo odore, ma mi ha intriso la pelle, e mi chiedo se riuscirò mai a lavarlo via. Guardo la doccia, ma decido che è meglio farla a casa. Devo uscire da qui il più in fretta possibile. Indosso un completo intimo pulito, un paio di jeans e controllo con fare assente il telefono, che ho lasciato in carica tutta la notte. Mi paralizzo. Ho una ventina di chiamate senza risposta di un numero locale che non conosco e di mia madre, e diversi messaggi. 

Chiamami. 

Chiamami Carleigh.

 Dove sei? 

Chiamami subito. 

E altri dello stesso tenore, tutti inviati intorno alle tre del mattino. Sento distrattamente che qualcuno bussa alla porta, ma non posso rispondere. Devo ascoltare diversi messaggi in segreteria. L'ansia mi impedisce di comprendere appieno, ma colgo le parole chiave. North Shore LIJ Hospital. William Stanger Junior. Condizioni critiche. Mi si secca la gola e resto senza fiato. «Carl?» Credo di sentire la voce di Tucker, ma sto cercando freneticamente di chiamare mia madre. «Avete chiamato Nicole Stanger...» Riprovo, ancora e ancora, ma parte sempre quella cazzo di segreteria! Suo figlio è in ospedale e non si preoccupa nemmeno di rispondere al telefono? «Carl?» La voce indiscreta di Tucker è proprio dietro di me, ma non mi volto. Non posso affrontarlo in questo momento. Devo concentrarmi. Non posso farmi prendere dal panico. Devo raggiungere Billy. Cerco di sforzarmi di fare un respiro profondo e cerco il numero di una compagnia di taxi. «Carl!» ruggisce lui, e mi afferra per costringermi a guardarlo. Vedo la sua espressione passare dalla frustrazione all'angoscia. «Che succede?» mi domanda. «Taxi Long Island» risponde l'uomo dall'altro capo della linea. Fisso Tucker mentre parlo al telefono. «Mi serve un taxi a... merda. Qual è l'indirizzo? 14 Briarcliff? O è il 16?» chiedo a Tucker. Ma invece di rispondermi, lo stronzo mi prende il telefono di mano e riattacca! «Ma che cazzo stai facendo?» strillo. Cerco di riprenderlo, ma lui mi scansa. «Carl!» sbotta, tenendosi il telefono dietro la schiena con una mano, mentre l'altra mi afferra per la spalla e mi dà uno scossone. «Dimmi. Cos'è. Successo» dice con cautela. «Non lo so!» dico sconvolta. «Billy è in ospedale, devo andare da lui. Subito.» Tucker sgrana gli occhi per lo shock, poi prende i miei jeans dal letto e me li tira. «Vestiti» mi ordina. «Ho bisogno del telefono per chiamare un taxi» lo supplico. «Vestiti, Carl. Subito. Ti porto io.» Il suo tono non accetta discussioni, e io non sono nelle condizioni di poter rifiutare un passaggio. Mentre mi allaccio i jeans, lui mi ha già infilato una maglietta sulla testa, e la tiene ferma per farmi inserire le braccia nelle maniche. Non ho tempo di vedere cos'ha scelto, ma dall'odore dev'essere la maglietta che mi sono appena tolta... quella che odora del mio passato. Mi porge il telefono. «Ti aspetto di sotto.» E poi se ne va, presumibilmente a vestirsi anche lui. Cinque minuti dopo sto percorrendo freneticamente avanti e indietro l'ingresso dei Caplan quando Tucker finalmente scende giù dalle scale. Non si ferma, mi afferra per un braccio e continua a camminare. «Andiamo» mormora, e io devo quasi correre per tenere il passo. «Il North Shore?» mi domanda, e io annuisco. Continuo a far ballonzolare la gamba per il nervosismo e cerco di chiamare mia madre due volte prima di arrendermi al fatto che ha il telefono spento. Mi passo le dita tra i capelli in disordine, più e più volte, mentre cerco di calmare le pulsazioni in accelerazione. Billy deve stare bene. Non c'è alternativa. Ascolto tutti i messaggi, ognuno vago come il precedente. Riesco solo a intuire che Billy ha avuto un incidente con un altro minore, che c'era di mezzo l'alcol e che è in condizioni critiche. L'ultimo messaggio è di mia madre, in cui dice che sta salendo sul primo volo verso casa, il che spiega perché al momento il suo telefono è spento. Non avevo nemmeno pensato all'eventualità che tornasse a casa, non è triste? Tucker prende l'uscita per l'ospedale, e una volta fuori dall'autostrada becchiamo un semaforo rosso dopo l'altro. Mi stringe la coscia per attirare la mia attenzione. «Ehi. Ci siamo quasi. Cerca di stare calma, okay?» «Stai calmo tu, Tucker!» sibilo. «Carl...» «No! Sai una cosa? È tutta colpa tua!» lo accuso. «Ha bevuto di nuovo! È colpa della tua influenza! Per lui sei un idolo!» Tucker continua a guidare, e la sua mancata reazione mi agita ancora di più. «Non dovevo lasciarlo andare via. Non riesco a credere di averti dato ascolto! Non hai la minima idea di cosa voglia dire avere delle responsabilità! Fai quel cazzo che ti pare senza pensare alle conseguenze.» Me la prendo con lui, consumata dal senso di colpa per aver lasciato andare via Billy, e mentre lui metteva stupidamente a repentaglio la propria vita io ero a letto col mio ex. «Carl.» Tucker non dice altro, e la mia frustrazione si intensifica. E invece di prendermela ancora con lui, di colpo scoppio in singhiozzi disperati e mi nascondo il viso tra le mani. Odio farmi vedere in questo stato. L'ho attaccato e gli ho dato la colpa dell'incidente, e ciononostante Tucker continua a offrirmi il suo sostegno. Mi posa una mano sulla nuca e con il pollice mi accarezza avanti e indietro, massaggiandomi i muscoli tesi per il terrore. Tengo il viso nascosto nelle mani, soffocando nel disprezzo per me stessa, cedendo alla paura e alla vergogna. Perché so – sapevo, anche se gli ho detto quelle cose orribili – che non è colpa di Tucker. È colpa mia. Ma non ho il coraggio di rimangiarmi tutto. Non posso fare nulla, a parte arrendermi alla sensazione della sua mano, che è l'unica cosa che mi impedisce di crollare in questo momento. Tucker arriva davanti all'ingresso del pronto soccorso cinque minuti dopo, e io scendo ancor prima che abbia modo di fermarsi completamente, lasciandolo in cerca di un parcheggio. Mi gira la testa, ma i piedi mi portano dritta all'accettazione, dove un'infermiera sta digitando qualcosa al computer. Chiedo di Billy e rispondo alle domande di rito. Chi sono? Sua sorella. Sono minorenne? No. Dov'è il suo tutore legale? Nostra madre è all'estero. E vostro padre? D'un tratto perdo la pazienza ed esplodo, le urlo addosso, pretendo di vedere mio fratello, a malapena mi rendo conto che il pianto isterico che sento proviene da me. Vengo afferrata da dietro e cerco di divincolarmi. È lui, l'ho capito dal suo odore. «Carl. Ferma.» Smetto di contorcermi e lui mi volta verso di sé, guardandomi negli occhi e annullando il caos della stanza. «Devo vederlo!» supplico. Lui annuisce, gli incrollabili occhi verdi che mi tranquillizzano. «Fa' un bel respiro, okay?» Lo faccio. Costringo i polmoni a riempirsi d'aria e, quando espiro, sembra che le pulsazioni si siano calmate un pochino. Tucker mi prende per mano e si avvicina al bancone. «Billy Stanger. William. Dobbiamo vederlo.»

Ruin me. Ogni volta che mi spezzi il cuore - Danielle PearlDove le storie prendono vita. Scoprilo ora