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TUCKER

Oggi


Halloween è l'unica festa che non detesto. L'unica festa che non ha a che fare con la mia famiglia. Ti mascheri, ti ubriachi e per una sera fai finta di essere qualcun altro. E stasera diamo una festa. Il tema è: personaggi preferiti fra tv, film e libri. Piuttosto vasto. E naturalmente i ragazzi dovevano scegliere dei travestimenti che mi ricordassero di Carl. Ma Sons of Anarchy mi piaceva da molto prima, e quindi fanculo, me lo riprendo. Ci siamo applicati tutti i nostri tatuaggi finti, incluso quello gigante sulla schiena... del tutto inutile visto che portiamo le magliette, ma pazienza. Infilo jeans e maglietta bianca, poi il giubbotto di finta pelle. I capelli mi sono cresciuti un po' troppo, e quando Ben ci ha annunciato i nostri costumi qualche settimana fa ho deciso di non tagliarli. Esco con un paio di ragazzi per prendere la birra e altri alcolici, e quando torno sono già arrivati i primi invitati. Un'ora dopo la casa è completamente invasa. Sono già alla mia quarta birra quando Carl arriva insieme alla sua amica Devin, e quel traditore del mio uccello si gonfia all'istante nei jeans. Il cervello cerca di ricordargli che non la vogliamo più. Che è una bugiarda. Che se n'è stata seduta lì ad ascoltarmi confessare ogni segreto di famiglia mentre lei celava i suoi dietro sorrisi e sesso. Ma il mio uccello se ne frega, proprio come qualche settimana fa, quando ho perso la testa e l'ho trascinata senza vergogna nella mia stanza. Quel particolare ricordo non favorisce la situazione nei miei pantaloni. E nemmeno il fatto che lei sia vestita come un sogno bagnato, cazzo. È vestita da Daenerys Targaryen del Trono di spade – Khaleesi – e per giunta nella versione della prima stagione, con quella tenuta aggressiva da nomade che lascia scoperta la pancia. Che stronza. I suoi capelli dorati sono già più lunghi di come li portava una volta, e deve essersi messa le extensions... o come diavolo si chiamano. Torno al barilotto prima che mi veda e mi rabbocco la tazza, decidendo che stasera sarebbe un'ottima occasione per sbronzarmi completamente. «Ciao, Tuck.» Mi volto ed ecco Courtney, la rossa che Ben ha cercato di rifilarmi la sera della nostra prima festa. «O forse dovrei dire Jax?» Le concedo una risata forzata, come se non me lo avessero già detto cinque volte stasera. Mi porge la sua tazza e gliela riempio. Indossa top e aderenti leggings neri con un giubbotto delle Pink Ladies di Grease poggiato sulle spalle. Come altre cinque ragazze, le sue amiche, che ho visto gironzolare per la festa. Originale. «Sei appena arrivata?» le chiedo. Noto un paio di ragazzi che la squadrano, e faccio lo stesso. È una ragazza carina. Fisicamente, almeno: vita sottile, tette grosse, fianchi stretti. Il problema è che ho passato una vita a sviluppare un gusto molto specifico per le proporzioni ed è difficile non pensare che le tette di questa Courtney sono troppo grosse per il suo fisico. E che io preferisco un sedere leggermente più polposo. E capelli biondi e occhi verdi. Cazzo. «Dimmi un po', ce l'hai il tatuaggio?» mi domanda, con le ciglia che svolazzano come le folli ali di una libellula. «Certo» rispondo, e lei mi segue in cucina. «Posso vederlo?» Rido. «Non mi levo la maglietta nel bel mezzo di una festa. Vai a cercare Ricky. Sono sicuro che sarà felicissimo di accontentarti.» L'ho già visto spogliarsi per farlo vedere ad altre tre ragazze. Courtney scuote la testa. «Io voglio vedere il tuo.» Non sono un idiota. Lo so che sta flirtando con me. E magari mi sta offrendo qualcosa. E dovrei esserne lusingato – so che dovrei – ma non lo sono. Invece continuo a pensare a Carl in quel maledetto costume. Ed è per questo che cedo. «Seguimi.» La precedo lungo il corridoio fino alla mia stanza. Non sto pensando di fare qualcosa con lei. Sto solo cercando di... non so cosa sto cercando di fare. Forse di non pensare a Carl. Scosto il giubbotto, e Courtney è dietro di me, che infila le mani sotto la maglietta prima ancora che riesca ad accendere la luce. E mentre afferro l'orlo della maglietta per toglierla, cambio idea. Non sono uno spogliarellista, cazzo. Lascio che sia lei a sfilarmela e a darmi un'occhiata. Scorre con le dita l'inchiostro finto. «È davvero sexy» mormora in un modo che sono sicuro lei creda seducente. Ma vorrei gridarle: «È finto, razza di idiota». E lo so che mi sto comportando da coglione. Potrebbe anche essere simpatica per quel che ne so. Ma non lo saprò mai. Perché non me ne frega un cazzo. Ha le unghie troppo lunghe e appuntite, come quelle di una strega, mi graffiano la pelle mentre con le dita continua a tracciare i contorni del tatuaggio e dei muscoli. Non c'è niente di erotico in tutto questo. Mi sembra solo inquietante, cazzo. Non ce la faccio più e me la scrollo di dosso. La maglietta scivola a posto mentre mi volto a guardarla. «Assomigli davvero a Jax Teller. Te l'ha mai detto nessuno?» «Lo sai che non è una persona vera, giusto? Che Sons of Anarchy è un telefilm?» Sto facendo davvero lo stronzo. Non ha fatto niente di male, ma mi irrita. Mi rivolge un sorriso sardonico, come se pensasse che sto giocando con lei. Le sue dita tornano di nuovo sull'orlo della mia maglietta, stavolta davanti, e scivolano lungo il bordo dei jeans. Aspetto una reazione da parte del mio uccello. Una qualunque reazione. Per favore. Perché sarebbe molto più facile se riuscissi a farmi coinvolgere da questa ragazza. Se potessi spassarmela con lei. Fare il primo passo significherebbe voltare pagina. «Non deve essere reale» dice con voce sdolcinata. «È un personaggio. Una fantasia. E non è questo lo scopo di Halloween?» Le sue dita scivolano di nuovo sotto la maglietta per sfiorarmi gli addominali. Aspetto. Costringerò il mio corpo a reagire. E funziona... ma nel modo sbagliato. Le sue unghie potrebbero benissimo scorrere su una lavagna. Ci rinuncio. La afferro per i polsi e fermo la sua esplorazione. «Scusa, Courtney. Non sarò la tua fantasia stasera.» Cerco di essere gentile, ma ne ho avuto abbastanza. Voglio che esca dalla mia camera. «Non devo per forza essere Courtney, sai? Posso essere chiunque vuoi.» La guardo accigliato, ma lei comincia a mettersi in ginocchio. La sue dita si muovono esitanti sulla fibbia della cintura. Posso farcela? Non sono più stato con un'altra ragazza a parte Carl. Ovviamente questa ragazza non si aspetta nulla, solo di spassarsela un po'. Razionalmente ammetto che il vago senso di colpa che cresce alla bocca dello stomaco per aver fatto sesso con Carl è del tutto ingiustificato. Sapeva che non significava che saremmo tornati insieme. Voleva soltanto una normale esperienza da college – una botta e via – e in un eccesso di rabbia e gelosia mi sono convinto di poterle dare quello che voleva. Ma le ho fatto capire che non doveva aspettarsi niente da me. Non le ho mai mentito. Non sono un bugiardo. Lei ha recepito il messaggio e ovviamente ha accettato incondizionatamente, visto che si è alzata e se n'è andata neanche un minuto dopo che avevo finito con lei. E nessuno dei due ne ha più parlato. Ma guardo questa ragazza graziosa, i capelli rosso fuoco che le ricadono sulle spalle, gli occhi castani che ammiccano lussuriosi, i suoi artigli aguzzi che armeggiano con la fibbia della cintura... e so che non ce la posso fare. Le luci brillano troppo intense nella stanza, accentuando le sgargianti differenze tra questa ragazza e quella che ho portato qui qualche settimana fa. L'unica che ho portato qui. E devo accettare che, chissà perché, non desidero questa ragazza. Non voglio la sua bocca su di me e di certo non voglio scoparmela. Perché non potrà mai essere chi voglio io. Non può essere l'unica ragazza che desidero. L'unica che in fin dei conti non è mai esistita. Faccio un passo indietro e le rivolgo un sorriso di scuse. «Dovremmo tornare alla festa» mormoro, e poi mi volto ed esco, lasciando la porta spalancata, sperando che mi segua. Ma a questo punto non me ne frega niente, voglio soltanto allontanarmi il più possibile da lei. Mi prendo un'altra birra e cerco di non scrutare la folla in cerca della ragione per cui non sono in grado di avere una normale esperienza da college. Vedo la sua amica Devin vestita da Lisbeth Salander, con tanto di piercing finti. Sta chiacchierando con uno dei nostri attaccanti, Max Brighton, e Carl non si vede da nessuna parte. Potrei semplicemente chiederle dov'è, ma poi lei lo direbbe a Carl, e Carl penserebbe che me ne frega qualcosa. Faccio un giro. La casa è grande, ma non così tanto. Una furia ansiosa comincia a crescere dentro di me quando capisco che sto cercando anche Ben. Se non li trovo, potrei perdere completamente la testa. So che Ben le ha chiesto di uscire. E so che lei ha accettato. Non ci ho dormito per giorni. Ma poi ho sentito dire che la cosa non è andata in porto. Lei continuava a rimandare, a fare e disfare, a trovare scuse. Questa consapevolezza mi ha calmato, ma credo che abbia solo aumentato l'interesse di Ben. È abituato ad avere le ragazze servite su un piatto d'argento, e l'evasività di Carl la sta rendendo più desiderabile ai suoi occhi. E anche se razionalmente sapevo che essere al college con lei sarebbe stato così – che avrebbe attirato l'attenzione, inclusa probabilmente quella dei miei amici – saperlo e conviverci sono due cose diverse. Quando trovo Ben in garage che prende altra vodka dal freezer il mio sollievo è palpabile. Ma ancora non si spiega dove sia finita Carl, e anche se ho i miei dubbi che possa essere a spassarsela con un tizio a caso, la verità è che non ne ho idea. Faccio un respiro profondo e lo raggiungo. «Ehi, fratello» mormora. «Prendi questa.» Mi porge una bottiglia gigantesca di Smirnoff ghiacciata, ne infila altre due nel freezer. Dovrei prenderla alla larga, cercare di non essere tanto trasparente, ma non ho tempo. «Hai visto Carl da qualche parte?» chiedo mentre torniamo alla festa. Lui mi guarda di traverso. Dubito si sia bevuto il mio tentativo di nonchalance. «L'ho vista prima. Che costume, bello. È proprio una bomba, eh?» Sì, è una bomba... ed è mia, cazzo. Mando giù questo boccone amaro di possessività e cerco di far finta di niente. Perché non è mia. Non più. «Sai dov'è andata?» Ben smette di camminare. Corruga la fronte e io mi chiedo se mi ha sgamato. «Andavate al liceo insieme, vero?» Non so come abbia fatto a saperlo, ma in fondo non è un segreto. «Sì.» «C'è qualcosa che dovrei sapere, Green? Cioè, non ti ho nascosto il fatto che sto cercando di uscire con lei. Ma se hai una cotta...» «No» lo interrompo. «Abbiamo avuto una storiella. Ma è finita e morta lì. Avevo delle domande per un progetto cui stiamo lavorando insieme e mi chiedevo dove fosse finita.» E io che mi vanto di non essere un bugiardo. Non sono del tutto sicuro che mi creda, ma non gliene frega niente. Si è offerto di farsi da parte solo perché sapeva che avrei rinunciato. «Be', non so dove sia» dice. «Stavamo parlando, poi ti abbiamo visto allontanarti con Courtney e abbiamo cominciato a bere. Ha ricevuto una telefonata ed è andata a parlare fuori, e quando è rientrata era tutta sconvolta e cercava la sua amica. Roba da ragazze, ho immaginato, così le ho lasciate sole.» Il resoconto di Ben mi mette ulteriormente in allerta. Non ho scelta, devo chiedere a Devin che cazzo sta succedendo. Lei sta ancora parlando con Max e mi chiedo che cazzo di amica è se è rimasta qui a tentare di rimorchiare uno mentre Carl è sotto shock. «Che si dice, Brighton?» li interrompo. Max sorride allegramente, gli occhi pesanti per l'alcol e scintillanti di lussuria. Non lo biasimo: Devin è molto attraente. «Green. O forse dovrei dire Teller» biascica, e io alzo gli occhi al cielo per l'ennesima battuta sul protagonista di Sons of Anarchy cui non assomiglio per niente. «Conosci Devin?» Cerco di sorridere. «Piacere.» Tecnicamente so chi è, ma non ci hanno mai presentati. «Anche per me. Green, giusto?» Il suo sorriso è quasi civettuolo, e immagino sia una di quelle ragazze che flirtano in ogni occasione. «Lui è Tucker» si intromette Max, dandomi una pacca sulla spalla con un sorriso sbilenco. «Il nostro nuovo cazzutissimo difensore.» Mi sforzo di ridere. «Grazie, amico.» Max fa per dire qualcos'altro, ma lo interrompo e guardo Devin, che mi sta ancora sorridendo. «Sai mica... ehm, dov'è andata Carl? Ben mi ha detto che ha ricevuto una telefonata ed era sconvolta. È preoccupato per lei.» E via con altre bugie. Gli occhi color cioccolato di Devin si socchiudono allegramente e il suo sorriso si fa lezioso. «Lui è preoccupato, eh?» Non ho tempo per queste stronzate. «Sai dov'è o no?» Dal mio tono trapela impazienza. Devin sospira e alza gli occhi al cielo. «Ha avuto un'emergenza in famiglia. Avevamo bevuto e volevo chiamarle un taxi, ma non se ne trovano, così le hanno dato un passaggio.» «Che cazzo vuol dire che le hanno dato un passaggio? Chi?» «Bello, rilassati.» Max mi guarda storto, ma lo ignoro. Devin mi osserva perplessa, come se non capisse il perché della mia reazione esagerata. «Non me lo ha detto» risponde sulla difensiva. «Ha ricevuto un messaggio o una mail o qualcos'altro, ha detto che le davano un passaggio e sono passati a prenderla cinque minuti dopo. Mi sono offerta di accompagnarla, ma lei mi ha detto di restare. Aveva tutto sotto controllo: è adulta, ormai.» Se Carl gli ha mandato un SMS o una mail, allora non è qualcuno che ha conosciuto stasera. Dovrebbe tranquillizzarmi almeno marginalmente che non sia finita in macchina con uno sconosciuto ubriaco, ma non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che ci sia qualcosa che non va. Non riesco a immaginare quale sia questa emergenza familiare, ma l'amore e la lealtà di Carl verso la sua famiglia – anche per coloro che non li meritano – sono irriducibili, e ho imparato a mie spese che li pone al di sopra di tutto il resto. Quindi l'idea che metta a repentaglio la propria incolumità, non importa se consapevolmente perché in preda all'ansia di raggiungerli o inconsciamente, non è del tutto improbabile. E se è sbronza come credo, dopo tutti quegli shot con Ben... Cazzo. Devo restare calmo, perché perdere la testa non sarà utile né a me né a Carl. Ma non riesco a trattenermi dal rivolgere a Devin un'occhiataccia prima di lasciarli come li ho trovati. Il giudizio di Carl potrebbe essere compromesso dell'angoscia – e dagli alcolici che le ha fatto bere Ben – ma Devin che cazzo di scusa ha? Avrebbe dovuto pensarci due volte prima di permettere a Carl di salire in macchina con qualcuno senza nemmeno far sapere alla propria compagna di stanza dove stava andando. Le ragazze non si organizzano mai per questo genere di cose? Devin avrebbe potuto prendere un cazzo di numero di targa o almeno chiedere a Carl chi cavolo l'avrebbe accompagnata. Mi guardo attorno e non ci metto molto ad accorgermi che tutta la gente che Carl conosce è qui. E allora chi cazzo è venuto a prenderla? Il campus è a mezz'ora da casa nostra, ma quasi tutti i nostri amici sono all'università. E anche se qualcuno fosse tornato a casa per Halloween – poco probabile – gli ci sarebbero voluti più di cinque minuti per arrivare qui. Non ho altra scelta. Devo fare quello che ho evitato di fare dal giorno in cui mi ha spezzato il cuore. Devo chiamarla. Ma parte subito la segreteria. Neanche uno squillo. Come se fosse spento. Il cuore mi rimbomba come la cassa di un tamburo. Di per sé non è un brutto segno... Carl si dimentica sempre di ricaricarlo. Ma considerando l'emergenza in famiglia e il suo viaggio misterioso, sono a tanto così dal panico. Cerco di chiamarla un altro paio di volte con lo stesso risultato. Al quarto tentativo mi arrendo e le lascio un messaggio. «Carl, io... merda. Chiamami, ok? E ricarica quel cazzo di telefono!» Mi massaggio le tempie, cercando di placare un mal di testa incipiente. Poi provo a richiamarla. Stesso risultato. Attraverso come una furia il salotto in cerca di Leo – una matricola che non vive con noi – per chiedergli un passaggio. Non ha bevuto, visto che deve guidare, e dovrebbe essere al piano terra in caso qualcuno avesse bisogno di un passaggio. Ma non c'è. Gli mando un messaggio e vengo a sapere che è rimasto bloccato nel dormitorio di una ragazza ubriaca che ha cominciato a vomitare come ha messo piede nella sua stanza. Mi promette che sarà di ritorno entro un quarto d'ora, ma io inizio a uscire di testa. Rabbia, ansia, paura... è una combinazione potente e mi addensa il sangue nelle vene, tende ogni mio muscolo. Esco sotto il portico, dove alcuni fumatori rabbrividiscono nel freddo autunnale. Mi faccio strada per il vialetto e raggiungo il marciapiede, dove dopo quattro ore del mio orologio interno che corrispondono a solo dodici minuti secondo il telefono, Leo arriva e io salgo sul sedile del passeggero prima che riesca a fermarsi. «Stuyvesant Hall» gli ordino. Ho saputo qual è il suo dormitorio per caso, l'ho sentito dire da qualcuno qualche settimana fa. Anche se non so perché sto andando lì in questo momento. È poco probabile che ci sia, vista l'emergenza familiare. Ma non so che altro fare. Leo non si muove. «Perché vuoi andare là? Sono tutti fuori a festeggiare...» «Stuyvesant Hall» ripeto con la mascella serrata. Leo capisce che non sono dell'umore e si dirige verso il campus. Non mi spreco nemmeno a ringraziarlo e raggiungo l'ingresso dell'edificio. Su una cosa aveva ragione: è un mortorio. È da poco passata la mezzanotte e sono tutti in giro a divertirsi. Ed eccomi qui, davanti al dormitorio di quella bugiarda della mia ex, senza la minima idea di cosa fare adesso. Ricontrollo il telefono. Nada. Le scrivo di chiamarmi. Ancora niente. Solo i residenti hanno la chiave, così controllo l'elenco per trovare la sua stanza e suono il citofono cinque volte prima di arrendermi all'evidenza: non c'è. Tutti quelli che conosco e che potrebbero farmi entrare adesso sono alla festa che ho appena lasciato. Senza alternative, mi siedo sulla panchina vicino all'ingresso. Carl dovrà per forza passare di qui quando torna, e mi rassegno all'attesa. Devo essermi addormentato, perché sta albeggiando quando mi sveglia il motore in folle di una fastidiosissima auto sportiva. Salto su completamente sveglio. Ho la schiena a pezzi per colpa di questa stupida panchina, che ora odio con ogni fibra del mio essere, e cerco di scacciare lo stordimento sbattendo le palpebre. Un'occhiata all'orologio mi informa che sono quasi le sette e nel piccolo cortile cominciano a palesarsi segni di vita: una ragazza che sta andando a correre, una che sta affrontando un'estenuante parata della vergogna, con addosso i resti di uno striminzito costume da gatta. E poi sbatto di nuovo le palpebre – questa volta per l'incredulità – mentre Carl emerge dalla Mustang in folle davanti all'ingresso del vialetto. Mi si annoda lo stomaco quando vedo la sua stanchezza. Adesso indossa una tuta, ma ha una giacca da uomo poggiata sulle spalle. Non riconosco la macchina. Sto per andarle incontro quando il conducente scende dall'auto ed ecco – di tutte le cazzo di persone al mondo – il nostro insegnante. Quel coglione di Zayne. Porca. Di. Quella. Troia. Viene dal lato del passeggero e li osservo mentre lei gli sorride timidamente e lui si massaggia la nuca. Mormora qualcosa e lei annuisce. Lui fa spallucce, sorride, e Carl contraccambia, ma il suo è un sorriso forzato. E mi salta la mosca al naso. Zayne stringe il braccio di Carl, poi risale in macchina e se ne va. Lei cammina con la testa bassa e non mi vede fino all'ultimo istante. «Tuck?» «E quello che cazzo era?» grugnisco. Non volevo essere tanto aggressivo. Sembra stressata, esausta, e non voglio peggiorare le cose, ma anch'io sono stanco, cazzo. Carl reagisce nell'unico modo che conosce. Raddrizza la schiena e socchiude gli occhi, e mi chiedo se sia solo il mio tono a farla reagire così oppure il senso di colpa. «Che cazzo era cosa?» ribatte. Che cazzo è successo alla tua famiglia, e dove sei stata, e che succede? «Te lo sei scopato?» E quello. Lei sgrana gli occhi per l'indignazione. «Mi hai appena chiesto se mi sono scopata il nostro insegnante?!» Be', sei appena scesa dalla sua auto con dei vestiti diversi da quelli che indossavi ieri sera. Inarco le sopracciglia in attesa di una risposta. Resta per un attimo a bocca aperta per l'incredulità e poi stringe di nuovo gli occhi. «Sì, Tucker. L'ho fatto. Sai, ero alla vostra festa di Halloween e mentre tu eri occupato con quella stronza dai capelli rossi mi sono detta: ehi, sono stata a letto con un solo uomo in tutta la vita, niente di meglio che una bella botta e via con il mio professore. Perché in fondo sono solo una troia. E, sai com'è, lui non vedeva l'ora. Perché sbattersi la prima studentessa che passa vale proprio la pena di perdere il lavoro, e...» Maledizione, non riesco a sopportare tutto questo sarcasmo. «Basta!» «Oh, basta, non è vero?» sibila. Razionalmente so che è stata una cosa ridicola da chiederle. Potrà anche essere una bugiarda, però è una brava ragazza. Lo so meglio di chiunque altro. Perché so che è stata con un uomo soltanto. Me. O almeno avevo sperato che fosse vero. Che sollievo averne la conferma. Ma non dovrebbe fregarmene più niente, cazzo! «Cos'è successo, Carl? Perché hai lasciato la festa?» Cerco di trattenermi dal porre l'ultima domanda, ma non ci riesco. «Perché eri con lui?» Carl sospira e la sua sicurezza si sgonfia davanti ai miei occhi. «Senti, Tuck, ho dormito pochissimo. Sono esausta e... non posso proprio farlo adesso.» Lei non può farlo adesso? Io ho passato la notte su questa maledetta panchina davanti al suo dormitorio, immaginando dio solo sa cosa, e lei arriva qui con il nostro aitante professore... e lei non può farlo adesso? Be', fanculo. «Ci vediamo a lezione» sbotto, e poi faccio per andarmene. «Spero ti sia divertito con quella là» borbotta, e non riesco a tollerare altro. «Mi sono divertito parecchio» mento. «E continuerò a spassarmela con chi cazzo mi pare. Tu, piuttosto, divertiti con il nostro insegnante.» 

Ruin me. Ogni volta che mi spezzi il cuore - Danielle PearlDove le storie prendono vita. Scoprilo ora