8~°°°Il duca di Firenze°°°

119 31 15
                                    

Ducato di Firenze, 1536

Daniele aveva passato due giorni sotto la luce del sole, tentando in ogni modo di apparire naturale a quel contatto. Tuttavia, passare di fianco alle finestre, gli procurava dolore agli occhi, la luce era sempre troppo forte, come spilli acuminati nella carne.
Era difficile conciliare la natura vampirica con quella umana.

«Non poteva essere una giornata nuvolosa? » disse, imprecando subito dopo. Quel giorno sarebbe giunto il Duca Alessandro e tutto doveva essere perfetto. La famiglia Medici era molto curiosa, e un duca curioso nella casa di un vampiro sarebbe stato un problema.
Per l'occasione avevano assunto servitù umana, riaperto le cucine, ripulito ogni quadro e ogni lampadario che in quei bui cinquant'anni erano stati seppelliti sotto la polvere.

Nella sala in cui Daniele passeggiava, avanti e indietro, c'era l'intero ritratto della famiglia Monicelli, dove i due giovani eredi erano soltanto dei bambini. Sembrava un attimo congelato nel tempo, una finestra su un mondo che non sarebbe mai più tornato ad essere.

«Dici che noterà la somiglianza? » azzardò Matteo, guardando il loro antico volto dipinto per poi confrontarlo con Daniele.

«È giusto che ne noti, perché quel bambino nel quadro adesso deve essere un anziano in fin di vita e io suo nipote».

Era strano rivedere la sua famiglia tutta insieme. Quel quadro era rimasto nascosto da decenni, e con lui era stato sepolto anche il ricordo di quella vita mortale.
Quel quadro era stato commissionato al Verrocchio, che lo aveva ultimato appena due mesi prima di morire.

La figura del loro padre era imponente, grasso e barbuto, con fini capelli biondi e occhi castani. La loro madre gli era di fianco, esile come un fiore, con quegli occhi azzurri che si rispecchiavano tranquilli in quelli dei figli. Nessuno aveva mai scoperto il motivo che l'aveva spinta al suicidio. Era annegata, lei, che era sempre stata un'ottima nuotatrice, nel grande stagno della fontana.
Era raro che una donna borghese conoscesse l'arte di poter muoversi in acqua, ma donna Matilde odiava i paletti. Per lei non c'era cosa che una donna non potesse fare al pari di un uomo.

Daniele era certo che fosse stata uccisa: donna Matilde de Medici non si sarebbe mai tolta la vita. Sua madre era un'alchimista, possedeva una saggezza e una cultura sconfinata. Uccidersi non avrebbe avuto senso.

«Mio signore, il duca sta già varcando i cancelli della vostra proprietà» parlò Cassandra, sulla porta che dava al grande salone.

«Aprigli il portone e accoglilo. Io lo attenderò qui».

Cassandra chinò appena la testa ed uscì, non riuscendo a sopportare la vista dell'umana vestita come la più ricca signora di Firenze al fianco di Daniele.

La ragazzina era terrorizzata. Il suo ruolo le era chiaro, tuttavia non era sicura di esserne all'altezza. Lei era figlia di contadini, cresciuta per le strade di Firenze, non aveva mai neanche riposato due volte nello stesso posto. E in quel momento doveva sembrare una Signora di Firenze, dai modi fini e l'educazione impeccabile.
·Erano anche le minime cose a spaventarla: come si sedeva ad un tavolo una nobildonna? Come si salutava un duca? Daniele le aveva detto di restare in silenzio e mantenere uno sguardo basso; eppure temeva che questo non sarebbe bastato.

Matteo tramutò il suo corpo in quello di una gazza e si appollaiò sulla finestra. Per nulla al mondo si sarebbe perso quell'incontro.
«Anche con quelle sembianze, cerca di non farti notare troppo» lo ammonì Daniele e Matteo gli strizzò l'occhio.

La ragazza guardò stupita il modo in cui il vampiro aveva cambiato la sua forma, non aveva mai assistito ad una cosa del genere. In realtà non conosceva quasi nulla sulle reali capacità dei vampiri. po0'36Come poteva Dio permettere l'esistenza di certe creature?

✵Fiore d'inverno, cristallo grezzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora