34~°°°Cuori di tenebra°°°

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Il laboratorio dell'alchimista era rimasto chiuso da giorni. Nessuno osava avvicinarsi a quell'ala dimenticata del castello e il silenzio che vi regnava era spaventoso.
Erdie riusciva a mantenere il controllo su ognuna delle creature che abitavano quel luogo, vampiri comuni dalla volontà già piegata dal tempo.
E, nella noia che quel luogo suscitava, la vendetta nei confronti di Naram era l'unico obbiettivo che la manteneva ancora in vita.

Accoccolata nella vasca da bagno, circondata da vampiri che le passavano delicate spugne sul corpo, ritornò indietro negli anni. Scavò nei suoi ricordi, antichi e sbiaditi, fino a rievocarli.

La memoria della grande guerra le tornò come un graffio profondo sulla pelle, l'unica guerra in cui i vampiri ebbero avversari alla loro pari.
Questo perché le creature create ad Atlantide erano più complesse di quello che suo padre, il Lord, le avesse detto.

Ma i vampiri avevano vinto, il Lord aveva preso potere sui vampiri in maniera definitiva e Naram era stato condannato a morte.
Lei non aspettava altro, Naram doveva morire allora.

C'erano molte lacune nella sua memoria, suo padre le condizionava spesso la mente per non farle porre domande.
"Bambina mia, è solo per proteggerti" le diceva, baciandole la fronte.
Tuttavia, da quando era scomparso, quelle domande continuavano a ronzarle in testa.

C'era astio tra Naram e il Lord. Eppure gli aveva permesso di sposarla e di regnare per anni sul popolo immortale.
E, inizialmente, Erdie era felice di essere sua moglie. Tremendamente e stupidamente felice.
Questo perché solo dopo il matrimonio Naram si era rivelato un despota megalomane, un uomo che la trattata alla stregua di un oggetto.
Il suo oggetto preferito, ma pur sempre un oggetto.

Poi, dopo la grande guerra, il Lord lo aveva condannato a morte. E lui era fuggito.

Erdie uscì dall'acqua, bagnando il pavimento in marmo e avvicinandosi alla finestra.
Il vento le sfiorava la pelle, ma non sentiva nulla.
«Mia signora, le ho portato abiti puliti» disse una delle sue serve, a capo chino.

«Non voglio alcun abito» rispose la Reale.
Senza attendere altre frasi inutili, Erdie mutò il suo corpo sotto i raggi della luna, trasformandosi in una colomba.
L'intero mondo era ormai una prigione per lei, però la sua natura poteva darle ancora quella piccola parvenza di libertà.

***

Mauren era nel bosco quella notte, amava scrivere lunghe lettere ascoltando i suoni della natura notturna. Tutte carte che bruciava prima di tornare nel castello, disperdendo le ceneri tra i muschi e le edere.

Aveva osservato incantato Erdie affacciarsi alla finestra come un essere eterico e perfetto, splendente come una stella e meravigliosa come un sogno.
Provava per lei un sentimento profondo e non ricambiato, eppure, il solo amarla, lo faceva sentire bene.
Il poter mettere per iscritto la sua bellezza lo faceva sentire nobile e giusto.
Erdie, con la sua sola presenza, lo rendeva completo.

Sospirò vedendola volare via, sotto le sembianze eleganti e delicate di una colomba.
Riflesse la sua lettera, la sua celebrazione d'amore e le diede fuoco con la miccia della lampada ad olio.

Mauren era l'unico a potersi muovere liberamente nel castello e a conoscere ciò che l'alchimista stava creando.
Lo aveva aiutato, fornendogli quella sapienza quasi perduta, ed ora voleva conoscere i progressi che aveva compiuto.

Sgusciò nei sotterranei dimenticati fino a giungere dinanzi all'enorme porta in ferro. Prese le chiavi e l'aprì con facilità.
La stanza era buia, la lampada che si era portato emanava una luce calda che contrastava ferocemente l'aria lugubre che impregnava il luogo.

✵Fiore d'inverno, cristallo grezzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora