13~°°°Beatrice°°°

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Ducato di Firenze, Giugno 1536

Beatrice Maria Sforza camminava tranquilla per i corridoi appena illuminati del palazzo Monticelli.
I due fratelli si erano riempiti di giovani immortali che si occupavano della dimora, pulivano, riordinavano e sparivano nell'ombra.

Beatrice era un vampiri di classe Nobile, esattamente come i gemelli, trasformata però da un Reale appena meno antico di Erdie, e con un potere politico enorme sui figli della notte.

Naram l'aveva trovata all'età di trent'anni, chiusa in un monastero, come un animale in gabbia che ancora conservava la forza di lottare.
"Quello sguardo e quell'ardore sono sprecati in una misera vita morale..." le aveva detto prima di rapirla.
Un motivo sciocco, e ne era consapevole. C'era sicuramente una ragione che lo aveva spinto a trasformarla, ma non glielo aveva detto. E Naram, per quel poco che le era stato concesso di conoscere, era un uomo antico e misterioso.

I gemelli erano via, il duca Alessandro aveva, ancora una volta, preteso la presenza di Daniele nella sua roccaforte e Matteo lo aveva accompagnato per impedirgli di fare pazzie.
La villa sembrava vuota senza di loro.

Beatrice aveva camminato fra quei corridoi più di cinquant'anni prima, da umana, quando era ancora sotto l'ala protettrice di donna Matilde.
Ricordava quelle stanze sotto una luce diversa, più viva. Ricordava donna Matilde e i suoi abbracci caldi, la sua premura; qualcosa che sua madre, con la freddezza dei Savoia, non le aveva mai concesso.
Con quello stesso amore l'aveva portata via da Milano quando era ancora giovane, per concederle il privilegio di poter studiare alla pari di un uomo.
"Sei intelligente come tua zia Ippolita, e non voglio che questa tua dote venga sprecata..." le diceva sempre.
Beatrice lo ricordava bene, sua zia era una donna matura, dalla cultura sconvolgente e amica di Matilde.

Sembrava che la gente vedesse in lei doti che l'avrebbero spinta al successo ed invece se n'era fatta ben poco.
Con la morte improvvisa di donna Matilde, era stata riportata a Milano, rinchiusa in un convento e costretta a prendere voti, dedicarsi alla castità, alla clausura e alla preghiera per anni. Quanti? Non lo ricordava neanche.
Era stata rinchiusa quando la terra era ancora piatta, per uscirne quando improvvisamente era diventata tonda.
Ed era poi diventata immortale.

"Nessuno dovrà sapere che sono stato io a renderti un vampiro" le aveva detto al suo risveglio Naram. "Ti porterò nella basilica, verrai presentata, ma dirai di non avere ricordi".
Beatrice era confusa. Naram aveva dei tratti del viso strani, diversi, antichi. Chiunque lo avrebbe notato. Ed era meraviglioso, un angelo nero, con lunghi capelli corvini ad incorniciargli il viso.
"Sarò io il giudice a cui dovrai spiegare la situazione. Perciò non avrai problemi. Sei un alchimista, vero? L'intelligenza non ti manca..." le aveva sorriso con i canini sguainati. Tanto bastò per obbedirgli.
Beatrice era scaltra, aveva perfettamente compreso il potere che Naram era in grado di gestire.
E contraddirlo avrebbe significato morire.

In cinquant'anni aveva studiato. Aveva studiato e aveva sperimentato la sua natura, ma questo nell'anonimato.
Aveva girato fra i saloni delle signorie più raffinate, aveva assimilato tutta la conoscenza che poteva.
Le mancava solo un posto da visitare: il laboratorio di Daniele, il tempio del sapere dell'alchimista Shardan, l'erede di Madonna Matilde.

«Nessuno può entrare in quella stanza senza permesso» l'ammonì una voce. Era una vampira comune, e forse la stessa che la stava osservando insistentemente da quando aveva messo piede nel palazzo.
Beatrice non si voltò, accarezzò il pomello della porta con gentilezza, sfiorando poi gli intarsi in oro della porta. Già su di essa erano incisi simboli alchemici antichi e ricchi di significato.
«E cosa ti fa credere che io non abbia il permesso di entrare?»
«Daniele non permette l'accesso a nessuno e questo mi basta».

Beatrice si voltò. Cassandra la guardava con astio.
«Non dovresti intrometterti in ciò che fa qualcuno più forte di te. Sei un vampiro comune, una delle tante serve di questo luogo. Ora puoi tornare al tuo lavoro». Ed era un ordine.

I vampiri Nobili potevano usare i loro poteri psichici solo instaurando un contatto fisico, un tocco che collegava e soggiogava la mente. A Beatrice questo non serviva più, ci era voluto molto allenamento e molta conoscenza per riuscire a far sua una pratica esclusiva dei Reali. E ci era riuscita.
Cassandra si sentì pervasa da una scossa elettrica e la sua mente cadde nell'oblio.

Beatrice entrò nella stanza di Daniele accorgendosi immediatamente dell'umana che era nascosta al suo interno. Era rannicchiata in un angolo del letto, nuda e spaesata.
Le due si guardarono. Quella ragazza aveva una vaga somiglianza con Erdie, una coincidenza curiosa.
«Sei il suo cibo? » le domandò la vampira.
La ragazzina assentì con il capo, imbarazzata, coprendo le sue nudità con il lenzuolo.
«E sei anche quella con cui si diverte». Ci fu un sospiro alla fine.

Daniele aveva scambiato l'immortalità con l'onnipotenza, così credeva di aver terminato lo scopo massimo di un alchimista che lo spingeva alla ricerca.

Erano in pochi a conoscere l'entrata segreta del laboratorio dell'alchimista Shardan e Beatrice era una di essi.
Quando scese nell'enorme sala l'odore di polvere e muffa era nauseante.
Interi libri mangiati dalle tarme e dell'umidità, oggetti corrosi dalla ruggine erano ormai quasi irriconoscibili.
Daniele aveva abbandonato la via alchemica, aveva abbandonato tutto per dedicarsi solo ai piaceri della carne.

Stava perdendo la sua umanità, e lei non lo avrebbe permesso.

Stava perdendo la sua umanità, e lei non lo avrebbe permesso

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✵Fiore d'inverno, cristallo grezzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora