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TUCKER 

Oggi 

Un mugolio mi sveglia di soprassalto. 

Non era mia intenzione addormentarmi, ma sento lo stomaco rivoltarsi e mi ci vuole un istante per capire perché. Poi mi accorgo che un braccio sta sgusciando da sotto il mio torace e spalanco gli occhi. Carl si contorce, e io mi puntello sul gomito per guardarla.

 Ha gli occhi sgranati, un'espressione dolente. Cercava di andarsene? «Tentavi di svignartela?» la accuso. So che non dovrei meravigliarmi, ma sono già incazzato. Cosa credeva di fare? Scomparire, così una volta sveglio mi sarei preoccupato da morire? Apre la bocca, le sue guance avvampano di un raro rossore. «E allora, cazzo?» Le sue spalle si curvano. «Io...» Si zittisce, e io inarco le sopracciglia, in attesa. «Sono mortificata.» Oh. Espiro lentamente, imponendomi di calmarmi. «Non devi sentirti in imbarazzo, Carl» mormoro mentre mi tiro su a sedere, liberandola dal mio peso. Lei alza gli occhi al cielo. «Sì, come no.» Il suo tono trasuda sarcasmo. «Non è minimamente imbarazzante diventare un cliché: la classica, patetica matricola... ed essere salvata dal mio ex che – si dà il caso – mi odia da morire.» Mi ferisce sentirle dire un'altra volta che la odio... assurdo, a dire il vero, visto che mi sono sforzato tanto di metterle quell'idea in testa. «Ne abbiamo già discusso ieri sera» le rammento, e mi chiedo quanto ricordi davvero. Da come mi guarda sospetto che se lo ricordi, solo che non è sicura che sia accaduto davvero. «Io non ti odio, okay?» «Ah, no?» chiede sottovoce. «Ascolta, Carl. Ero furioso. Sono ancora furioso, a essere sincero. Ma siamo stati amici per molto tempo prima di uscire insieme, e non so... magari prima o poi riusciremo a tornare amici» propongo. Quasi per un intero minuto, Carl si limita a respirare. «Come?» mi domanda. «Non lo so, Carl. Ovviamente non riusciremo mai a tornare a come eravamo prima. Non dico nemmeno che ti perdono. Ma i nostri migliori amici o sono migliori amici tra loro o stanno insieme. Ed è ovvio che ti voglio ancora bene. Ma al di là di questo, francamente non so. Non so cosa provo. Ma so che non è odio, okay?» Spero che basti. È tutto ciò che ho da offrire. Lei annuisce lentamente e dalla sua espressione non capisco se le ho tolto un peso o l'ho ferita ancora di più. Lascio passare qualche istante prima di parlare di nuovo. «Come ti senti?» «Come se avessi un doposbronza» ammette. «Ma è strano. Cioè, sto bene. Però mi sento... lenta, non so. E un po' stordita.» «Già, è piuttosto normale con quello che hai preso. Credo che tornerai te stessa entro un paio d'ore.» «Grandioso» borbotta. «E cos'ho preso, esattamente?» Sospiro. «Percocet. Un antidolorifico.» Mi accorgo che sono ancora in boxer e maglietta, e prendo i suoi jeans dalla sedia e glieli tiro, e ne infilo bruscamente un paio dei miei. Mi impongo di non guardarla mentre si riveste, ma fallisco miseramente. Carl indossa ancora la camicetta della sera prima, e non appena si è infilata i jeans riprendo posto accanto a lei sul letto. «Mi dispiace tanto per ieri sera, Tuck. Lo sai, vero? Che cosa umiliante.» «Perché?» le chiedo. È Ben a doversi dispiacere, e ho tutte le intenzioni di assistere alla scena. Mi osserva perplessa, come se la risposta fosse ovvia. «Perché non avrei dovuto mettermi in quella situazione. E di tutte le persone, non saresti dovuto venire tu in mio soccorso.» Di tutte le persone? «Sono una stupida. Ben mi ha colto con la guardia abbassata. Oh! Che stupida!» Si prende la testa tra le mani e si massaggia il viso per la frustrazione. Ma non posso soffermarmi su quel di tutte le persone, perché il mio cervello si è fissato sull'idea che Ben l'ha colta con la guardia abbassata. Perché com'è stato possibile? Se l'è scopato? Se lo scopa? E perché, se la mia intenzione è di essere solo un amico per lei, il solo pensiero mi fa rivoltare lo stomaco? «Com'è che hai abbassato la guardia?» Cerco di tenere la voce più monocorde possibile. Carl sospira. «Gli ho detto che ero appena uscita da una storia e che non ero pronta per uscire con qualcun altro. Gli ho detto che potevamo essere solo amici. E lui sembrava accettarlo davvero, sai? Scherzava sul fatto che spargessi la voce tra le mie amiche. Ci siamo visti diverse volte e non ci ha mai provato né mi ha mai fatto sentire minimamente a disagio.» Resisto all'impulso di fare una smorfia. Proprio non si rende conto che non esiste al mondo un uomo etero che non vorrebbe portarsela a letto. «Allora quando ti ha dato quelle pillole...» «Pensavo fossero aspirine. Che stupida» aggiunge sottovoce. Scivolo vicino a lei e le sollevo il mento per costringerla a guardarmi negli occhi. «Ti ha detto lui che erano aspirine?» le chiedo con cautela. «Non ne sono sicura.» «Pensaci bene, Carl» le ordino. «È importante.» Se le ha detto lui che erano aspirine, allora non c'è dubbio: ha agito intenzionalmente. In tal caso il ragazzo d'oro passerà il Ringraziamento in galera. «Non credo» mormora. «Credo di aver supposto io...» «Forse sarà meglio ricominciare dall'inizio. Mi ha detto che avevi mal di testa» le do il la. Carl annuisce. «Eravamo a cena, e stavamo bevendo, ballando e... abbiamo bevuto della tequila.» Mi rivolge uno sguardo esitante. «Pensavo di stare bene, ma poi mi è venuto mal di testa. Devin voleva venire qui per stare con Max, ma io volevo rientrare al dormitorio. Ben ha detto che mi avrebbe dato un'aspirina...» Per poco non salto dal letto, pronto per commettere un omicidio, ma lei si corregge. «No. Veramente no. Ha detto che mi avrebbe dato qualcosa per il mal di testa» rettifica. La fisso intensamente. «Sei sicura?» «Sì. Ne sono piuttosto sicura. Non credo che abbia pronunciato la parola aspirina.» «Glielo hai chiesto?» Carl si mordicchia il labbro inferiore e scuote lentamente la testa. Annuisco pensieroso. Ma non so come fare a scoprire se Ben è solo un coglione senza cervello o qualcosa di peggio. «Che altro ricordi?» le chiedo. «Non molto. Come hai fatto a saperlo?» «Sapere cosa?» «Che avevo bisogno d'aiuto.» Sospiro. «Stavo solo controllando chi c'era ancora in piedi» mento. «E quando ho visto in che stato eri, e ho capito che Ben stava cercando di portarti in camera sua...» Mi interrompo. In verità, ho visto Devin e Max mentre andavo in bagno e sapevo che era lui a dover accompagnare a casa Carl. Sono andato a cercarla e l'ho trovata in salotto, che parlava e sorrideva con Ben, e ho passato l'ora successiva a fissare il soffitto di camera mia. Ero in attesa di sentir arrivare un taxi, visto che Ben non era in condizioni di guidare, e anche se dubitavo che Ben avrebbe tentato di portare Carl in camera sua, ho lasciato la porta aperta per ogni evenienza, sapendo che sarebbero passati lì davanti. Alle due del mattino ho sentito delle voci fuori dalla cucina e sono uscito a controllare. Ho acceso le luci e il mio cuore si è fermato alla vista della scena che avevo davanti. Distolgo lo sguardo. Non voglio che Carl veda quanto ancora sia sconvolto dal ricordo dei suoi occhi, distanti e confusi – quando riusciva a tenerli aperti – e solcati dalla paura. Non riesco a sopportare di saperla tanto vulnerabile. Mi avvicino alla finestra e controllo la macchina di Ben. Il suo solito parcheggio è vuoto. Ottima mossa da parte sua. «Dovremmo muoverci» le dico. La famiglia di Cap ci aspetta tra un paio d'ore. Carl mi guarda in preda all'imbarazzo. «Credi di potermi dare un passaggio per il dormitorio?» mi chiede esitante. Pensavo fosse sottinteso. «Cioè, non voglio impormi dopo...» «Tranquilla» la interrompo. «È che mi sorprende che tu abbia pensato di dovermelo chiedere. Faccio solo una doccia veloce e raduno le mie cose. Puoi farti la doccia qui, se vuoi. Credo che siano andati via tutti. Oppure posso aspettarti mentre la fai al dormitorio.» «Aspettarmi?» «Ti porto da Cap» chiarisco. «Tuck...» «Non cominciare, Carl.» Non sono proprio dell'umore per discutere. «Ma...» «Hai detto di sentirti lenta e stordita. Non ti permetterò di guidare fino a Port Woodmere. Punto.» «Devo passare a prendere Billy alle tre meno un quarto.» «E allora passeremo a prendere Billy.» Carl annuisce con una certa esitazione, e io tiro mentalmente un sospiro di sollievo. Due ore dopo, Carl è addormentata sul sedile del passeggero mentre siamo diretti a casa sua, e non si muove di un millimetro quando tutti e tre procediamo verso la casa di Cap come se tutto fosse perfettamente normale. Ho la sensazione che questa sia una di quelle giornate in cui avvengono grossi cambiamenti, e tra me e me penso di averne già vissuti a sufficienza nella vita. Ma dopo quanto accaduto cinque mesi fa, credo che non ci sia più nulla in grado di sconvolgermi. Era una giornata grigia e umida quando il telefono squillò troppo presto, e Cap aveva un tono esitante e cupo. Ricordo di aver pensato che doveva essere successo qualcosa a Rory o a Bits, e il cuore ha cominciato ad accelerare per il terrore mentre gli chiedevo di raccontarmi tutto. «Ha chiamato mio padre stamattina» disse. Sapevo che si trattava del padre di Carl. Di recente mi era venuta l'idea di domandare al padre di Cap – che è un procuratore di un certo peso – di usare la sua influenza per scoprire quello che poteva su William Stanger. Odiavo l'espressione che vedevo sul viso di Carl ogni volta che si parlava di lui, e quando non si era presentato nemmeno alla cerimonia di diploma, cominciai a sospettare che ci fosse ben altro a tenerlo lontano a parte il lavoro. Poi mi venne in mente che non lo avrei nemmeno riconosciuto se lo avessi visto per strada. E conoscevo Carl praticamente da tutta la vita. Avevo cercato di incoraggiarla a parlarne, ma era evidente che soffriva soltanto a sentirlo nominare, quindi per me aveva perfettamente senso cercare di scoprire qualcosa per conto mio. Non mi sembrava di agire alle sue spalle... Ma nel momento in cui stavo per scoprire la verità su di lui, d'un tratto mi sentii a disagio. Però non riuscivo a immaginare cosa fosse saltato fuori se Cap aveva questo tono funereo. Adesso non saprei dire quante volte ho desiderato di non sapere... è proprio vero: beata ignoranza. «Dimmi tutto» gli intimai. «Meglio se ne parliamo di persona» ribatté lui. La sua insistenza mi mise in allarme. Persi il controllo. «Dimmelo subito, cazzo!» «È in prigione.» Ancora non sapevo cosa volesse dire. Non avevo idea di che razza di bastardo avesse messo al mondo la ragazza che amavo. Non avevo idea di cosa lei mi avesse tenuto accuratamente nascosto fin dall'inizio. «In prigione?» «Vengo da te.»

Ruin me. Ogni volta che mi spezzi il cuore - Danielle PearlDove le storie prendono vita. Scoprilo ora